I Måneskin e il salto in alto di Rush! Ascolto dell’album in anteprima
Tra pop-rock, giochi con tutti i cliché del genere, ballad e un tocco di punk inglese abbiamo ascoltato il nuovo lavoro del gruppo italiano più famoso al mondo
Raramente le copertine degli album riescono a rendere in maniera così nitida il momento che sta vivendo un gruppo o un artista. Quella di Rush! dei Måneskin pare davvero perfetta. Una modella è immortalata mentre salta loro – sdraiati – con gesto acrobatico. Le si alza la gonna e ognuno di loro reagisce in maniera diversa. Damiano gira la faccia divertito mentre fa finta di non voler guardare. Thomas invece urla spaventato. Ethan è decisamente dubbioso e si ritrae leggermente. Victoria ride rilassata.
Chissà se è il loro modo di farci sapere come hanno affrontato questi mesi di rush, corse senza sosta (appunto…), lontananze, mancanze. Compensate da successi pazzeschi, incontri incredibili e riconoscimenti mai visti da una band italiana.
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Un altro modo per raccontarcelo è sicuramente la musica contenuta in Rush! che uscirà venerdì 20 gennaio contemporaneamente in tutto il mondo e che abbiamo potuto ascoltare ieri all’anteprima per la stampa. Un album che stupisce più nella sua interezza, con mood piuttosto diversi tra loro, che non per i singoli pubblicati in precedenza. Perfetto per essere suonato dal vivo con il tour che partirà il 23 febbraio.
E questo ovviamente è scontato per i Måneskin, la band che deve affrontare il peso di portare la bandiera dell’influenza del rock in tutto il mondo. Questo non significa che non ci siano altri gruppi che suonino rock. Tutt’altro. Però in grado di cambiare le sorti del genere in giro ce ne sono davvero pochi.
E quindi arriva Rush! il loro progetto più introspettivo, come viene raccontato nella cartella stampa. Nato durante il 2022 tra Los Angeles, Tokio e anche in minima parte in Italia. Prodotto dal loro fedelissimo (anche manager) Fabrizio Ferraguzzo e da Max Martin (vi bastino come altri pezzi prodotti da lui: Baby One More Time di Britney Spears e I Want It That Way dei Backstreet Boys). Nato in analogico, “alla vecchia”, in uno studio di Los Angeles che poi distava da quello di Martin solo un chilometro.
Tanti, tantissimi i riferimenti e le citazioni ad altri gruppi e artisti del passato e del presente. Ma come i Måneskin stessi ci avevano spiegato fin dalla nostra cover story del novembre 2020, la loro forza sta proprio nel mischiare tutto senza farsi alcun problema. Il rock duro con le ballad melodiche. Il punk inglese (anche stavolta con Kool Kids!) e le influenze più smaccatamente pop.
Eccessivi? Caricaturali? Può essere a volte. Ma ai Måneskin non interesserà granché. Sarebbe bello comprendere come mai proprio loro siano riusciti a raggiungere un successo planetario. Carisma, presenza scenica, saper suonare e saper provocare con i giusti argomenti non sembrano essere abbastanza come motivazioni. Eppure, tutti debbono farsene una ragione e di sicuro bisogna gioirne tutti.
L’album parte con un pezzo che non schiaccia subito sull’acceleratore ma ha una produzione molto intrigante: Own My Mind. E mette subito le cose in chiaro: “Do you wanna to own my mind?” (vuoi possedere la mia mente?). La risposta crediamo di conoscerla, conoscendo la personalità dei quattro. Poi il singolo già uscito Gossip, con la partecipazione di Tom Morello, l’insuperabile chitarrista dei Rage Against The Machine che qui però non porta alcuna influenza del gruppo ma ricorda piuttosto un brano a là Franz Ferdinand dei primi 2000.
Poi attacca Timezone e sembra una ballatona da Red Hot Chili Peppers, quelli più classici, da Scar Tissue (senza che il pezzo lo ricordi). ma poi il suono si amplia, si allarga e diventa quasi pop. Il testo pare molto nostalgico e realistico. Chissà a chi è dedicata, “ci divide solo un differente fuso orario. Ci dividono solo 7 mila miglia”.
In Bla bla bla Damiano gioca a rendere la voce ancora più provocante per presentarsi come il perfetto cliché del rocker maledetto. “I wanna fuck, let’s go to my spot/But I’m too drunk and I can’t get hard”. Insomma, è tutto un gioco di sesso-droga e rock’n’roll e frecciatine per le polemiche con la Francia post-vittoria Eurovision. Cosa che ritorna anche in Feel: “Cocaine is on the table”.
Baby Said ha una costruzione molto poco scontata ed è piuttosto interessante, ma ancora meglio è Gasoline. Il pezzo, più in stile Marilyn Manson, presentato per la prima volta dal vivo in anteprima assoluta al Coachella un anno fa e dedicato alla guerra in Ucraina. Con tanto di “Fuck Putin” da parte di Damiano alla fine dell’esibizione.
Tiene alti i voltaggi Feel, che ricorda un po’ Seven Nation Army dei White Stripes. E stessa cosa fa Don’t Wanna Sleep, che saluta i Beatles ma soprattutto nel testo con la citazione “Wearing Lucy’s diamonds to get a little shine”.
Poi arriva Kool Kids e pare il post-punk degli Idles, dei Fontaines D.C. o degli Sleaford Mods. Mai sentito da Damiano, che pare assolutamente convincente nel suo accento cockney. “I’m a scum” canta, proprio come Joe Talbot degli Idles. “But cool kids they do not vomit/ Or at least not in front of Vic”.
Si placano le acque e parte If not for you, una ballad melodica e romantica, dove il suono è però sempre compensato dalla voce roca di Damiano. E a riportare la barra in mezzo è Read Your Diary, decisamente piacevole, con un suono molto anni ’90, a là Bush.
Poi partono i tre brani in italiano (la track list sarà identica in tutto il mondo). Mark Chapman, la prima, è decisamente interessante con il racconto angosciante di un ex-amante e/o di un mega fan trasformatosi in stalker, accompagnato da un suono in linea. Poi il già edito La fine e poi Il dono della vita. Per concludere, i tre singoli già usciti nei mesi scorsi: Mammamia, Supermodel e infine The Loneliest.
Chiude il testo più triste, un vero e proprio piccolo testamento dei Måneskin. “There’s a few lines that I have wrote in case of death, that’s what I want, that’s what I want”. Ma in fondo aggiunge: “Don’t be sad when I’ll be gone/ There’s just one thing I hope you know, I love you so”.