Ringo Starr: «Quella serata con Charlie Watts e John Bonham, se ci fosse stato TikTok…»
Esce domani (venerdì 24 settembre) il nuovo EP dell’ex Beatle, Change the World. Abbiamo incontrato virtualmente il batterista, che ci ha raccontato tutto con la sua solita simpatia
Con un piccolo aiuto dei suoi numerosissimi amici, Ringo Starr torna con un nuovo EP, il secondo fatto uscire in un anno. Dopo Zoom In ecco arrivare domani Change the World (sempre per Universal Music; la versione in vinile sarà disponibile a metà novembre), che si apre con l’ottimistica omonima traccia e si conclude con una cover del classico rock’n’roll di Bill Haley Rock Around the Clock.
Che Ringo, dall’alto dei suoi 81 anni, fosse infaticabile e che non lo fermasse neanche una pandemia lo si era capito anche durante la festa dei Grammy, quando lo abbiamo visto accanto a Billie Eilish. In un appuntamento con la stampa a livello globale l’ex Beatle si è prodigato in aneddoti e chicche, condito sempre da quel forte senso di ironia e leggerezza che lo rende un personaggio davvero sui generis del gotha del rock.
Domandona: tu pensi che alla fine i Beatles abbiano cambiato la storia del rock?
Non penso che abbiamo cambiato la storia del rock ma la storia della musica! Perché abbiamo completamente cambiato il modus operandi: noi incidevamo le canzoni che suonavamo dal vivo, e anche se George Martin ci proponeva delle canzoni di altri autori all’inizio, da subito abbiamo pensato di puntare soprattutto sul nostro songwriting, ed è stato grande! Ancora oggi vado fiero di questa nostra attitudine: noi quattro cambiammo la storia della musica.
Alla fine dell’EP c’è un classico del rock’n’roll. Ci racconti come entrasti in contatto con questo grande brano?
Rock Around the Clock – premetto che amo questo formato EP: mi permette di lavorare in maniera snella e rapida – mi riporta davvero indietro nei ricordi. Era l’anno in cui ero stato in ospedale e si stava avvicinando il mio quindicesimo compleanno. Parlammo con i dottori, mia madre fece un po’ di supplica e i dottori ci lasciarono andare.
Uscimmo due settimane prima che compissi gli anni e andammo a Londra con il mio patrigno per uscire con la sua famiglia per una settimana. Poi tornammo a Liverpool dai miei nonni, che mi hanno cresciuto con mia madre perché mio padre se n’era andato quando avevo 3 anni… Mi portarono al cinema a vedere Rock Around the Clock e l’atmosfera era turbolenta ed eccitante. Mi rimase impressa la giornata. Volavano le sedie e c’era aria di risse, pensai: “Wow, come sono cambiate le cose da quando sono uscito dall’ospedale!”.
Coming Undone suona come un classico brano alla Ringo Starr ma è stato composto assieme a Linda Perry. Com’è andata?
Amo le sorprese. Linda Perry ha scritto questa canzone per me e nel mezzo ci ha infilato un assolo di trombone, quindi abbiamo mandato la demo a New Orleans da far ascoltare a Trombone Shorty. E con chi altro dovremmo parlare di quello strumento! Lui è talmente potente che suona come vi fosse in studio un’intera sezione di ottoni.
Ancora un brano di matrice reggae dopo Waiting for the Tide to Turn che era nel tuo precedente EP. Ci fa capire che ami questo genere.
Sì, mi è sempre piaciuto il reggae, già amavo il calipso. Per Just That Way non abbiamo pensato a tavolino di avere un brano reggae ma si è sviluppato così. Tony Chin, che aveva già suonato nel mio precedente EP, ha portato quel tocco giamaicano che mi è piaciuto. Ho sempre amato suonare con differenti musicisti e mescolarmi con le loro influenze. Tony è un grande musicista e abbiamo fatto un gradevolissimo brano!
Ti rivedremo in tour con la tua Ringo Starr & His All-Starr Band, solo la pandemia ha fermato una storia lunga tre decadi!
Ah certamente, ma non sappiamo esattamente cosa fare, quale sarà il passo successivo. Pensavamo a febbraio di quest’anno che saremmo tornati in settembre… La pandemia non rende possibile una programmazione. Sicuramente è un periodo strano, fatto di attese e di rimandi. Ho una voglia pazzesca ma sono qui a parlare online con voi… Ma a proposito Ringo Starr & His All-Starr Band e delle tre decadi, ricordo ancora che lineup pazzesca era già la prima, quella del 1989. Joe Walsh, Dr. John, Levon Helm… tutti erano grandissimi!
Di recente ci ha lasciato un grande batterista, Charlie Watts. Ci vuoi raccontare un tuo ricordo?
Era una persona piacevole e quieta. Negli anni ’70 eravamo “buoni vicini” di quartiere nella zona londinese di Kings Road e spesso ci vedevamo durante alcuni party. Ricordo una divertentissima serata dove c’eravamo io, Charlie e John Bonham. Se ci fosse stato TikTok avremmo immortalato la scena! Sai, all’epoca non ci facevamo neanche troppe foto…
Cosa pensi del lavoro fatto da Peter Jackson con la miniserie Get Back?
Ah, è un bel po’ lunghetto… (ride, ndr) Il documentario del 1970 girato da Michael Lindsay-Hogg durava la classica oretta e mezzo ma Peter Jackson si è messo a lavorare su una quantità pazzesca di materiale (circa 56 ore di girato, ndr). Devo dire che siamo stati fortunati che Peter abbia messo le mani su quel materiale e l’abbia reso ancor più interessante, anche se l’inizio del documentario è un poco lento. Io all’epoca avevo un sacco di voglia di suonare dal vivo e alla domanda di Paul “chi vuole suonare dal vivo?” io risposi immediatamente di sì! Potevamo suonare in cima un vulcano, ovunque, ma lo facemmo sul rooftop di un palazzo a Londra.