Interviste
Crying at the Discoteque

Clubbing a Napoli, tante ombre sotto il Vesuvio: intervista ad Augusto Penna e Irvine Welsh

Dove si balla oggi? Le discoteche e i club non sono più un’ovvietà, il pubblico e soprattutto la Gen Z preferiscono farlo altrove. Capiamo meglio questa trasformazione dei gusti con l’inchiesta a puntate “Crying at the Discoteque”, parlandone con DJ, artisti e i tanti addetti al lavoro

Autore Tommaso Toma
  • Il2 Dicembre 2023
Clubbing a Napoli, tante ombre sotto il Vesuvio: intervista ad Augusto Penna e Irvine Welsh

Il mondo del clubbing è in progressiva crisi. Non è solo un’opinione ma un dato oggettivo: nel 2023 si segnala un ulteriore calo del 30% di affluenza nei locali da ballo. Guardando solo a Milano, abbiamo assistito dal 2019 al 2022 a una riduzione dei club, da 89 a 61. Ma attenzione: non solo c’è un calo della domanda (in parte dovuto al periodo pandemico) ma è anche in atto una trasformazione del mondo della notte, perché attraggono di più nuove dimensioni spazi diversi dai club e dalle discoteche e l’interesse è molto e diversificato. Uno spettro che va dai grandi spazi dei festival ai party organizzati in case private o in spazi pubblici.

clubbing Napoli - Crying at the Discoteque - Da sinistra, Augusto e Raffo de Luca
Da sinistra, Augusto Penna e Raffo De Luca

L’importanza storica dei club

Con l’inchiesta Crying at the Discoteque, che si reggerà su diverse puntate, abbiamo deciso di dare forma alla nostra preoccupazione per il crescente fenomeno delle chiusure dei club e delle discoteche, che con un termine coniato a Berlino viene semplicemente definito club mortality. Questi luoghi non sono stati solo il fulcro dell’intrattenimento notturno per intere generazioni ma veri e propri hub musicali e sociali.

Tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80, molti luoghi concepiti per il ballo divennero l’ambiente perfetto per provare a lanciare nuovi suoni, grazie all’influenza esercitata dalla crescente schiera di producer che lavoravano con i nuovi synth e i primi computer. Presero così forma nuovi generi e sottogeneri di musica dance: house e techno in primis, che ebbero un effetto incredibile sulle nuove generazioni.

Il fenomeno contribuì anche ad alimentare un nuovo interessante radicalismo estetico. I club diventarono così anche veri e propri centri per la resistenza contro l’eteronormatività e le convenzioni di genere, grazie alla creatività, l’eclettismo, il coraggio in consolle di DJ/producer americani come Larry Levan, Frankie Knuckles, Juan Atkins e molti altri.

Il passo successivo fu l’arrivo nell’Europa continentale. Dal leggendario club Dorian Gray all’aeroporto di Francoforte agli ex bunker di Berlino, passando per club visionari e coraggiosi italiani, francesi e ovviamente inglesi.

La crisi degli spazi per le comunità LGBTQ+

Se oggi, a distanza di decenni, questi spazi resilienti e sottoculturali si chiudessero uno dopo l’altro, la loro assenza potrebbe non apparire immediatamente evidente, ma le conseguenze socio-culturali potrebbero essere importanti.

I canoni di affitto nelle grandi città sono in aumento da tempo. Questo rende impossibile pagare gli spazi così importanti per questo settore della cultura. In tutta Europa stanno chiudendo molti club che erano luoghi di riferimento della notte per la comunità LGBTQ+.

Ma in generale le discoteche sono in crisi. A Londra la club mortality è in atto da quasi un lustro e quasi due terzi dei bar e dei club LGBTQ+ hanno chiuso. Le cifre sono simili a New York come a Berlino. Qui si tentano delle soluzioni. Ad esempio a Berlino qualche tempo fa la coalizione rosso-verde aveva deciso che i club dovranno essere considerati istituzioni culturali, in modo che possano usufruire dei finanziamenti pubblici. Tuttavia la situazione non è assolutamente rassicurante.

