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Dai blackout di questi anni all’industria che ti stritola, Baby K: «È il momento di buttare giù il mio stesso cartonato di Barbie»

Un’industria che stritola e pretende solo “la hit”. Una casella dove vieni catalogata solo come “quella dei pezzi estivi”: l’artista è tornata con un nuovo singolo e ci racconta molto altro di sè

Autore Silvia Danielli
  • Il18 Maggio 2024
Dai blackout di questi anni all’industria che ti stritola, Baby K: «È il momento di buttare giù il mio stesso cartonato di Barbie»

Baby K, Fino al blackout è il suo nuovo singolo. Foto di Roberta Krasnig

Baby K ovvero l’unica donna che abbia ricevuto il disco di diamante. Non è facile essere l’artista italiana con la massima certificazione e poi essere messa un po’ in un angolo dall’industria musicale. Arrivare all’apice e poi dovere mantenere costantemente gli standard raggiunti. È quasi impossibile. Ma immaginatevi quanto possa risultare asfissiante se in più sei anche una donna e molto bella, spesso rinchiusa in una categoria come fosse una scatola sigillata, quella dei “tormentoni estivi”. Questo è un po’ quello che è accaduto a lei, Baby K ovvero Claudia Judith Nahum, nata a Singapore, cresciuta in giro per il mondo a seguito del lavoro di suo papà, e vissuta soprattutto a Londra.

Claudia è stata una delle prime artiste, insieme (o subito dopo) a La Pina, a rappare nel nostro Paese e ha sicuramente anche il primato di avervi introdotto i ritmi reggaeton e latin. È stata però anche definita con toni sprezzanti “quella dell’estate” perché ha firmato parecchi tormentoni dal disco di diamante (appunto) Roma-Bangkok con Giusy Ferreri a Da Zero a Cento. Poi le mode cambiano, il sistema pretende solo che tu streammi e resti spiazzato dal meccanismo. Ma ora Claudia è tornata e desiderosa di rimanere. Ha pubblicato settimana scorsa il nuovo singolo Fino al black-out e ieri il video. L’abbiamo incontrata nello studio del suo manager e socio Mattia Zibelli, perché Baby K ha anche preso in mano, già nel 2019, il possesso delle sue edizioni, dando a Sony Music la licenza.

Perché Fino al Black Out? Che cosa ci racconta?
Credo che il significato si comprenda meglio solo con il video. Penso di apparire in modo molto diverso rispetto ai precedenti perché è tutto incentrato sulla forza femminile. Si basa sull’idea che in un momento così caotico, soprattutto dal punto di vista musicale, dobbiamo mantenere ben salda la nostra essenza, la nostra forza interiore. Perché quando si spengono le luci e si assiste al black out è l’unica cosa che ci tiene in vita.
Qui mostro anche la voglia di amare me stessa, baciando lo specchio. È importante ricordarci di volerci bene, in un mondo che è abituato a mettere le donne sotto una lente d’ingrandimento, soprattutto dal punto di vista estetico.  E poi mi mostro combattiva come risposta a quello che ho vissuto in questi ultimi anni. Tra l’altro nel mio video c’è una citazione a un mio precedente lavoro, Primo round. Ecco io cerco di recuperare quella attitudine da rapper pronta a tutto.

Che cosa hai vissuto?
Ognuno aveva un’opinione su chi dovevo essere e che cosa dovevo fare e riteneva di poterla esprimere. Invece io sono voluta tornare alla mia intuizione. Il mio percorso parte da quello: dalla autoproduzione alla major e ne sono molto fiera.

Quali sono state le opinioni più nocive?
Chi ti circonda ti spinge – anche comprensibilmente – verso una corsa ai numeri, che a me peraltro non sono mai mancati nella carriera, e alla hit. Che può essere studiata a tavolino, ovvio, ma nel mio caso non ha assolutamente mai funzionato. Io vengo dal niente: né da un talent né dalla TV, tutto è nato solo da una mia intuizione artistica di volermi porre in modo totalmente diverso rispetto a quello delle colleghe in Italia di quel periodo.

Questa ricerca ossessiva della hit però porta l’artista al logoramento, come stanno dicendo i molti che finalmente affrontano il tema della salute mentale. Dobbiamo sopportare il peso di troppe pressioni e curare troppi aspetti, dove la musica passa in secondo piano. Ecco io non voglio mai essere schiava delle mie hit.

Ma nello specifico quali commenti ti hanno ferito?
Mi hanno messo sotto pressione quelli che mi dicevano: “Bene, ora sii te stessa ma cambia”. Ma cosa vuol dire? Se i tuoi pezzi sono iconici, e sono stati spesso imitati dagli altri, perché li devi cambiare? Lo capisci quando tutti seguono solo un trend. Alla fine io ho portato il rap e il reggaeton per primo. Io penso di avere le redini della mia carriera e non voglio esserne vittima.

