“72 Seasons”, nel nuovo album dei Metallica il ritorno all’immediatezza thrash metal
Abbiamo ascoltato in anteprima il disco in uscita il 14 aprile: meno coraggioso rispetto al precedente “Hardwired… To Self-Destruct” ma comunque un lavoro perfetto per la resa dal vivo
Nel gergo del giornalismo musicale, “ritorno alle origini” è una formula talmente abusata da sapere di cliché. Eppure ci pare forse la più adatta per sintetizzare il senso di un album come 72 Seasons. Il nuovo lavoro di inediti dei Metallica uscirà il 14 aprile via Capitol / Universal Music: l’abbiamo ascoltato in anteprima.
A proposito: tutti potranno ascoltarlo in anteprima al cinema la sera prima della release. Qui tutte le informazioni sull’evento “72 Seasons Global Premiere” che Billboard Italia presenterà al cinema CityLife Anteo di Milano (potresti anche essere selezionato per ricevere dei biglietti omaggio: qui le modalità).
La recensione di 72 Seasons dei Metallica
Kill ‘Em All in versione 2023
La prima impressione all’ascolto è che la band, complice magari il quarantennale dall’esordio che cade proprio quest’anno, si sia voluta ricollegare direttamente all’urgenza senza filtri di Kill ‘Em All. Del resto, il ripescaggio dell’immediatezza thrash metal era stato esplicitato in maniera di fatto programmatica dal lead single Lux Æterna, che suona come un pezzo “gemello” di Hit the Lights, mitica opening track dell’album d’esordio.
Riff e bpm sono sostanzialmente affini a quelli di allora. A fare la differenza, ovviamente, è la produzione: rispetto al taglio grezzo degli esordi, qui entra in campo una precisione chirurgica nei suoni e nel mix. Accetta contro bisturi, insomma.
Ci mancherebbe altro: va da sé che la più grande band metal al mondo deve avere una produzione impeccabile e al passo coi tempi. Ma se la scrittura intende ripescare quell’animo vagamente “punk” delle origini, il risultato rischia di essere dispercettivo, o quantomeno di lasciare poco ad ascolto terminato.
Il metal contemporaneo ha raggiunto livelli di produzione a dir poco eccezionali: basti ascoltare gli ultimi album di band come Gojira o Periphery, ma anche di gruppi più storici come Deftones, Tool, Sepultura. Meglio, allora, optare per formule più ambiziose e complesse, come era il caso del precedente album di inediti dei Metallica, Hardwired… To Self-Destruct del 2016.
Detto ciò, 72 Seasons rimane un disco divertente e godibile, senz’altro perfetto per una resa dal vivo di sicuro impatto.
Elogio della lentezza
Abituati come siamo a brani di due minuti pensati per TikTok, i pezzi dell’album colpiscono subito per la loro durata. Quasi tutti superano abbondantemente i cinque minuti, alcuni i sette (la title track e You Must Burn!), mentre la conclusiva Inamorata è una lunga suite di oltre undici minuti.
Insieme a ciò, i brani cominciano sempre con lunghe introduzioni strumentali prive di cantato, come si faceva una volta. Quasi uno statement voluto, in un’epoca in cui anche la musica deve essere “veloce” e andare dritta al punto.
Ormai non bisogna più necessariamente definirla una scelta “coraggiosa”. Semplicemente è ciò che il pubblico rock (e metal in particolare) sa apprezzare e si aspetta dalle canzoni.
Comunque non sempre la durata dei brani è giustificata dal loro sviluppo interno. L’impressione è che il disco potrebbe durare una decina di minuti in meno senza che la qualità ne risenta.
I brani di 72 Seasons
Con la prima traccia, che è anche la title track, i Metallica mettono subito in chiaro il discorso di ritorno alle origini, o perlomeno a una modalità di scrittura d’altri tempi.
