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Sì, sarà un’avventura: gli album più ambiziosi di Lucio Battisti

Breve viaggio attraverso tre dei dischi più innovativi del leggendario artista, che ci lasciava 25 anni fa esatti, il 9 settembre 1998

Autore Piergiorgio Pardo
  • Il9 Settembre 2023
Sì, sarà un’avventura: gli album più ambiziosi di Lucio Battisti

Sono trascorsi esattamente 25 anni da quando, una mattina del 9 settembre del 1998, Lucio Battisti ci ha lasciati prematuramente, mentre anche i recenti risvolti delle vicende giudiziarie che coinvolgono Sony Music e i suoi eredi hanno riportato alla cronaca il suo nome illustre.

La sua arte però va ben al di là di ricorrenze e attualità. Non solo in quanto un classico della musica e della cultura italiana, ma perché in grado, ancora oggi, di precorrere il presente e anticipare il futuro.

Tenendo come riferimento il saggio Un gusto superiore, pubblicato quest’anno da Edizioni Crac, vi proponiamo un viaggio un po’ insolito e sorprendente, attraverso gli album del Lucio Battisti più ambizioso e più desideroso di scardinare quel formato canzone nel quale eccelle il suo genio amichevole e grande.

Amore Non Amore (Ricordi, 1971)

Il concept

Il primo dei dischi “avventurosi” di Battisti che prendiamo in considerazione è Amore Non Amore. Si tratta di un concept, tutto incentrato sulla contrapposizione fra brani strumentali dedicati all’“Amore” in positivo e brani cantati sul “Non Amore”.

Le canzoni ricordano per la rudezza Howlin’ Wolf e James Brown. Gli intermezzi strumentali, dai titoli chilometrici che anticipano Lina Wertmüller, si nutrono di West Coast, misticismo e del famoso viaggio a cavallo per l’Italia di Mogol e Battisti.

Lucio penò moltissimo per questo disco, irritato dalla ritrosia a pubblicarlo da parte della Ricordi, che lo fece precedere da Emozioni (Ricordi, 1970), una raccolta di successi, più che un’opera a sé stante. L’autore percepiva invece l’album come innovativo. E aveva ragione.

Lucio Battisti precursore del prog rock italiano

Già allora, come avrebbe sempre fatto per tutta la sua carriera, Lucio guardava più all’estero che al panorama nazionale.

Se fosse uscito nell’anno in cui fu scritto avrebbe preceduto di qualche mese i primi grandi dischi del prog rock italiano, come Collage delle Orme, Concerto Grosso dei New Trolls o L’Uomo dei napoletani Osanna. Il ritardo annullò invece l’effetto sorpresa e l’album sembrò sul momento una specie di sortita anticonvenzionale nell’immaginario hippie.

Con il senno di poi possiamo dire che si trattava di molto di più. Il Battisti fabbrica-hit metteva in discussione la forma canzone, circondandosi di grandi musicisti come la PFM, Dario Baldan Bembo e il compianto Alberto Radius.

Il successo commerciale

L’album di Lucio Battisti raggiunse il primo posto in classifica e fu tra i dieci album più venduti del 1971, preceduto da La Buona Novella e seguito da Concerto Grosso n.1, tutti e tre arrangiati dal grande compositore Gian Piero Reverberi.

La Ricordi lo ritenne un prodotto anomalo, ma in realtà esso si allinea a molte altre ambiziose composizioni battistiane del periodo. Oltre a Non è Francesca ricordiamo le complesse Amor Mio e Insieme, scritte per Mina, Vento nel Vento, con il suo assolo cinematico di archi, ancora di Reverberi,la celeberrima Pensieri e Parole, in cui Lucio Battisti duetta con se stesso, impersonando i due piani narrativi del titolo, nel contesto drammatico della fine di un amore. La formazione in studio era la stessa di Amore Non Amore, con in più Damiano Dattoli al basso.

La classe non è acqua. E quell’album di Lucio Battisti suona attuale ancora oggi, a più di 50 anni.

Anima Latina (Numero 1, 1974)

L’apice della sperimentazione

Anima Latina è diventato negli anni un vero totem, oggetto di continue scoperte e riscoperte che arrivano fino alla bellissima cover incisa da Cosmo di Abbracciala, Abbracciali, Abbracciati, o alla citazione dei Coma Cose nella loro, altrettanto suggestiva, Anima Lattina.

L’album è forse l’opera in cui la persona giuridico-artistica Mogol-Battisti raggiunge il suo punto più avanzato di sperimentazione.

