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Rap-cap

No, la trap non è il problema. Ma ha un problema

In questi giorni è ri-scoppiato il dibattito sulla responsabilità dei testi dei trapper nella violenza di genere. Ma il loro silenzio sul tema è diventato assordante

Autore Greta Valicenti
  • Il21 Novembre 2023
No, la trap non è il problema. Ma ha un problema

Foto di Sydney Sims / Unsplash

Prima di dire qualunque altra cosa in queste righe la premessa è ovviamente solo una: l’educazione non passa e non deve passare né per la trap, né per la musica in generale. Non è dunque certo compito di un rapper formare i propri ascoltatori sulla violenza di genere: non ne hanno – e oseremmo dire giustamente – le competenze. 

Tuttavia, non è più accettabile non prendere una posizione sul più grande dramma del nostro Paese. Che solo quest’anno si è macchiato del sangue di 105 donne. Eppure, per i rapper italiani schierarsi non sembra essere un problema. Quando viene toccato uno di loro, s’intende. Si contano infatti sulle dita di una mano quelli che hanno espresso un pensiero sul femminicidio di Giulia Cecchettin. Tra questi, Nayt, Nitro, Mecna e Geolier. Tutti artisti che, per altro (e per fortuna), non sono riconosciuti per uno spiccato sessismo nei loro brani (anzi, tutt’altro). 

Viene dunque spontaneo chiedersi dove siano gli altri artisti (uomini) quando si tratta di prendere una posizione netta sull’ennesimo lago di sangue versato dall’ennesima donna uccisa per mano di un uomo. Altrettanto spontaneo è chiedersi perché siano quasi sempre e solo le donne a dover portare il gravoso peso della violenza e della rabbia. E infatti a chiedere un minuto di silenzio per Giulia durante il proprio concerto è solo Elodie. E ancora, ci si domanda perché alcuni artisti si siano sollevati solamente per mettersi sulla difensiva non appena si siano sentiti pizzicati e messi sotto attacco per la critica da una parte discutibile, ma dall’altra comprensibile, di Cristiana Capotondi sulla trap. 

Che il rap e la trap – in quanto narrazione (seppur realistica) – non siano la miccia che innesca la violenza di genere è evidente. La musica deve intrattenere, emozionare, non certo sostituirsi a chi è adibito all’educazione. Ed è altrettanto evidente che sia più semplice trovare un capro espiatorio concreto piuttosto che fare i conti col fatto che le cose devono cambiare alla radice della nostra società fortemente permeata da una cultura patriarcale. Così come il fatto che il problema sia molto più profondo e complesso di un testo di un trapper.

Dare la colpa al rap se un “bravo ragazzo” di 22 anni ha sequestrato e accoltellato una donna di cui non sopportava la libertà è voler negare l’ovvio, deresponsabilizzarsi e perdere il focus del discorso. La trap non è ovviamente il problema principale, ma ha un problema. 

È infatti innegabile che la narrazione della figura della donna all’interno di un certo tipo di rap italiano sia tossica, sessista e misogina. Elementi che sono da sempre l’elefante nella stanza di questo genere. Lo è anche per alcuni ascoltatori. Basti pensare a come sono state accolte le parole di Elodie di qualche settimana fa (rea di aver affermato che non si troverebbe a proprio agio a collaborare con rapper marcatamente sessisti). O appunto quelle di Cristiana Capotondi pochi giorni addietro. Con aggressività e in modo assolutamente non costruttivo. Con il risultato che questa idea (non che ci sia correlazione tra trap e femminicidio, s’intende. Ma che parte del pubblico del rap tenda a chiudersi in una sorta di squadrismo, soprattuto nei confronti delle donne, quando una di loro attacca i propri idoli) è stata rafforzata anziché sradicata.

Allora forse – e ci rendiamo conto del paradosso, visto che nessun’altra musica è specchio della realness quanto il rap – è arrivato il momento di svincolare quello che i rapper ostentano nelle loro canzoni da quello che sono nella vita vera. O almeno farlo quando si tratta di una battaglia che ci vede tutt* indistintamente coinvolt*. 

La trap non il problema. Ma il silenzio degli artisti sulla violenza di genere è diventato assordante

Intendiamoci: quando parliamo di prendere una posizione ciò non si traduce per forza nell’espressione di un pensiero articolato. Un pensiero che rischierebbe di scivolare nella retorica del “le donne non si toccano nemmeno come un fiore”. O, peggio, il fatto che Giulia potesse essere vostra figlia, sorella, fidanzata. Come se per empatizzare con una donna sia necessario fare un lavoro di immaginazione su un’ipotetica vicinanza affettiva. 

Per iniziare a percepirvi come alleati basterebbe la divulgazione di un messaggio. La condivisione delle parole di un’attivista, di chi ne sa più di voi. L’amplificazione di una voce autorevole sulla questione. Questo sarebbe già un primo passo importante verso la decostruzione, che – sottolineiamo – è un percorso lungo e faticoso che non può e non deve esaurirsi in una sola giornata. E se il rap è lo specchio della società, è l’ora che anche gli artisti si pongano in prima linea per tentare di renderla migliore, perché solo così il cambiamento tra arte e realtà potrà andare di pari passo. La comunicazione, anche quella che va oltre alla sfera musicale, è un potere gigante. Ed è innegabile che ora i rapper ne siano tra i massimi detentori. E cosa c’è di più hip hop di fare da cassa di risonanza alle persone oppresse?

Perché è vero, l’educazione non passa da voi e dalla trap. Ma se anche solo un ragazzino, vedendolo nelle vostre storie, avrà voglia di aprire quel post e leggendo le nostre parole che trasudano sangue, ascoltando le nostre voci esauste per aver urlato il dolore per l’ennesima sorella strappata via, qualcosa gli si smuoverà dentro, quel fuoco della lotta all’oppressione dei diritti che ha infiammato gli animi dei padri di questa cultura gli brucerà nel petto, allora sarà lì che l’hip hop avrà vinto davvero.

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