Se poi passiamo all’Italia, dopo aver accennato a Milano diamo uno sguardo all’universo delle discoteche più generiche, non necessariamente quelle legate all’universo della comunità LGBTQ+: il crollo è nettissimo. Prendiamo solo come riferimento un luogo mitologico per le notti italiane: Rimini. Le discoteche: Paradiso, Embassy, Bandiera Gialla, Melody Mecca, Slego, Velvet hanno chiuso.

In questa inchiesta sul clubbing scopriremo altre criticità in Italia: partiamo dunque da Napoli, per tutti “la città del 2023” anche per la musica. Billboard Italia l’ha celebrata con due eventi chiamati We Come From Napoli, a Milano e ovviamente nel capoluogo campano.

Se analizziamo lo stato del clubbing a Napoli, sorgono molti punti oscuri. Ne abbiamo parlato in questa prima puntata con Augusto Penna, che si occupa da anni di clubbing a Napoli, e con un suo prestigioso amico, Irvine Welsh, lo scrittore scozzese che da sempre trova la sua fonte ispirativa dal mondo della notte ed è stato peraltro autore della prefazione del primo romanzo di Augusto Penna Fatti. Fummo… Diario di una stupefacente quarantena (ed. Magmata).

Penna ha da poco chiuso “Woo!”, una favolosa serata itinerante, assieme al socio Raffo De Luca, protagonista del clubbing a Napoli che ha avuto due case principali: il Duel Beat e la Galleria 19. Ma Augusto non si è fermato qui, anzi fra pochissimo uscirà il suo secondo libro e a ottobre ha aperto una nuova etichetta, la Edita Music.

clubbing Napoli - Crying at the Discoteque - Stereoapocalypse e Augusto
Stereoapocalypse e Augusto Penna

L’intervista ad Augusto Penna

Ci colpisce per prima cosa il fatto che tu abbia chiuso proprio adesso “Woo!”, una delle poche e favolose serate di clubbing e musica elettronica di qualità a Napoli. Io lo interpreto come un segno ulteriore di una crisi che parte da lontano e non diciamo che è stata colpa dell’arrivo di un virus.

Vero. Già prima della pandemia si percepiva in Europa, in generale, una noia nell’aria da parte dei clubber nei confronti dei locali per ballare. Infatti è cresciuto l’interesse per spazi differenti: dai parchi alle chiese sconsacrate, dalle ex fabbriche agli spazi museali.

Il Covid ha dato una botta secca a tutti quei club che già vivevano in condizioni precarie dal punto di vista sia economico che artistico. Navigavano infatti in un’incertezza nella programmazione che non creava una vera e propria identità al luogo. Ovvio che mesi e mesi di chiusura – soprattutto in Italia, dove non c’è stata in pratica nessuna attività di sostegno agli imprenditori – quelle poche, timide riaperture non hanno salvato la situazione a molti locali. Invece a Belino mi ricordo che venivano stanziati dai 7mila euro in su a chi gestiva locali che sono stati fermi così tanto tempo.

In più in Italia abbiamo avuto come reazione all’intransigenza e all’ottusità il fiorire di certi fenomeni orribili, inquietanti, come le “cene spettacolo”. Ricordiamo che c’è stata addirittura una sorta di caccia all’untore nei confronti dei gestori che tentavano una riapertura durante quel periodo strano di passaggio dalla situazione pandemica alla normalità.

Quelle orribili, inquietanti cene spettacolo, che una volta erano esclusivamente una momento di musica commerciale, si sono trasformate in qualcosa anche legato alla scena elettronica e addirittura techno. Vedevi così DJ in una situazione tristissima, ma in questo modo qualcuno ha potuto lavorare…

Il problema non è solo la perdita di luoghi ma anche di una certa tipologia di pubblico?

La cosa devastante è che la pandemia ha fatto letteralmente sedere intere generazioni, pensando a quella fascia di persone che va dai 30 ai 40 anni che ancora aveva voglia di uscire a ballare e ad ascoltare musica nei club. Sai, quella generazione che avrebbe voluto “sparasi le ultime cartucce” prima di dare il passo definitivamente ai più giovani l’abbiamo praticamente persa.

