Rock

The Smile, una salutare “terapia di coppia” (con batterista) per riconquistare il rock più coraggioso dei Radiohead

Considerazioni dopo il triplo concerto londinese in streaming (e in presenza) appena avvenuto nel weekend, che suggella i primi passi del supergruppo di Thom Yorke e Jonny Greenwood

Autore Tommaso Toma
  • Il31 Gennaio 2022
The Smile, una salutare “terapia di coppia” (con batterista) per riconquistare il rock più coraggioso dei Radiohead

The Smile: da sinistra a destra, Tom Skinner, Jonny Greenwood e Thom Yorke (foto di Alex Lake)

C’è qualcosa di antico già nel nome con quel “The” e qualcosa di estremamente contemporaneo in tutto il modus operandi del side project di Thom Yorke e Jonny Greenwood, The Smile. Il modo in cui viene presentato questo live, il primo della band, è un’operazione accuratissima, sensibile ai problemi contingenti ma anche estremamente affilata dal punto di vista commerciale.

Il team di produzione al quale si è affidata la nuova band, che si chiama Driift, è da più di un anno che sperimenta soluzioni in streaming per i live, prima in situazioni totalmente prive di pubblico (qualcuno si ricorderà del bel concerto di Laura Marling alla Union Chapel di Londra ancora in epoca di lockdown) per poi arrivare alla produzione dello streaming dell’ultimo Glastonbury.

La costruzione di un nuovo tipo di live

Come ha dichiarato Ric Salmon sulle pagine di Billboard USA: “Lo show dei The Smile è completamente bespoke: tutto è stato costruito da zero, modellato in un auditorium circolare con il pubblico su tutti i lati dello spazio, circa quindici file in totale. Le riprese sono effettuate con nove telecamere e la presenza di video LED che mostrano contenuti coinvolgenti”.

Prosegue nei dettagli: “Le camere sono posizionate in modo davvero discreto: i fan probabilmente non se ne accorgeranno nemmeno. Ti sembrerà di essere a un concerto. Pensiamo che questa sia la prima volta che un’esperienza dal vivo è stata specificamente progettata e curata per entrambi i pubblici in parallelo”.

Ecco, la chiave di questo concerto per la band era di offrire il più possibile un’esperienza diretta, con pochi filtri senza l’invasività di effetti scenografici e trovate iper-tecnologiche. Non poteva essere il metaverso o il mondo del gaming l’universo di riferimento per una band come questa. Si prospettano dunque soluzioni interessanti per una fetta di pubblico che vuole “altro”.

The Smile, una “terapia di gruppo” che funziona

Un qualcosa di “altro” cercato da un pubblico trasversale. Dagli over 40 che da lustri seguono le gesta dei Radiohead scendendo giù fino a quell’ampia area di giovani attratti dalla musica che ha un richiamo fortissimo a una certa, sofisticata, coraggiosa forma di rock, che è proprio l’approdo di una band come The Smile.

Se Atoms for Peace o la musica da solista per Thom possono apparire degli “electronic divertissement” e le colonne sonore per Jonny un nuovo esercizio di stile, rispetto al loro lavoro con i Radiohead, questo progetto – che coinvolge anche un batterista/strumentista notevolissimo come Tom Skinner – è una sorta di “terapia di coppia”. Un modo per ricollegarsi con fluidità (lo scambiarsi gli strumenti) al Paradiso Perduto di quel tipo di rock visionario e coraggioso che ha segnato un’importante parte della carriera della band di Oxford.

Il concerto, fra tappeti persiani e strumentazione Seventies

Racchiusi da una sorta di gabbia di luce sormontata da una struttura a LED, la band si esibisce come se fosse su un ring. Il pubblico assiepato ai quattro lati rumoreggia già prima dell’inizio del live (altra trovata registica, far sentire il chiacchiericcio pre-concerti…). Pare anche di entrare nello studio della band. Fra i tappeti persiani adagiati sul palco si trovano diverse pedaliere per Jonny, un piano Fender Rhodes e un piano verticale, bassi, chitarre e della elettronica (come l’oscillatore Buchla Tiptop Audio, usatissimo da Skinner).

Un conglomerato di strumenti che richiamano alla mente Can, Captain Beefhart, Gong ma anche Stereolab, Battles e i recentissimi Vanishing Twin (come ci avrei visto bene al posto di Tom la “nostra” Valentina Magaletti alla batteria). E pensare che mancano sul palco la tuba di Theon Cross e la tromba di Byron Wallen, che saranno presenti nel lavoro su disco. Si compie già da qui quel recupero a cui accennavo.

Il live è un crescendo di qualità ed emozioni. Parte con lo strumentale Pana-vision e la già conosciuta The Smoke. Poi tocca alla soffusa e notturna Speech Bubbles, che si conclude con il primo virtuosismo di Jonny chino sul piano verticale, mano sinistra sulla tastiera e mano destra che si muove su una vicina arpa. Con Thin Thing, aumenta la velocità di sincronismo tra gli strumenti. Jonny pizzica gli accordi in maggiore e il terzetto lo segue. Open the Floodgates pare ancora una sorta di intermezzo, notturna e con protagonista la voce di Thom.

Il primo gioiellino arriva con Free in the Knowledge. Thom imbraccia la chitarra acustica per una canzone pop direttamente connessa alla tradizione Radiohead nella struttura ma arrangiata come una canzone estiva di metà anni ’70. Il brano poi scivola in un vortice d’improvvisazione tra il mantrico e lo psichedelico, tra Velvet Underground e The End dei Doors: è la vorticosa A Hairdryer. La voce di Thom da salmodiante s’insinua tra le trame perfette della batteria di Skinner mentre c’è un close up sui candidi calzini bianchi di Greenwood che spedala tra gli effetti.

Brevissima pausa e poi la camera gira vorticosamente attorno al ring inseguendo il ritmo di un brano rock fine ‘70: We Don’t Know What Tomorrow Brings. Se una volta, ai tempi del punk, si cantava No Future, oggi ci si preoccupa del domani, l’emergenza pandemica deve aver fatto riflettere la band.

Il concerto si è acceso definitivamente, il terzetto è sempre più in sintonia. Skrting on the Surface è una bel soft rock sempre con gli arpeggi di Greenwood che hanno delle venature Seventies. The Same ha un inizio minimalista e un finale pieno di pathos. E si va verso la fine con il brano più funk del set, The Opposite, prima del singolo You Will Never Work in Television Again. E un rientro in scena dopo la pausa con un filo di soul nella notevole Just Eyes and Mouth (ma forse sarà meglio sentirla incisa). Putroppo nel set seguito non ho potuto godere della loro cover di Different for Girls di un’autentica anti-star del rock anni ’80, Joe Jackson.

La scaletta del primo concerto di sabato 29 gennaio

  1. Pana-vision
  2. The Smoke
  3. Speech Bubbles
  4. Thin Thing
  5. Open the Floodgates
  6. Free in the Knowledge
  7. A Hairdryer
  8. Waving a White Flag
  9. We Don’t Know What Tomorrow Brings
  10. Skrting on the Surface
  11. The Same
  12. The Opposite
  13. You Will Never Work in Television Again
  14. Just Eyes and Mouth
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