Biffy Clyro: «È fantastico che i Måneskin siano diventati una delle più grandi band di quest’anno»
Il trio scozzese ha appena pubblicato il nuovo album di inediti, The Myth of the Happily Ever After, in cui si rivelano più che mai le influenze metal del frontman Simon Neil, che abbiamo incontrato via Zoom
Li avevamo lasciati appena un anno fa con l’album A Celebration of Endings, ma ecco che ora i Biffy Clyro – complice, probabilmente, un tour da recuperare – pubblicano un nuovo lavoro di inediti, ideale compagno e “contrappunto” del precedente. Disponibile da ieri (venerdì 22 ottobre), si intitola The Myth of the Happily Ever After ed è apertamente inteso come oscuro rovescio della medaglia, frutto della frustrazione derivante dai limiti all’attività musicale e alla socialità in genere imposti da 18 mesi di vita pandemica.
I testi prendono tinte fosche, le musiche si appesantiscono, rivelando più che mai le influenze metal di cui l’istrionico frontman Simon Neil conferma essere avido ascoltatore. È proprio il sempre conviviale Simon a raccontarci in collegamento Zoom la nuova creatura della band scozzese, che passerà dall’Italia a febbraio (il 26 a Milano e il 27 a Roma). Ecco un estratto dell’intervista ai Biffy Clyro che troverete integralmente sul numero di novembre di Billboard Italia.
Già dalla copertina è evidente come questo album sia fratello di A Celebration of Endings. In che modo i due progetti sono legati fra loro, praticamente e concettualmente?
A Celebration of Endings da un certo punto di vista suona un po’ naif, perché allora pensavo che fossimo sul punto di entrare in una nuova, entusiasmante realtà, in un nuovo livello di coscienza in cui saremmo sbocciati tutti insieme. Ma poi nel giro di due mesi la pandemia ha cancellato tutti i nostri piani e l’ottimismo è svanito, almeno per un periodo. Per cui questo album è un po’ un “reality check”, per ricordarci che individualmente non abbiamo molto controllo su ciò che il mondo ha in serbo.
Un paio di canzoni vengono dalle sessioni di A Celebration of Endings, ma ho scritto pezzi nuovi – sette o otto, intorno a settembre scorso – proprio perché non potevamo andare in tour. In questo caso abbiamo deciso di semplificare le cose: per A Celebration of Endings passammo sei mesi a Los Angeles a registrare, mentre stavolta abbiamo fatto tutto in un mese in una sala prove, solo noi tre e il produttore (Adam Noble, ndr).
Quando presentaste A Celebration of Endings tu mi dicesti che nella realizzazione dell’album avevate ascoltato parecchio l’album Rhythm Nation di Janet Jackson. Anche The Myth of the Happily Ever After ha un ascolto di riferimento?
Durante la pandemia ho iniziato ad ascoltare un sacco di musica pesante, hardcore e metal. Quando sono in ansia mi aiuta proprio a rilassarmi. C’è un gruppo americano chiamato Full of Hell, un fantastico progetto hardcore sperimentale. Oppure i The Armed, da Detroit. Per cui ho ascoltato molta musica “rumorosa”, che penso abbia aggiunto complessità all’album.
Infatti si sente che l’influenza metal è più marcata del solito. A proposito di metal, voi avete recentemente fatto la cover di Holier Than Thou dei Metallica per l’album tributo Metallica Blacklist. Una reinterpretazione molto originale: come l’avete approcciata?
È stato nello stesso periodo di registrazioni. Peraltro il primissimo concerto metal che ho visto fu proprio il live dei Metallica a Glasgow quando avevo 11 anni. Quindi per me sono una band fondamentale, senza di loro non farei quello che faccio.
Una cosa che non sopporto delle cover è quando una band fa una replica esatta dell’originale. Per me bisogna mettere il brano a nudo, mantenendo giusto il suo nucleo essenziale, e lavorare su quello. In quel caso, il nucleo è il riff principale, e quello è l’unico elemento che abbiamo mantenuto. Poi quando si fanno cover di pezzi metal a me piace renderli dolci e delicati, che è l’opposto di quello che ti aspetteresti da una canzone di James Hetfield.
Dopo che il rock è stato dato per spacciato nell’ultimo decennio, adesso stiamo assistendo a un grosso ritorno delle chitarre distorte in canzoni mainstream, da Billie Eilish a Olivia Rodrigo…
…o i Måneskin! È fantastico che siano diventati una delle più grandi band di quest’anno.
Cosa pensi di loro?
Li trovo grandi. Amo tutto ciò che è rock, ma la loro attitudine è semplicemente fantastica. Ho visto la loro performance al Global Citizen e avevano una presenza pazzesca. La musica rock porta questo con sé: un certo tipo di attitude che altri generi non hanno. Comunque sono d’accordo con te. Oggi più ragazze che mai si mettono a suonare la chitarra e danno vita a band. Le nuove popstar fanno sentire di nuovo le chitarre ai teenager.
Del resto, tutte le generazioni reagiscono a ciò che è venuto prima di loro. Negli ultimi dieci anni c’è stato poco rock perché il pop si rifaceva a un background hip hop e R&B, mentre adesso ha ripreso il rock degli anni ‘90. Sono questi corsi e ricorsi a mantenere l’arte interessante. Penso che questo sarà il decennio delle chitarre. Cazzo, ne sono certo!