Abbiamo ascoltato “Western Stars” di Bruce Springsteen
L’album che non ti aspetti se sei un ultrà del Boss con la E Street Band. Ma il lato languido e notturno di Bruce in “Western Stars” affascina
Avevamo conosciuto – fino a poche ore fa – solo due tracce di questo album firmato solo ed esclusivamente dal Boss. La prima bellissima, Hello Sunshine, con il suo tocco malinconico, la seconda sfacciatamente pop, There Goes My Miracle (all’ascolto privato in Sony di qualche settimana fa ho visto le facce basite di due storici springsteeniani). Ecco, sono due singoli che rappresentano bene l’impianto estetico di questo album concepito su precise identità sonore e narrative. Gli interventi orchestrali sono distribuiti omogeneamente in Western Stars e la sempre liquida narrazione on the road di Bruce, che rende epici uomini dalle storie ordinarie, è la cifra stilistica delle liriche.
L’album si apre con un crescendo, la chitarra acustica accoglie un’orchestra che poi si prende tutto lo spazio. È Hitch Hikin’, un buon incipit, seguito da una delle assolute gemme di Western Stars: The Wayfarer. Alle chitarre e all’orchestra si aggiunge il sound familiare dell’organo Hammond, il titolo – seguendo una ricerca sembra ispirarsi a un omonimo film muto del 1912 dove il sottotitolo recita “A rapidly moving kaleidoscope western adventure”, perfetto per descrivere anche questo album. Le successive Tuscon Train e Western Stars sono ricolme di riferimenti a quell’universo statunitense sul quale si è sempre mosso il Boss: l’attesa di un possibile cambiamento, le auto e il treno per spostarsi e per redimersi, addirittura John Wayne, i coyote e un mojito.
Seely Joe’s Café è da allegra festa di paese, con quel tocco di fisarmonica. Altro brano di notevole bellezza è Drive Fast (The Stuntman) con una languida slide guitar descrittiva e atmosferica. E l’orchestra che dialoga e rafforza la storia di un uomo che nonostante le ferite e le cicatrici procuratesi sul lavoro non ha paura. L’album scivola via piacevolmente e poco rock, come dicevo, incespica con il singolo There Goes My Miracle. Ma per fortuna c’è la closing track Moonlight Hotel, un’altra ninna nanna, un finale notturno e sospeso. Giusto il tempo per guardare le stelle che si accendono sopra di noi.