I riff in sé sono piuttosto semplici: come in gran parte del resto del disco si basano sul classico ricorso alla quinta diminuita (quella “blue note” che ha in larga misura definito il sound del blues prima e del rock poi). Un vero e proprio marchio di fabbrica della band, che alla lunga però rischia di stancare. A donare vivacità al brano sono piuttosto i vari cambi di tempo, che raddoppiando o dimezzando danno le giuste “scosse” dove serve. Condisce il tutto un lungo assolo di chitarra con tanto di modulazioni e armonizzazioni.
Nel caso della successiva Shadows Follow la “blue note” è intelligentemente usata non come semplice nota di passaggio ma per creare di fatto degli arpeggi diminuiti (insistendo sulle note mi, sol e si bemolle): una sorta di originale variazione sul tema.
Anche l’intro di un singolo Screaming Suicide sembra ricollegarsi alle origini thrash, per esempio a un pezzo come Creeping Death (dal secondo album Ride the Lightning).
Con Sleepwalk My Life Away finalmente arriva un bell’intro di basso, aggressivo come una mitragliata. Anche nelle strofe il basso viene esaltato con un bel suono che quasi ricorda quello di Cliff Burton: una scelta di produzione che certamente dà maggiore corpo al brano. C’è da dire che altrove (in questo album e nei precedenti) Rob Trujillo viene ingiustamente sepolto nel mix. Non viene valorizzato per l’ottimo bassista metal che è (come del resto era già successo a Jason Newsted).
La già citata Lux Æterna, nella sua semplicità, era proprio il giusto lead single per lanciare il progetto. Con i suoi 3’21” di durata è anche il pezzo più breve dell’album, e forse per questo il più incisivo. Divertentissimi i vari falsi finali: è quello spirito libero da schemi che il rock dovrebbe riscoprire.
Crown of Barbed Wire vanta un bel riff principale che suona piuttosto diverso, più originale degli altri. Costruito sulla scala minore armonica, ha un gusto quasi orientaleggiante. If Darkness Had a Song invece colpisce per un intro “marziale” con cassa in quarti e veloci scariche di sedicesimi tipo gallop.
I testi
James Hetfield è – giustamente – spesso osannato come grande chitarrista ritmico, ma raramente viene ricordata la qualità di certi passaggi dei suoi testi. In questa sede vogliamo ribadire ciò, e 72 Seasons non fa eccezione da questo punto di vista.
A parte un ritornello sempliciotto come quello di If Darkness Had a Song (“If darkness had a son, here I am / Temptation is his father / I bathe in holy water”) e i concetti quasi lapalissiani di Chasing Light (“Without darkness, there’s no light”: comunque un nocciolo “filosofico” da non buttare via), sono molti i versi dell’album che colpiscono per la loro potenza.
Qualche esempio. “Staring into black light / Permanently midnight” (72 Seasons). “Nightmares grow / On I run / Still my shadows follow” (Shadows Follow; quasi un’immagine da Stranger Things). “Patch the broken sky / Craving dopamine” (Screaming Suicide). “Question yourself, you may learn / You are the witch you must burn” (You Must Burn!).
Ma Hetfield dà il meglio con Room of Mirrors, brano che sembra trattare in modo assolutamente non banale il tema della salute mentale: “In a mirrored room / All alone I stand / Seeing the past and the bone / The shame and the fear I hide / Could I show you what’s inside?”. Oppure: “Would you criticize, scrutinize / Stigmatize my pain? / Would you summarize, patronize / Classify insane?”. E ancora: “In a mirrored room / Talking to myself / And the voices pushing back / I’ll let them inside my heart / But they’ll tear it all apart”.
La copertina di 72 Seasons
La tracklist dell’album
- 72 Seasons
- Shadows Follow
- Screaming Suicide
- Sleepwalk My Life
- You Must Burn!
- Lux Æterna
- Crown of Barbed Wire
- Chasing Light
- If Darkness Had a Son
- Too Far Gone?
- Room of Mirrors
- Inamorata