Durante la pandemia sono rimasti stesi per mesi sul divano sparandosi ore e ore di Netflix, dopodiché come pensi sia possibile che a questi venga più voglia di uscire e fare le 3 di notte? E pensi che i ventenni di oggi abbiano voglia di clubbing? Dubito, per forma mentis e soprattutto perché non hanno nessuna intenzione di spendere così le loro energie fisiche e mentali, rispetto alle generazioni precedenti.

Ormai però gli effetti della pandemia sembrano davvero alle spalle, anche se comprendo totalmente quello che dici e lo condivido. Ma temo ci sia altro, no?

Sì, purtroppo sono tante altre le motivazioni. In generale in Italia la qualità dei club, delle serate di musica dance non banale o commerciale, non arriva mai davvero a competere con quella di luoghi come Berlino, Barcellona, Londra. Sì, 15 anni fa c’è stato un momento dove si è provato nelle grandi città a ottenere uno standard alto, dall’impianto alla scelta del personale, con una solida programmazione artistica. Ma è tutto svanito.

Oggi per quale motivo un ragazzo di Napoli non dovrebbe spendere 70/80 euro e andare fare clubbing altrove, prendendo un volo economico? Tanto alla fine quei soldi li spende qui. Sembra una provocazione ma non è così.

Attenzione, le nuove mete non sono più Berlino o Barcellona, perché non ci sono più voli a basso costo per queste mete, ma nuove mecche del clubbing con standard altissimi come Tbilisi, Bucarest, Tallinn, dove suonano artisti immensi che se arrivano in Italia devi pagare il triplo.

Da quelle parti la situazione è serena per i gestori. Non c’è lo stress causato qui dalle agenzie che hanno creato un’omologazione, una standardizzazione della scelta degli artisti. Senza contare che da noi c’è la febbre di fotocopiare certi format “cool” che ci sono a Ibiza e non solo.

Mi pare che tu voglia farci capire che davvero l’antico spirito del clubbing stia svanendo verso una standardizzazione preoccupante.

Esatto. Questa cosa sta succedendo qui in Italia. Ci sono poche realtà autentiche e, per come la vedo io, spesso non sono neanche nelle grandi metropoli come potremmo supporre…

Perché hai questo pensiero?

Per la mia esperienza tutto si basa sulla costruzione di una scena. Sono solo tre settimane che ho chiuso “Woo!” ma ho le orecchie sempre attente a cogliere cosa sta succedendo. Ribadisco che quello che mi cattura l’attenzione è quello che sta succedendo in piccoli posti della Puglia, a Genova e anche Torino, che per molto tempo si era come sopita.

Comunque mi interessa in generale cosa sta nascendo nella provincia. In fin dei conti anche io iniziai i miei primi passi nel clubbing organizzando serate nella provincia, non direttamente a Napoli.

A proposito di Napoli: è la città italiana del 2023, le abbiamo dedicato un numero del magazine. Tu decidi proprio quest’anno decidi di chiudere una delle serate clubbing più seguite e di culto a Napoli. Perché?

Perché dopo quindici anni mi pareva di aver chiuso un bel ciclo. Non sto al gioco folle che hanno messo in piedi le agenzie di booking. Senza parlare di una cosa fondamentale: mancano i luoghi per fare belle serate.

Non ci credo.

Questa cosa di Napoli che è la città più cool dell’anno è una mega-bolla che esploderà a breve, e si capiranno tutte le problematiche che verranno a galla. Napoli è la città dell’anno se la intendi come la città più “instagrammata”, se devi condividere una foto con dietro i murales di Maradona o magari beccando uno degli attori di Mare Fuori. Bisogna farsi una foto mentre si mangia la pizza da Sorbillo…

Napoli non è al top della forma. C’è un degrado nei servizi pubblici pazzesco. Le strutture ricettive sono sempre le stesse ma costano cinque volte più di prima. Il turismo che arriva in città è da “arancino e bottiglietta d’acqua” che poi finiscono sempre per terra. Napoli è diventata una grande friggitoria a cielo aperto, nonostante questa sia un’autentica città d’arte!

