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Questa non è una recensione del nuovo album dei Blink-182

“ONE MORE TIME…” è il nono disco del trio pop punk di San Diego, il primo dal 2015 con Tom DeLonge e la formazione storica. Ne sarà valsa la pena?

Autore Samuele Valori
  • Il20 Ottobre 2023
Questa non è una recensione del nuovo album dei Blink-182

Come recensire ONE MORE TIME…, il nuovo album dei Blink-182? Da dove partire per un ritorno che non potrà mai riportarci completamente al passato spensierato che invece vorremmo? Da un libro magari, anzi, da uno dei libri “musicali” più belli usciti lo scorso anno: Le tracce fantasma di Nicola Cosentino. Il romanzo segue le vicende di un chitarrista riciclatosi critico musicale, disilluso dalla vita per colpa della musica e di una relazione finita male. C’è un dialogo illuminante per chiunque debba cimentarsi con una recensione complicata, in cui il protagonista Valerio Scordìa discute con una famosa giornalista riguardo a Revolution 9 dei Beatles e alla ricerca ossessiva del “sofisticato”.

«L’argomentazione sull’avant-garde l’ho sentita cento volte. Io ti ho chiesto un’altra cosa».
«Cosa?».
«Se ti pia-ce», e scandì piace come se lui fosse al di là di uno spesso vetro protettivo e potesse capire ciò che lei diceva solo dal labiale.
«Che differenza c’è?»
Lei si strinse nelle spalle. «Io ho capito», disse, «ma l’ho capito da poco, che una cosa che non hai voglia di ascoltare non è buona musica».

(Le tracce fantasma, Nicola H. Cosentino, Minimum Fax 2022, pp. 43-44.)

Il nuovo album dei Blink-182, come in generale ogni disco della band, è l’opposto del sofisticato. ONE MORE TIME non verrà esaltato dalla critica, anzi, il rischio di ricevere stroncature per i tre californiani è persino più alto del solito. Ascoltare un disco del genere per chi ha vissuto la propria infanzia/adolescenza negli anni Novanta, o nei primi Duemila, equivale a iniettarsi in vena una massiccia dose di nostalgia. Gli effetti collaterali possono essere due: il vuoto in pancia o una sensazione che oscilla tra la delusione e la rabbia.

Se si è critici musicali è probabile che prevalga il secondo sintomo e che quindi ci si inizi a chiedere se i Blink-182 abbiano motivo di esistere ancora, dato che hanno più di quarant’anni e non sono più i cazzoni di un tempo. Perché ci si aspetta un’evoluzione – che non avrebbe senso nel caso del trio – o perché semplicemente ci si sente messi difronte alla verità: gli anni passano ed è complicato e doloroso tornare a immedesimarsi in certi testi e sonorità.

Ecco perché ONE MORE TIME dovrebbe essere recensito dai noi stessi di un tempo, ecco perché per tutti i 44 minuti e 35 secondi del disco bisognerebbe tornare ad avere tra gli 8 e i 16 anni per sentirlo fino in fondo e comprendere se abbia lo stesso impatto di Enema of The State, Take Off Your Pants and Jacket o Blink-182. Il che può suonare come una critica o come un complimento, dipende da quale lato si voglia vedere la questione.

Non piaci a nessuno quando hai (più di) 23 anni

Dicevamo, tornare ad avere la metà degli anni. Sì, anche solo per non sentirsi inadeguati e fuori tempo durante il bridge con il basso in palm muting di Terrified o mentre esplode il ritornello di Other Side e subentra quell’urgenza di mandare tutto all’aria e fuggire. Ma da chi? Un tempo erano i genitori, mentre oggi, per chi ha la (s)fortuna di averli, sono il lavoro e la famiglia. Sentire i peli irrigidirsi sulle braccia sembra inopportuno e ci si chiede se non sia il caso di iniziare a comportarsi come l’età anagrafica suggerirebbe. Si finisce ancora una volta lì, a domandarsi come Mark negli anni Novanta: “Ma quanti anni ho?”.

