Da Sanremo 2024 al mondo della classica: sta davvero aumentando la presenza femminile?
All’ultimo festival ha vinto Angelina Mango dopo 10 anni che non vinceva una ragazza. Nella top 10 finalmente ce ne sono 3. Ma le cose stanno migliorando davvero? Vediamo come vanno le cose nella classica con l’intervista a Alicia Montorsi Galli, direttrice d’orchestra
Donne nella musica: a che punto siamo? Nell’anno in cui ha vinto il Festival di Sanremo una donna giovanissima con un team (quasi) solo femminile – dopo 10 anni che ciò non accadeva – viene da chiedersi se le cose non stiano davvero cambiando. E con il terzo posto di Annalisa, poi, si è visto un podio per due terzi femminile, cosa che non succedeva dal 2016, con Francesca Michielin al secondo posto e al terzo Debora Iurato (ma con Giovanni Caccamo). Mentre bisogna andare al 2012 per vederne uno interamente di donne con Emma, Arisa e Noemi.
Donne nella musica: 3 nella top 10 di Spotify e FIMI/GfK
Se il festival di Sanremo, e la conseguente ricaduta sugli streaming, sono lo specchio del Belpaese sembra che si stia aprendo uno spiraglio. Nelle prime 10 posizioni di Spotify ora 3 sono occupate da donne: Annalisa (4), Angelina (5) e Rose Villain (8) e – credeteci – non è affatto poca cosa. Anche la classifica FIMI/GfK dei singoli più ascoltati della settimana è in linea con Annalisa al terzo posto, Angelina sempre al quarto e Rose al nono.
Il team (quasi) tutto al femminile di Angelina Mango
E come si diceva prima Angelina è arrivata alla vittoria con un team (quasi) totalmente di donne. La sua manager è la potente, capace e citata (anche sul palco stesso da Fiorello in diretta) Marta Donà con la Tarma Records e il suo ufficio stampa è Wordsforyou ovvero Giulia Trippa, Francesca Casarino, Valentina Ferrara (anche qui tutte donne), che hanno vinto gli ultimi 5 festival di Sanremo.
Donne nella musica: intervista alla direttrice d’orchestra Alicia Galli
Però ecco, non-è-tutto-oro-quello-che e si sa. I problemi di discriminazioni nei confronti delle donne nel mondo della musica continuano a essere enormi, la loro presenza nelle classifiche e nelle lineup dei festival è ancora risicata. Per capire se nel mondo della classica la situazione sia migliore abbiamo intervistato Alicia Montorsi Galli, direttrice d’orchestra (dei Castelli, Arcangelo Corelli) compositrice, direttrice di coro, insegnante al Conservatorio di Vibo Valentia.
Si fa fatica a contare le direttrici d’orchestra per cui la prima cosa che viene da dire è che la rappresentanza femminile nel mondo della classica non sia ben nutrita, giusto?
Certo. La prima cosa che devo dire è che per la maggior parte della mia vita accademica sono sempre stata l’unica donna. Ho sempre avuto insegnanti uomini. Mi è mancata sia la rappresentanza che l’idea di solidarietà femminile e la “sorellanza”. A parte gli ultimi due anni nei quali è arrivata una collega con cui mi trovo bene. Inizialmente devo ammettere che non mi ero accorta nemmeno del problema: mi sentivo un pesce fuor d’acqua e avevo interiorizzato una certa misoginia. Poi, crescendo, mi sono accorta di ciò che non andava. Per esempio, ero l’unica a cui venisse detto di sorridere mentre dirigevo l’orchestra. Perché, se fossi stata gentile e simpatica, così avrei ottenuto i risultati musicali che desideravo. Poi un’altra cosa fondamentale era la mancanza di un modello di riferimento per la gestione del potere. La prima donna che io avuto è stata la direttrice americana Marin Alsop, a cui è implicitamente ispirato il film Tar.
Quindi a parte la Alsop il tuo modello come era?
Solo maschile. Molto dittatoriale, autorevole anzi autoritario, unidirezionale. Non c’era alcuna possibilità per l’orchestrale di interagire con il direttore. Poi ho capito che esisteva anche un modo più femminile, che ovviamente può essere utilizzato anche dagli uomini: più paritario, di condivisione, dove si impone meno un unico punto di vista. Per me fare arte è esprimersi ed è quindi fondamentale anche potersi sentire liberi e non per forza sempre perfetti.
Donne nella musica, i pregiudizi anche nella classica
Alicia, ti è capitato di dover affrontare delle molestie, non per forza fisiche, ma psicologiche e più sottili?
Sì, che si esprimessero magari in commenti sull’aspetto fisico che non c’entravano niente con il lavoro. Oppure mi è capitato di arrivare a una prova dove l’ispettrice di orchestra si stupisse perché aveva di fronte una donna. Quindi mi è capitato di ricevere dei commenti negativi anche dalle donne stesse. Per non parlare dell’aspetto di depotenziamento per sminuire il lavoro di donna. Per esempio “non hai la forza fisica per riuscire a concentrarti fino alla fine del lavoro”.
Cosa pensi del voler farsi chiamare per forza direttore da parte di Beatrice Venezi?
Mi ha fatto imbestialire quando lo disse a Sanremo. Io credo moltissimo che la cultura passi attraverso il linguaggio e che cambiando quello si cambi anche la mentalità. Se non ho una parola per indicare un mestiere, sarà impossibile pensarlo. Il linguaggio è sempre in movimento ed è un termometro di ciò che accade. Chi dice “suona male” non si rende conto che è solo questione di abitudine.
Le cose stanno migliorando ora?
Leggermente. Nel mio ambito finalmente incontro tante colleghe, anche se rimangono il 10% del totale. E poi ci sono donne, come Beatrice Venezi e Giorgia Meloni, che sono in una posizione di potere ma applicano un modello maschile. È in fondo un nuovo modo, un po’ subdolo, quello di mettere al potere delle donne misogine che fanno credere che il problema non ci sia più. Ma il problema c’è ancora, eccome.