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Joan Baez: «Nessuno poteva immaginare potessimo vivere tempi così terribili in America»

Alla Milanesiana per l’incontro con Sandro Veronesi, l’artista ha incontrato i giornalisti. Ha parlato degli abusi dell’infanzia, delle difficoltà incredibili nell’esporsi ai giorni nostri, della parola pace: “Non mi piace, è statica”

  • Il27 Maggio 2025
Joan Baez: «Nessuno poteva immaginare potessimo vivere tempi così terribili in America»

Joan Baez

Joan Baez entra nella stanza e la illumina solo sorridendo. Non ha bisogno di un trucco particolare o di un look studiato ad hoc. A 84 anni ha scritto pagine fondamentali di storia della musica folk americana, e non solo, e insegnato a generazioni di artisti che cosa significhi l’impegno politico. È a Milano per l’incontro L’intelligenza della madre a La Milanesiana, la rassegna di Elisabetta Sgarbi, insieme allo scrittore Sandro Veronesi. Così nel pomeriggio incontra un gruppo sparuto di giornalisti italiani nella sede di La Nave di Teseo, la casa editrice che pubblica il suo libro di poesie, Quando vedi mia madre, chiedile di ballare.

Joan Baez cherza subito sul genere di domande a cui sa già che dovrà rispondere. Prevede che le verrà chiesto di Bob Dylan e dell’attuale presidente degli Stati Uniti. Ma non si fermerà davanti a nulla, entrando anche nel racconto intimo di quando scoprì di aver subito degli abusi durante l’infanzia. E accennando spesso a Furio Colombo, giornalista e politico, scomparso nel gennaio di quest’anno, suo grande amico.

«Ogni volta che dico qualcosa in questi giorni, ovunque, devo inserirla in un contesto. E il contesto è la situazione disastrosa del mio Paese, che a mio avviso non lascia ben sperare. Quindi, va bene, possiamo parlare di tutto».

E ancora: «Solo una volta un giornalista non mi ha chiesto assolutamente niente di Bob Dylan. Alla fine dell’intervista gliel’ho fatto notare e lui mi ha raccontato che lo aveva chiesto alla moglie. Lei gli aveva consigliato di non farlo!». Però lei ne parla senza davvero alcun problema. Si parte dalla poesie, intimi racconti, scritti tanti anni fa e rivisti più recentemente, che compongono l’autobiografia di una grande artista. Alcune sono dedicate proprio a Dylan e a Jimy Hendrix, oppure all’amata sorella minore Mimi Farina.

«Molte delle poesie nel libro provengono da me e questo spiega un po’ perché il libro è molto personale, non politico. Viviamo comunque tutti in un’epoca molto politica. E per gli Stati Uniti è qualcosa che nessuno avrebbe mai potuto immaginare».

All’inizio del libro lei accenna al fatto che le sia stato diagnosticato un disturbo dissociativo dell’identità, possiamo chiederle il perché?
Per tutta la vita ho avuto fobie, ansie, problemi e non riuscivo a capire perché. Poi tramite degli ottimi terapeuti è emerso, grazie all’analisi anche dei miei disegni, che avevo subito un abuso fisico nell’infanzia. È emerso molto dopo, io avevo seppellito questa informazione, come purtroppo capita spesso.

Esiste un rapporto tra l’attivismo e la disciplina?
Penso di sì. Io sono una persona molto disciplinata: mangio bene, faccio lunghe camminate, faccio esercizi. Certo, se devi andare in tour è più faticoso ma se devo invece andare in giro a presentare il mio libro, senza la mia chitarra è molto più semplice! Mi piace ancora cantare ma quello che non riesco più a fare è partire in tour e non riesco nemmeno più a suonare la chitarra.

Gli artisti dovrebbero esprimere ancora le loro idee politiche?
L’ho sempre creduto, anche se sicuramente alcune meravigliose opere d’arte provengono da artisti che non erano legati in alcun modo a movimenti politici. Ma per me i due aspetti sono sempre stati legati.

Hanno solo paura di farlo oggi?
Penso proprio di sì, perché spaventa farlo. Questo clima mi ricorda quello che c’era in Cambogia. I milionari vogliono eliminare oggi chiunque sia intelligente, vada a scuola e creda nella scienza. Come facciamo a gestire tutto questo? Non lo so, le università devono continuare a combattere. Harvard lo sta facendo in questi giorni. È solo una questione di soldi e potere e loro sembrano non averne mai abbastanza.

Nel 1985 partecipò al Live Aid ritiene che oggi si potrebbe riorganizzare?
Non fu un atto così politico, l’unico problema era di non essere coinvolti. Ma fu importante: i ragazzi, prima di quel concerto, non sapevano davvero che la gente morisse di fame in altre parti del mondo. I ragazzi bianchi erano – e lo sono tuttora – decisamente viziati.

Anche i raduni delle persone hanno ancora senso oggi?
Sì, perché è bello radunarsi con chi la pensa come te. Però, l’unica occasione in cui ho sentito lo stesso spirito di 50 anni fa è stata quando la gente si è riunita per le elezioni di Obama. Non quando ha vinto ma quando stava per essere eletto. Lo so che ora tutti si chiedono e mi chiedono: che cosa posso fare? Il massimo che io posso fare ora è aiutare gli avvocati che a loro volta prestano aiuto alle famiglie che vengono deportate per volere di Trump. A loro viene tolto tutto: i figli, il cibo e la dignità. Mi chiedo io stessa che cosa possa fare di dignitoso per loro? In questo momento mi si spezza il cuore se penso all’Ucraina e a Gaza, poi.

Come considera oggi la colonna sonora Sacco e Vanzetti? Incontrò Morricone?
Fu un gentleman. Il mio amico Furio Colombo mi disse che dovevo fare una cosa: scrivere delle ballads per quel film. Era luglio, non c’era nessuno in giro e lo feci. Non chiesi mai i diritti e se lo avessi fatto forse non avrei mai più dovuto lavorare in tutta la vita. Ma ne fui soddisfatta.

Comunque le è piaciuto il film su Dylan A Complete Unknown?
Vi ho trovato molte cose belle. I miei amici ci tenevano che dicessi che non è un documentario. Infatti è un film. Mi è piaciuta l’attrice che interpretava me, Monica Barbaro: è stata brava. Anche Timothee Chalamet, anche se è troppo “pulito” rispetto a Bob Dylan!

Cosa pensa della parola pace?
Non mi piace troppo. La trovo statica preferisco il termine “non- violenza”. Vivere in pace sembra un’idea noiosa. E poi spesso la si usa per giustificare tante cose che non hanno niente a che fare con la pace.

E se sua madre fosse ancora viva cosa le direbbe?
Le direi che avrei voluto che la sua vita fosse più facile nel crescere noi figli. Ha portato a termine un lavoro meraviglioso, ma è stato davvero difficile.

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