L’età per qualcuno potrebbe rappresentare un problema, soprattutto per quanta riguarda i testi. La title track e MORE THAN YOU THINK, insieme alla più spensierata EDGING, parlano dell’abbandono e del secondo ritorno di Tom DeLonge nella band. Nel resto del disco i Blink-182, invece, rimangono fedeli ai loro temi più cari: appuntamenti, amore e relazioni spesso finite male. Qualcuno sosterrà che dopo i quarant’anni non ha molto senso cantare di certa roba, ancora con chitarre e ritornelli ultra-catchy. Eppure, dai Blink-182 questo ci aspettiamo, di certo non un Kid A.

I tre poi, quando vogliono, sanno ancora correre veloci come in BAD NEWS e YOU TALK TOO MUCH (SHUT UP). Anzi, c’è da essere loro grati che la produzione non sia così ingombrante come negli ultimi dischi pop punk curati da Travis Barker. Non si percepisce l’odore di plastica che, invece, intossica chiunque tenti di ascoltare l’ultimo album di Avril Lavigne LOVE SUX.

C’è un brano che però potrebbe mettere d’accordo tutti e, ancora prima di ascoltarlo, si può intuire: Anthem Part 3. Un tuffo al cuore leggerne il titolo, così come ascoltarne gli arpeggi di chitarra e la batteria veloce e martellante sullo stile della parte 2.

I Blink-182, a dispetto di quanto possano pensare i detrattori del nuovo album, sono cresciuti. Tom DeLonge, per esempio, ha superato la timidezza e non considera più una cosa imbarazzante ballare, come cantava in First Date. DANCE WITH ME – che con i Ramones, ad eccezione del videoclip, c’entra ben poco – ma soprattutto FELL IN LOVE e BLINK WAVE dimostrano che il trio ha voglia di sperimentare e danzare.

La prima vede la collaborazione di Robert Smith dei Cure e suona come una versione pop punk di Friday I’m in Love. Nella seconda i Blink-182 esplorano l’elettronica e i synth, trasformandosi in una band pop rock newyorchese di fine anni Ottanta. Funziona meno l’esperimento britpop finale. CHILDHOOD è un brano a metà strada tra Blur e Gorillaz, dove nelle strofe la voce di Mark assomiglia in modo stupefacente a quella di Damon Albarn.

In fin dei conti in ONE MORE TIME… si percepisce la voglia della band di divertirsi, anche quando Tom canta testi più elaborati come TURPENTINE.

Ci sarà qualcuno che se lo chiederà, oppure che lo domanderà a qualche fan con aria supponente. Aspettandosi magari una risposta negativa. La verità è che un senso univoco il nuovo album dei Blink-182 non ce lo potrà mai avere, di certo – e forse è questa la cosa più rilevante – ce l’ha avuto per Tom, Mark e Travis. Ritrovarsi e chiarirsi è diventata la scusa per tornare a scrivere nuova musica. Che, ad essere sinceri, anche per chi distoglie gli occhi e le orecchie perché non regge all’idea di vederli meno spensierati e con qualche pelo di barba in più, sarebbe stato molto peggio vederli insieme per un tour commemorativo. L’effetto nostalgia, allora sì, che sarebbe stato preponderante.

Questo weekend i Blink-182 si esibiranno al WHEN WE WERE YOUNG a Las Vegas e saranno co-headliner con i Green Day. Non solo sensazioni da Pop Disaster Tour del 2002, ma un vero e proprio revival pop punk con Sum-41, Simple Plan, The Offspring e tante altre band simbolo di quegli anni. Una prima risposta alla domanda se questo album abbia un senso potrebbe essere questa.

In alternativa c’è un altro metodo infallibile, quasi scientifico. Indossate le cuffie, oppure accendete la cassa o, se siete vecchio stampo e possedete ancora un walkman funzionante e avete pure acquistato il CD di ONE MORE TIME, infilate gli auricolari. Poi fate partire l’ottava traccia che si intitola proprio WHEN WE WERE YOUNG. L’arpeggio di chitarra elettrica, il basso che entra, Travis che sembra voler imitare il battito cardiaco con la grancassa, prima di iniziare a pestare come suo solito, e la voce più matura, ma ancora acida il giusto, di Tom. “When we were young / The world felt so small / When we were young / Nothing could break us apart”.

Se dopo questi venti secondi avrete la sensazione che qualcuno vi abbia sferrato un pugno in pancia, allora tutto avrà avuto un senso. Compresa la momentanea vergogna per esservi emozionati con un brano da “ragazzini”. D’altronde, è la musica che ci pia-ce-va.

Ascolta ONE MORE TIME…

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