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Radio: il 2017 è stato l’anno d’oro della raccolta pubblicitaria

Spesso data per spacciata, nel suo complesso la radio italiana gode oggi di ottima salute. Merito di un pubblico pregiato e di una naturale alleanza con le nuove tecnologie

Autore Michele Chicco
  • Il1 Febbraio 2018
Radio: il 2017 è stato l’anno d’oro della raccolta pubblicitaria

È stata data per morta svariate volte nel corso della sua storia ma ci si ritrova ancora qui ad ascoltarla perché dopo oltre un secolo scoppia di salute: la radio sopravvive alle innovazioni tecnologiche, diventa alleata di internet e può permettersi di considerare il 2017 un anno da primato. Mentre la carta stampata fa fatica e la televisione è in affanno, nel mondo FM è festa grande: la raccolta pubblicitaria nei primi nove mesi dell’anno in corso è in crescita del 4,2%, grazie a un settembre sfavillante che ha segnato l’11,7% in più rispetto al 2016. Per intenderci, ricorda Nielsen, negli stessi primi nove mesi la televisione ha incassato un deludente -2,7% e la stampa quotidiana non è riuscita a tamponare un’emorragia che la tormenta da anni: -9,9%. Tutto grazie agli ascolti che per la radio rimangono molto alti nel cosiddetto drive time – la fascia di maggiore ascolto, quella pomeridiana – e stabili laddove per gli altri sono in calo: «Il suo pubblico è ridotto rispetto a quello televisivo ma è più pregiato», spiega Giorgio Simonelli, storico dei media e direttore del master Fare Radio dell’Università Cattolica di Milano.

Con la sorella maggiore, la televisione, il patto è chiaro: il rapporto è di complementarietà e non ci si pesta i piedi. A differenza della TV, «la radio – dice Simonelli – ha delle fasce orarie molto intense e scompare dopo le nove di sera. Ma quando viene ascoltata non è mai per caso: si fa tesoro delle informazioni e le parole entrano a far parte del quotidiano. Con la televisione si è solo spettatori della vita degli altri». Insomma, nel tempo una tradizione che sembrava incrollabile si è rovesciata e «la casalinga, che prima la ascoltava stirando, adesso accende la TV per cercare compagnia senza sforzi e si concentra quando è accesa la radio: c’è attenzione empatica, si prova fiducia e simpatia verso lo speaker. Chi ascolta dice: “Questa è la mia radio”».

Per i pubblicitari l’identificazione con un medium è una benedizione ed è per questo che (controcorrente) crescono gli investimenti dei brand. Si costruiscono spot su misura per un pubblico esigente e legato all’unicità dell’emittente. È una novità per la radio perché in passato a giocare questo ruolo nelle dinamiche domestiche era la televisione. Sacrificando sull’altare dell’on demand l’idea stessa di palinsesto, però, «la TV – sentenzia Simonelli – ha perso la sua riconoscibilità. Oggi manca una rete televisiva forte. Ogni stazione radio, invece, mantiene la propria identità e si differenzia dalle concorrenti», puntando su un’offerta di contenuti originale e galvanizzando la fantasia di chi produce gli spot.

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Ph: Igor Ovsyannykov / Unsplash

La musica è una componente essenziale di questa unicità programmatica. Grazie alle canzoni passate ogni giorno vengono scremati gli ascoltatori e per una sorta di darwiniana selezione naturale restano in corsa quelli che davvero si rispecchiano nelle parole che ascoltano. Una magia. «La radio – dice Simonelli – è nata con la musica. Il suo primo modello doveva trasmettere musica e chi l’ha inventata aveva questa volontà. L’identificazione con le canzoni è ormai di tipo storico ed è il luogo dove gli artisti trovano il loro immediato riconoscimento: quando un pezzo è in onda quella canzone acquista un’identità più forte».

Senza timore, in radio nessuno ha avuto paura di mescolare le vecchie competenze con le novità portate dall’inarrestabile innovazione tecnologica. Scommessa vinta: mentre televisione e stampa si arroccavano per proteggere i propri confini, chi lavorava in piedi davanti a un microfono ha colto le opportunità del tempo. «Ci si è perfettamente integrati con i nuovi media – spiega Simonelli – e del resto non sarebbe potuto essere altrimenti perché l’interattività è propria del mezzo, fin da quando le trasmissioni erano aperte al pubblico grazie al telefono, usato per intervenire da casa. La capacità primordiale di saper fare incontrare media diversi ha fatto in modo che la radio si adattasse molto di più rispetto a TV e giornali al mondo veloce di internet». Il digitale, alla fine, non è stato visto come un nemico, anzi: l’audio è diventato via via più pulito e si è detto addio alle trasmissioni saltate per un temporale. L’alleanza ha fruttato ed è anche grazie ai social network che c’è chi grida al miracolo: «Quando è nata la televisione si diceva che la radio dovesse essere emarginata, ma nulla; negli anni ’90 sembrava che dovesse sparire e invece ha resistito; con l’arrivo dei nuovi media c’era chi avrebbe piangeva il delitto perfetto, ma siamo ancora qui a celebrare l’ennesima resurrezione», ricorda Simonelli, sorridendo.

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