Quale genere vuoi portare ora?
Mi ha sempre affascinato portare il mio melting pop culturale perché penso mi rappresenti in pieno. È anche tutta la vita che mi sento un pesce fuor d’acqua, sia quando ero in Inghilterra o in Indonesia, sia quando sono tornata in Italia. Però ho deciso che questo doveva diventare il mio punto di forza. Tutto questo si deve rispecchiare nella mia musica che deve rimanere il mio ibrido. Nei testi voglio lanciare un messaggio, che rimanga sempre di libertà e leggerezza, ma anche molto di empowerment. Vorrei comunicare qualcosa di più di me, un po’ come quando rappavo per testi più crudi.

Vorresti dei testi più conscious?
No, non proprio: più maliziosi. Vorrei dire cose più forti, prendere maggiormente posizione, senza essere costretta a tornare al rap.

Su quali temi?
Mi chiedo da sempre che cosa io voglia comunicare nelle canzoni. E io vorrei che quando una persona schiaccia play per un mio pezzo si senta il più fregno o la più fregna. Vorrei che il mio messaggio arrivasse a tutti, perché vorrei che fosse universale.

Pensi di aver avuto degli ostacoli in questi ultimi anni?
Il mio percorso è stato costantemente contraddistinto da ostacoli. C’è sempre stata diffidenza nei miei confronti. Sia ai miei inizi quando dovevo convincere che una donna sapeva utilizzare il flow e la tecnica. Ma anche dopo: dicevano che senza featuring non sarei mai arrivata prima in radio, invece ce l’ho fatta anche da sola. Ho sempre sentito di dover sfondare dei muri e lo sento tutt’ora. Ci sono state anche persone che hanno bloccato fisicamente delle mie uscite. Mi hanno spesso visto solo come “quella che fa uscire i pezzi solo in estate” e mi pare sbagliato, anche perché i generi non hanno una stagionalità, nemmeno il reggaeton. Insomma, io sento che c’è un gap tra come mi vede la gente e come sono.

In che senso?
Non sai quante volte mi sia capitato a una cena o a un aperitivo che le persone o gli addetti ai lavori mi dicessero stupite: non pensavo che tu fossi così! Sei una ragazza molto più profonda e sensibile di quanto potessi immaginare. Vorrei che la gente capisse poi che sotto l’apparente leggerezza in realtà si nasconde tanto lavoro. E allora se questa cosa te la ripetono in tanti mi chiedo perché e vuol dire che c’è qualcosa che non va. Vorrei spiegare che non sono il cartonato di una Barbie.

Alle donne è riservato maggiormente questo trattamento?
Penso di sì, anche se non mi piace la dualità uomo-donna. Non sento molto che agli altri artisti venga rimproverato per esempio il fatto di uscire solo a Sanremo, mi sembra che i colleghi maschi vengano molto meno analizzati. Poi esiste anche questo vero e proprio pregiudizio nei confronti della musica pop che non è considerata abbastanza elevata e pure i pezzi estivi. Io credo che dopo la pandemia la gente abbia iniziato – giustamente – a guardarsi dentro, a cercare qualcosa di più nei testi, ad allontanarsi da una visione di perfezione che non poteva continuare. Quindi la cosa più importante ora è arrivare a tutti ma avendo qualcosa da dire. La sfida è quella: utilizzare il pop senza per forza far ricorso al rap.

Ma non vorresti tornare indietro al rap?
Nei miei dischi inserisco sempre una traccia rap ma la gente spesso non se ne accorge perché non è più troppo affezionata agli album. Così mi rimane sempre un po’ di frustrazione.

Anche guardare gli ascoltatori mensili ti crea frustrazione?
Cerco di non cadere più in quella trappola, semplice. Non voglio risultare spocchiosa ma penso di avere un curriculum di tutto rispetto e così non ho bisogno di andare a controllare continuamente. Io voglio continuare a fare musica sempre, anche se non avrò successo e lo farò “Fino al blackout”.

Hai avuto dei blackout in questi anni?
Certo, nella continua ricerca di successi, in questa corsa in cui tutti ti danno consigli a destra e manca, così che un artista perde la bussola. Diventiamo come le foche con i palloni sul naso! È una trappola: l’intuizione non arriva mai così ma solo mentre siamo tranquilli. Mentre ci stiamo lavando i capelli in doccia, per esempio.

Ci sono artiste in Italia o all’estero che sono d’esempio per te?
La mia icona in assoluto è Madonna, perché è sempre stata una provocatrice capace di cambiare il costume generale. Poi Rihanna, per il suo stile e la sua musica. Infine, anche se non è il mio genere: Taylor  Swift perché ha saputo andare oltre i generi musicali. Lei più che al genere ha puntato sui testi. Ha voluto dire delle cose e il suo pubblico l’ha seguita e premiata. Ecco loro sono le artiste che mi piacciono di più.

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