Si parlò allora di mixaggi sbagliati, di catena del master sfasata, di testi improvvisati. In realtà era tutto frutto di scelte e di una creatività senza censure che guardava all’Africa, al Brasile, all’elettronica tedesca. Non a caso il processo creativo che portò alla prima stesura dell’album fu realizzato, come era tipico degli anni ‘70, da una “comune di musicisti”.

Qualche curiosità

La prima curiosità concerne i turnisti, che figurano spesso non accreditati o sotto falso nome per problemi contrattuali. Per esempio, Dodo Nileb (palindromo del genovese belìn) era il percussionista Franco Loprevite, Bob John Wayne era Bob Callero, Gneo Pompeo potrebbe essere Gian Piero Reverberi, anche se quest’ultimo l’ha sempre negato. Tony Esposito invece ha dichiarato di aver suonato le percussioni in diversi passaggi, pur non essendo accreditato.

La seconda curiosità riguarda invece la strumentazione, avanzatissima per l’epoca. In sala d’incisione c’era un EMS Synthi Hi-Fi-Vemia, strumento rarissimo, prediletto in quello stesso periodo da David Gilmour, che Lucio aveva acquistato a Londra e che è stato da poco riprodotto dalla Digitana Electronics, per volere del famoso attore Vincent Gallo.

L’album vendette “soltanto” 250mila copie: ne conseguì per Lucio Battisti un momento di riflessione e apparente ridimensionamento. Quando la musica tornò a bussare alla sua porta, lui rispose allegro: Ancora Tu?

Hegel (Numero 1, 1994)

Il “Battisti bianco”

Facciamo un salto in avanti. Arriviamo al cosiddetto “Battisti bianco”, quello attualmente più interessato, a livello di diffusione, dai problemi contrattuali fra Sony Music ed eredi del Maestro.

Bianco per il non colore delle copertine. Soprattutto per l’essenzialità quasi impersonale di tutti i dischi a partire da Don Giovanni. Anzi, come chiarisce Donato Zoppo nel suo saggio Scrivi il tuo nome su qualcosa che vale, fresco di pubblicazione, da E già, il primo senza Mogol.

Hegel dal suo canto forse non è la pagina più alta, ma è certamente la più ambiziosa e spiazzante del Battisti bianco. Un disco difficile, un “work in progress” come circa vent’anni prima lo era stato Anima Latina.

Il sabotaggio del formato canzone

Con la complicità del paroliere Pasquale Panella, nell’album Lucio Battisti procede a un vero e proprio sabotaggio del formato canzone. In brani come Almeno l’Inizio, Tubinga, la title track, le strutture sono talmente irregolari da far pensare sulle prime a delle parti vocali improvvisate sulla base elettronica.

Ogni brano è come una semiretta che comincia e non finisce. Il cantato non rispetta gli accenti delle parole, un decennio prima che si cominciasse a farlo diffusamente in ambito indie. Non caso uno dei pezzi più interessanti dell’album, La Bellezza Riunita, ha dato il titolo ad una compilation di riletture del Battisti bianco, edita nel 2018 dalla Industrie Discografiche Lacerba, con artisti come Myss Keta, Max Collini e Jukka Reverberi, Federico Fiumani, Rachele Bastreghi dei Baustelle.

Un altro pezzo straordinario è La Moda nel Respiro, che è nello stesso tempo ironico e pieno di delicata malinconia e note altissime in falsetto. Una delle prove vocali più ardue di tutta la discografia di Lucio Battisti. Non meno spiazzante è la ritmica quasi jungle, che sul finale dà luogo ad una specie di ostinato acustico-elettronico degno di un club berlinese.

L’album si chiude in modo secco. Senza commiato, contro ogni logica, una summa del pensiero Battisti-Panella e della sua divertita e insieme problematica autoindulgenza. Si tratta del disco a tutt’oggi più incompreso di Lucio Battisti: un quinto posto come picco nella classifica di vendite e solo otto settimane fra i primi cinquanta, per un totale di 100mila copie vendute.

Ci sono registrazioni inedite negli archivi?

In più occasioni il discografico Roberto Gasparini ha riferito di un incontro negli uffici della BMG in cui si sarebbe discusso di un fantomatico seguito. La sua realizzazione sarebbe stata stroncata dalle difficoltà nel raggiungere un accordo economico e dalla sopravvenuta scomparsa di Lucio Battisti a trattative ancora in corso.

Che queste registrazioni siano in qualche archivio gelosamente custodito dalla famiglia Battisti, o che Hegel sia a tutti gli effetti un canto del cigno, certamente Lucio stava creando una nuova ipotesi di espressione cantautorale. E di bellezza riunita.

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