Interviste

The Pretty Things: Dick Taylor racconta i segreti della band che diede vita al movimento mod e non solo

Da selvaggi rocker degli esordi a sofisticati psichedelici alla fine dei Sessanta, un sontuoso cofanetto di tredici dischi celebra a dovere la brillantissima avventura di una delle band cardine del rock britannico

Autore Federico Guglielmi
  • Il11 Aprile 2023
The Pretty Things: Dick Taylor racconta i segreti della band che diede vita al movimento mod e non solo

I Pretty Things nel 1970 (fonte: ufficio stampa)

A dispetto di una notorietà certo ben più che di culto ma mai veramente di massa, i Pretty Things hanno avuto un ruolo importante nell’ambito del rock d’Oltremanica, cogliendo lo spirito dei tempi che cambiavano, fungendo da ispirazione a numerosi colleghi e realizzando svariati dischi di assoluto valore tra i quali è impossibile non menzionare almeno S.F. Sorrow, che nel 1968 fu uno dei primi concept album – o, se preferite, “rock opera” – della storia.

Nel 2020, la morte del cantante Phil May purtroppo ha posto fine alla vicenda della band, ma la sua eredità continua a scintillare. Ne è consapevole e fiero il suo partner in crime, il chitarrista Dick Taylor, da noi raggiunto per un esplicativo scambio di battute.


Ecco un estratto dell’intervista che trovate integralmente sul numero di marzo/aprile di Billboard Italia.

L’intervista a Dick Taylor dei Pretty Things

Un cofanetto con tredici LP è qualcosa che non molti possono permettersi. Sei orgoglioso della discografia dei Pretty Things?

Sono contento che i nostri album in studio siano disponibili in un’unica confezione. Ne sono totalmente appagato e mi piace l’idea che gli acquirenti potranno verificarne il valore avendoli tutti assieme. Naturalmente mi auguro che trarranno piacere dal loro ascolto.


Per tua scelta, sei assente da alcuni di questi dischi. Col senno di poi, ti dispiace di non essere sempre stato nella band?

Avevo lasciato i Pretty Things puntando ad allargare i miei orizzonti, e non sono sicuro che se fossi rimasto mi sarei goduto quegli anni tanto quanto ho fatto mentre ero “fuori dall’ovile”. Durante quel periodo la mia vita è stata piena e varia… quindi sì, anche a posteriori credo che sia stata una decisione giusta.

S.F. Sorrow è un disco magnifico, uno dei capolavori della storia del rock. Qual è la tua opinione in merito?

A disco terminato, percepivo che avevamo creato qualcosa di significativo. Insolitamente, lì dentro non c’era niente che avrei voluto cambiare e nella sua interezza sembrava davvero avere una specie di vita propria. Benché non abbia venduto milioni di copie, ero felicissimo di averlo realizzato e penso che il tempo abbia confermato la mia opinione.

Quali altri vostri album reputi di maggior valore, e per quali motivi?

È una domanda molto difficile. Credo che la risposta più giusta sia Bare as Bone, Bright as Blood, uscito nel 2020 poco dopo la scomparsa di Phil. Non solo per le sue qualità musicali, ma anche per l’intensità del lavoro svolto così a stretto contatto con lui su quello che sapevamo sarebbe stato l’ultimo capitolo dei Pretty Things.

Dopo oltre cinquant’anni non sei pentito di non essere rimasto a suonare il basso nei Rolling Stones?

Nemmeno per un minuto, a parte che questa cosa mi viene chiesta di continuo! Tranquillo, però, non mi dà fastidio!


Che effetto ti fa sapere che tanti colleghi abbiano visto in voi un modello fondamentale?

È sempre molto gratificante scoprire di aver influenzato gli altri, che si tratti di David Bowie, dei Kasabian o di una giovane band locale. Specie queste ultime, in realtà.

Pretty Things - 1970 - intervista - 2
Pretty Things (fonte: ufficio stampa)

Il cofanetto dei Pretty Things

Pubblicato il 31 marzo dalla Madfish in mille esemplari, The Complete Studio Albums: 1965-2020 raccoglie come da titolo i tredici “veri” LP dei Pretty Things, ovviamente in versioni rimasterizzate. Dall’esordio omonimo all’antologia di cover acustiche Bare as Bone, Bright as Blood, passando per altre pietre miliari come Get the Picture? (1965), S.F. Sorrow (1968) e Parachute (1970), un eclettico, appassionante viaggio tra R&B, rock and roll, beat, garage, psichedelia, hard rock.

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