“Banco del Mutuo Soccorso”: storia di un esordio imponente
A più di mezzo secolo dall’uscita, il primo album della storica band (oggi riedito per la collana Progressive Rock Italiano di De Agostini) non smette di sorprendere e appassionare. Azioniamo la macchina del tempo e viaggiamo indietro fino a quel 1972
Nei giorni in cui nacque e prese piede, sulla scia di quello britannico, il progressive italiano non era chiamato così. Anziché “progressive”, il termine utilizzato era “pop italiano”, quando “pop” non era ancora diventato l’impronunciabile parolaccia che designava la musica dozzinale e commerciale contrapposta a quel “rock” che invece indicava le cose serie, creative, artistiche. Da ormai moltissimo tempo si parla invece di rock progressivo, ovvero il rock che, negli iper-prolifici anni ’70, cercava di affrancarsi dalla semplice canzone per, appunto, progredire, intrecciandosi con generi nobili come classica e jazz. Da non equiparare in automatico, come purtroppo succede spesso, al rock sinfonico, che del progressive era (ed è) solo una delle branche.
Banco del Mutuo Soccorso, pietra miliare del progressive italiano
Di tale tendenza, cui la collana Progressive Rock Italiano di De Agostini rende omaggio attraverso una serie di ristampe in vinile nero da 180 grammi e partendo dai master ufficiali, l’omonimo album di debutto del Banco del Mutuo Soccorso è una delle pietre miliari riconosciute da chiunque, non solo dai cultori. Averlo scelto come titolo inaugurale della sequenza non è insomma un caso.
La sua qualità musicale è indiscutibile. Così come indiscutibile è la forza iconica del salvadanaio di terracotta vecchio stile che fa bella mostra di sé in copertina, immagine che da oltre mezzo secolo è scolpita nella memoria di ogni appassionato. Chi all’epoca già acquistava dischi ricorderà di sicuro la prima edizione fuori misura, proprio a forma di salvadanaio, alla quale parecchi pazzi piegarono o perfino tagliarono la punta perché altrimenti non c’era modo di farlo entrare negli scaffali, compromettendone così l’elevato valore collezionistico.
Il plauso della critica
Banco del Mutuo Soccorso venne pubblicato nella primavera del 1972 dalla gloriosa Dischi Ricordi. Non fu un’uscita in sordina, tutt’altro: nel numero del 7 maggio la seguitissima rivista giovanile Ciao 2001 concesse addirittura alla band dell’hinterland romano la prima pagina, con una foto dal vivo che ovviamente presentava in primo piano l’imponente figura del cantante Francesco Di Giacomo detto “Big”, la cui prematura scomparsa in un incidente stradale – 21 febbraio 2014, sono quasi dieci anni – non ha smesso di addolorare.
La critica fu unanime nel tesserne le lodi e il 33 giri, anche grazie al traino involontario di opere affini uscite pochi mesi prima come Collage de Le Orme e Storia di un Minuto della Premiata Forneria Marconi. Stazionò per sedici settimane nella classifica di vendita con il decimo gradino come miglior risultato: niente male per un LP privo di singoli e opera di esordienti dal look fricchettone assolutamente ordinario, che non si preoccupavano delle apparenze e puntavano sulla sostanza della musica. Proprio come succede oggi, eh?
La conquista della classifica con un prodotto diverso
Quanto Banco del Mutuo Soccorso praticasse uno sport diverso da quello del pop di consumo, volando alto anche per quanto riguarda l’aspetto testuale, emerge dall’intervista apparsa in quel Ciao 2001. «Il dialogo iniziale esprime il desiderio dell’uomo di ogni tempo di cercare la verità per poi toccare il giusto (In Volo). Questo desiderio, d’altra parte, non è affatto facile da realizzare. Ci si può trovare davanti a realtà sconcertanti (quella di R.I.P. è una delle tante), a constatazioni dolorose che possono portare a non volersi riconoscere negli altri uomini (come in Metamorfosi) o addirittura all’alienazione: Il Giardino del Mago è il luogo in cui ogni uomo potrebbe ritrovarsi un giorno qualsiasi, quando le delusioni, l’angoscia e la disperazione hanno logorato ogni sua resistenza spirituale. Arriva così a una lucida follia popolata da esseri e cose orribili e irreali, animata da assurde speranze».
A rispondere alle domande un po’ provocatorie di Dario Salvatori era di sicuro Vittorio Nocenzi, tastierista e mente principale del sestetto che si completava con suo fratello minore Gianni Nocenzi (piano), Marcello Todaro (chitarra), Renato D’Angelo (basso) e Pier Luigi Calderoni (batteria), oltre naturalmente a Di Giacomo, dalla poderosa voce tenorile. Lo stesso organico di Darwin (1972) e Io sono nato libero (1973), gli altri due dischi del gruppo divenuti leggenda.
Il commento, canzone per canzone
Un capolavoro, Banco del Mutuo Soccorso. Quarantuno minuti profondamente affascinanti grazie a un’energia rock e a un lirismo che si legano in maniera perfetta alle complesse elaborazioni strutturali e alle soluzioni magniloquenti che dal prog sono pressoché sempre inscindibili.
Ecco così che la breve intro In Volo, declamata prima da Nocenzi e poi da Di Giacomo su trame musicali tenui e avvolgenti, prorompe nella frenetica, incalzante e ruvida R.I.P. – Requiescant In Pace, uno dei brani più punk del progressive (si perdoni l’ossimoro).
Passaggio, un minuto di interludio scandito dal clavicembalo filo-rinascimentale di Nocenzi, apre poi la strada agli undici minuti quasi interamente strumentali di una Metamorfosi che si snoda fra assalti rock, accenni jazz e aperture classicheggianti fino al solenne ingresso del canto di Di Giacomo – co-autore di testi dalla notevole forza immaginifica – e al potente, travolgente finale.
Dura invece diciotto minuti e mezzo Il Giardino del Mago, imprevedibile suite che condensa ed esalta l’inventiva dell’ensemble lasciando onere e onore della chiusura alla breve Traccia, che cita Bach e Beethoven.
L’assoluta originalità del Banco del Mutuo Soccorso
«Non ci siamo ispirati ad alcun modello italiano o straniero», si legge nella solita intervista. «Abbiamo usato due tastiere, organo e pianoforte, senza rinunciare all’importanza di uno strumento come la chitarra che, attraverso la possibilità di numerosi moduli, ci permette di esprimere appieno la multiformità di sensazioni ed emozioni caratteristiche della nostra musica e del nostro modo di sentire alcuni fenomeni. Non abbiamo utilizzato strumenti a memoria elettronica di proposito, anche perché fino a oggi non abbiamo visto un uso “italiano”, se così può definirsi, del mellotron e del sintetizzatore. Del resto non era nostra intenzione copiare nessuno, come invece fa, anche quando non dovrebbe, la maggior parte dei gruppi italiani».
L’articolo si intitolava con un pizzico di ironia: “Date credito al Banco del Mutuo Soccorso”, e l’esortazione rimane valida anche cinquantadue anni dopo.
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