Ma di cosa stiamo parlando? Di una scena napoletana? Sì, ci sono tanti artisti che sono decollati dalla nostra città. Ma questo non vuol dire che si sia creata intorno una scena musicale culturalmente attiva e connessa con il territorio.

I turisti che amano il clubbing e che ho avuto il piacere di incontrare durante le mie serate mi chiedono da tempo: “Augusto, ma dove si va a ballare a Napoli?”. E io devo sempre rispondere: “Da nessuna parte”. Non è per vis polemica che lo dico, ma letteralmente in tutto il territorio metropolitano esistono solo due club autentici, con musica di un certo livello. Uno è ad Agnano solo il sabato e uno a Cercola. E se devi andare in questi posti devi per forza prendere un taxi, non esiste nessun mezzo pubblico.

Un peccato che non ci sia una scena techno a Napoli. Comunque da qui sono sbocciati talenti come Marco Carola, Joseph Capriati, Deborah De Luca. Adesso ci sono i Nu Genea, che sono altro ma stanno contribuendo a far crescere anche nuove leve.

Tutto vero, e i primi due li conosco bene. Ahimè nessuno di loro si è poi preoccupato di creare una scena in città, anche se Deborah De Luca è molto più commerciale come impronta rispetto agli altri due. Lo sai che anche i Nu Genea hanno un passato più o meno techno? Massimo Di Lena quando era ancora giovanissimo faceva minimal techno per la mia etichetta.

clubbing Napoli - Crying at the Discoteque - Irvine Welsh con Augusto da Serendeepity Milano
Irvine Welsh con Augusto Penna da Serendeepity, negozio di vinili a Milano

L’intervista a Irvine Welsh

Visto che il famoso scrittore scozzese nei giorni della nostra intervista con Augusto era in Italia, lo abbiamo contattato. Chi meglio di Welsh può darci un contributo interessante in questa prima puntata della nostra inchiesta? Lui che ha saputo replicare sulle pagine dei suoi libri le atmosfere incandescenti dei rave e dei club, delle giornate a base di eroina ed ecstasy, di quelle realtà borderline di cui ha fatto parte.

Cosa cercano le nuove generazioni quando vogliono ballare? Un desiderio di conoscere nuova musica, un luogo perfetto per sperimentare alcune droghe? Alcuni club sono ancora un punto di resistenza contro l’eteronormatività e le convenzioni di genere?

Non ho una risposta pronta e sicura, dovresti chiederlo a loro. Ma penso che tu abbia già ampiamente risposto alla tua domanda. Più in generale penso che i giovani abbiano anche solo bisogno di legarsi, stare insieme, formare relazioni e comunità.

In Italia negli ultimi anni c’è stata un’enorme demonizzazione dei rave party, grandi o piccoli che siano. Perché spaventano l’opinione pubblica? Proprio per la loro natura di eventi fuori dai controlli ordinari?

Penso che ci sia una sorta di fobia per eventi collettivi come questi, non controllati dalle autorità. L’establishment ha sempre temuto la folla e ha sempre trovato modi per “sanificare” e controllare questo tipo di esperienza collettiva.

Come gestire oggi la programmazione del clubbing e mantenere solida la situazione finanziaria di un club? Con un programma musicale visionario, seguendo alcune tendenze di sicuro rendimento finanziario?

È molto difficile. Penso che nel mondo di oggi va già bene se un club, o anche un ristorante o un bar, durano cinque anni. Le mode cambiano e i giovani devono fare le proprie esperienze. Ci saranno sempre punti che catturano l’immaginazione e la trascendono, ma la longevità è spesso sopravvalutata.

Raccontaci l’ultima volta che hai provato grande emozione entrando in un locale.

Provo sempre una grande emozione e piacere entrare in un club. La settimana scorsa è stata l’ultima volta.

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