Il clubbing a Napoli: intervista a Vanni Fondi, Gianni Valentino e Tommy Totaro
Dove si balla oggi? Le discoteche e i club non sono più un’ovvietà, il pubblico e soprattutto la Gen Z preferiscono farlo altrove. Capiamo meglio questa trasformazione dei gusti parlandone con DJ, artisti e i tanti addetti al lavoro in Crying at The Discoteque, la nostra inchiesta a puntate
Napoli ha molte luci, ma anche tante ombre sotto il Vesuvio. Siamo arrivati alla seconda puntata legata alla dimensione partenopea di questa inchiesta sul mondo del clubbing che come abbiamo già capito, con i dati alla mano che avete letto nella scorsa puntata è in progressiva crisi. Perché allora soffermarsi ulteriormente su questa città? Il motivo è semplice: Napoli ha un passato incredibilmente ricco se parliamo di clubbing e notti passate a ballare. Oggi sentirete le voci dei giornalisti (ma fanno anche tanto altro nella vita per quanto riguarda la dimensione del clubbing) Vanni Fondi, Gianni Valentino e Tommy Totaro.
Napoli, una tradizione musicale caleidoscopica
Sin dai tempi di Renato Carosone con le sue mitiche serate alla Shaker Club, arrivarono fertilissime le contaminazioni tra tradizione partenopea e i suoni della comunità afro americana rappresentata dagli stanziali soldati USA nella storica base della NATO. Che alimentarono negli anni ’70 l’esplosione di un affascinante magma sonoro tra rock, psichedelia, folk e jazz mentre nel decennio successivo una disco funkeggiante e ammiccante.
E come dimenticare la nascita degli Angels of Love nel 1990. Un gruppo di appassionati DJ e promoter che hanno scritto la storia della house music all’ombra del Vesuvio. E poi la grande scuola techno da Marco Carola ad oggi. Un presente che vede come punte di diamante anche all’estero i Nu Genea e il loro repechage di alcune bellissime tradizioni sonore della città. Tra sonorità disco boogie, un certo funk e i ritmi afro centrici che anche il collettivo di Napoli Segreta porta avanti dal 2015.
Vanni Fondi sul clubbing a Napoli: «Addio contaminazioni socio-culturali»
Partiamo con lui che per anni si è occupato delle notti partenopee ed è a capo della sezione spettacoli per il Corriere della Sera edizione napoletana, Vanni Fondi. Gli chiediamo una domanda più legata al costume, al modo in cui la società di Napoli si rapporta con la vita notturna e il clubbing.
«Tutto bello quello che hai scritto prima sulla ricchezza musicale di Napoli. Ma se scandagliamo entro le ore piccole ecco emergere con nitidezza uno spaccato sociologicamente parlando, peggioratissimo. Una volta c’era una contaminazione socio-culturale interessantissima. La borghesia della città incontrava nei club i nuovi artisti della musica, del teatro e delle altre discipline dentro le mura di un club. C’è chi si faceva notare per il modo in cui si presentavano vestiti e in questo caso non c’era nessuna distinzione di classe. La notte era cultura», racconta.
«Ora la contaminazione culturale della notte non è buona, assolutamente», continua. «In tanti club si mira a dare risalto al concetto dell’esclusività, alla prenotazione di tavoli, bottiglie. Tutto un repertorio abbastanza cafonal per gente che vuole spendere dai 500 euro in su. La gente che ha disponibilità di spendere quei soldi spesso è anche legata alla criminalità.
In giro vedo tanto “becerume”, devo essere sincero. Ho frequentato i club ininterrottamente dagli anni ’70 ad oggi e mi spiace constatare un degrado totale anche nella qualità musicale. Ancora poche eccezioni con DJ di qualità, ma è l’eccezione, non la norma. Io spero che tutto questo non venga letto come una “questione classista”. Anzi, oggi non vedi più nei club gente come Martone, Sorrentino, Autieri, andare a conoscere le creature della notte. Conoscere gli artisti emergenti ballare tutti democraticamente vicini».
Gianni Valentino: «La città da sempre vanta una assenza spietata di spazi»
Noi di Billboard lo abbiamo invitato alla nostra festa dedicata alla nostra festa We Come From Napoli lo scorso maggio a Base Milano con il suo progetto Totò Poetry Culture che ha creato nel 2021 in duo con il produttore Lello Tramma. Ma Valentino è anche un poeta, un giornalista per Repubblica, educatore e un consulente per cinema/tv. Di recente ha anche pubblicato l’inchiesta-reportage Io non sono LIBERATO (Arcana Edizioni). Ed è ideatore del progetto NA IF, dedicato alle radici della cultura napoletana.
Ciao Gianni, nella scorsa puntata Augusto Penna ci ha descritto una scena desolante del clubbing a Napoli. In città non ci sono club e al massimo puoi performare negli apericena, in quelle situazioni ibride tra disco bar e discoteca…
Questa è una città dove si realizza la musica ma non ci sono posti dove suonarla. È un po’ come quando si dice Napoli è una città sul mare, certo. Ma se vuoi fare il bagno devi andare a Posillipo, Marechiaro o nelle due costiere. Io sono un giornalista ma da due anni sto cercando di portare avanti il mio progetto artistico. Non ti nascondo che a malincuore, in un paio di occasioni, esibendomi a Napoli città, ho sentito nettamente una voce in sala che urlava: “Ragazzi? È arrivata la torta!”. Come vuoi che mi sia sentito? È cambiata la fruizione e il pubblico. Chi ha una certa età e non è figlio dei social mantiene un certo rispetto per chi sta performando in consolle o con la sua band.
“L’usa e getta” poi nel modo di fruizione della musica rende perfetto il disastro attorno a noi. Le canzoni non cambiano più la vita a nessuno. La lente con cui guarda Augusto è rivolta verso la scena club, ma questa situazione purtroppo è sistemica. Se io sento musica in generale a Napoli, faccio una fatica pazzesca. Nessuno investe seriamente. I privati che tanto si vantano di come sia fiorente musicalmente la città, alla fine non muovono un dito e non aprono soprattutto il portafogli. Come vuoi che cambino le cose? Napoli da sempre vanta una assenza spietata di spazi. O trovi spazi super capienti ma se tu vuoi creare situazioni da 2.000/5.000 persone la cosa è impossibile.
Ma una volta esistevano dei bei club come Metropolis, il Velvet, l’Old River, c’erano le serate organizzate dagli Angels Of Love… mi pare incredibile.
Purtroppo è così. Non c’è un sistema, c’è stato uno sgretolarsi graduale della audience che è dovuto proprio al cambiamento di interesse da parte delle nuove generazioni rispetto al clubbing
Andare in un club, voleva dire non solo andare a ballare ma abbracciare tutta una certa filosofia musicale, estetica, no?
Esattamente, era come entrare in un santuario. Ma oggi gli adepti mancano totalmente. I ragazzi vivono secondo me di questa dimensione, a loro interessa fare gruppo. Io mi ricordo che piuttosto di non perdermi quel DJ set o quell’artista in un club, andavo anche da solo. Come hanno fatto tanti amici miei negli anni. “La solitudine è dei cani”, diceva Pasolini. Devi essere tremendamente forte per affrontarla e non so se le nuove generazioni sono in grado di decidere di fare un’esperienza clubbing senza stare necessariamente tutti in gruppo. Ripeto le istituzioni culturali qui in città sono cieche, non li trovi mai presenti durante gli eventi, sono invisibili.
Tommy Totaro e il premio Night Awards, una speranza per il clubbing a Napoli
Napoletano, giornalista dal 1999, amante del mondo della notte da sempre, lo abbiamo interpellato perché con l’istituzione del premio Night Awards, ha lanciato a Napoli pensiamo un messaggio anche di speranza nei confronti dell’universo clubbing.
Perché hai dato vita a un premio legato alla notte e slegato dalle istituzioni?
Questo premio ha una lunga storia, era nato come nel 2012, assieme al promoter Antonello Fornaro con il nome Premio Facenight, che puntava a rendere merito alle location e agli addetti ai lavori campani più gettonati, ma ho sempre pensato di dare risalto anche a tutta la filiera perché in un club sono tutti importanti, dai baristi al tecnico delle luci, dai PR al DJ. Poi dopo il periodo pandemico dove tutto si era bloccato ho deciso di festeggiare il decimo anno del premio, trasformandolo in Night Awards. Abbiamo fatto l’evento a Napoli, nella bella cornice della Galleria Leone, a due passi dal Lungomare, e abbiamo premiato anche Fabiana Martone, voce femminile dei Nu Genea e poi anche lo storico DJ Tedd Patterson.
Il mio amore per il clubbing mi ha portato anche a ideare un tributo – giunto già alla settima edizione – in onore del dj e producer newyorkese Frankie Knuckles, “The Godfather Of House Music”, scomparso nel 2014. Un evento nato con l’intento di rendere merito, con rispetto e gratitudine, ad uno dei pionieri dell’arte del mixaggio… La passione è così forte che mi sono prodigato anche a esporre una serie di bellissimi flyer rari, foto d’annata ed articoli a tema che ho accuratamente collezionato nel tempo.
Ma quali sono i locali importanti per il clubbing a Napoli?
Se parliamo di club che hanno una programmazione importante alla fine sono davvero pochi quelli da nominare, per il resto Napoli e la provincia sono costellati di “baretti” che fanno musica con quelle terribili postazioni per il DJ che non hanno praticamente nulla, solo un mixer e lo spazio per un controller o il laptop, anzi a volta non c’è neanche un mixer. I club sarebbero: lo storico Arenile di Bagnoli, molto attivo durante l’estate come il Flava beach, poi un altro locale storico come il Duel Club, che da tanto tempo accoglie DJ internazionali di rilievo e qualità.
Ci tengo anche a segnalare un luogo di design interessante a tre piani: HBToo e poi da pochissimo ha aperto il Teatro Hype. Ma in generale come ti ha detto nella scorsa puntata Augusto Penna è la situazione generale desolante. Oggi chi va nei club non è più interessato a capire che dischi porta nella borsa il DJ ma solo è curioso di sapere quanti followers ha su Instagram, si balla dietro la consolle, una roba da pazzi! E non penso ci sia voglia di costruire una nuova coscienza legata al clubbing come succedeva anni fa.
E dove si ritrovano i ragazzi la sera?
Soprattutto nelle piazze, è lì che magari con un party speaker ascoltano la musica e fanno altro… Le piazze sono rinate e non è una cosa negativa, per carità ma certamente non è più la discoteca uno dei luoghi mitologici per i giovani. Dobbiamo prenderne atto. Ma questo non vuol dire che io e chi come me ama il clubbing, continui a diffondere il verbo, anzi, oggi è un compito ancor più importante e di responsabilità.