Kid Yugi al Fabrique ha messo in scena il rinascimento del rap italiano
Durante il suo primo vero concerto da protagonista assoluto, il rapper di Massafra ha dimostrato ancora una volta che proprio nell’oscurità il rap italiano ha trovato il suo Lucifero
Che Kid Yugi non fosse un rapper come tutti gli altri lo sapevamo già da un po’. Lo avevamo intuito nel 2022, anno di uscita del suo album d’esordio, The Globe, un progetto che ci ha fatto pensare che forse quel ragazzo di Massafra che ci stava sbattendo in faccia la sua vita nella provincia del profondo Sud Italia (scandita dall’eterno conflitto tra la consapevolezza di essere fragile e il bisogno di apparire forte, dalle dipendenze e le loro inevitabili conseguenze. Dalla violenza che non cerca redenzione e dal pensiero costante e assillante della morte imminente e della caducità dell’essere umano. Il tutto raccontato con una crudezza estremamente hip hop e una penna pregna di riferimenti tanto colti da essere spiazzanti), in cui “non avevo niente, avevo solo caos”, poteva davvero rappresentare una nuova occasione per il rap italiano, riportando in primo piano la potenza inestimabile della parola.
Lo abbiamo poi capito a marzo di quest’anno, quando Kid Yugi ha pubblicato il suo secondo disco, I Nomi del Diavolo, con cui ha confermato di essere davvero il Lucifero della scena. E no, non solo perché al microfono sputa barre con la spietatezza e talvolta la rabbia di un demone, ma perché in un momento in cui molta della musica che affolla le nostre playlist sembra più che altro un prodotto pre-confezionato per soddisfare una domanda momentanea (forse più indotta che reale) che il giorno successivo sarà già pronta a cambiare, ha riacceso la speranza di un nuovo rinascimento per il rap italiano, in cui la complessità diventa un atto sovversivo verso l’ordine costituito per restare davvero e – come ogni artista definibile tale – per provare a lasciare una traccia indelebile del suo passaggio su questa Terra.
Il concerto al Fabrique di Milano è la conferma: Kid Yugi è un unicum nel rap italiano
E infine ne abbiamo avuto la certezza definitiva ieri sera, assistendo alla prima delle tre date (tutte sold out) di Kid Yugi a Fabrique di Milano (colmo come poche altre volte), nonché il suo primo vero concerto da protagonista assoluto. Scordatevi playback, pause e voci sotto che negli ultimi anni abbiamo visto anche fin troppo, soprattutto – ahinoi – tra gli artisti più giovani. Il live del rapper di Massafra non è nulla di tutto ciò, ma – al contrario – è una vera e propria dichiarazione d’amore all’hip hop fatto come deve essere e come i suoi maestri gli hanno insegnato.
Rap serrato, senza interruzioni («alla faccia di quelli che dicevano che non avevo fiato», scherza lui alla fine del suo 64 BARRE DA CENSURA che fa impazzire la folla) nonostante la scaletta corposa, cristallino e sporco al contempo, senza sfociare nell’iper-tecnicismo fin troppo perfetto. Quello stesso modo di rappare che nel giro di due anni lo ha trasformato da rookie più promettente a uno dei nomi di punta della scena italiana e che gli ha fatto guadagnare il rispetto di addetti ai lavori, pubblico (che non si perde una barra dei pezzi di Kid Yugi, nemmeno quelli più complessi e conscious come Il Ferro di Čechov o Lucifero, due di quei brani che scavano davvero dentro chi li ascolta) e veterani.
L’attestato di stima di Noyz Narcos
Tra questi l’inscalfibile Noyz Narcos (di cui Yugi è evidentemente l’erede designato nell’essere per nulla accomodante o rassicurante, senza però calcarne pedissequamente le orme o rincorrendo l’emulazione), tra gli ospiti della prima data insieme a Tony Boy, Artie 5ive Ernia e Rrari dal Tacco, che dopo averlo definito «un emergente che non sembra emergente» che «fa il rap alla nostra maniera, parla un linguaggio molto simile al nostro. Ha la capacità di costruire una canzone che non è comune nei ragazzi della sua età ed era da molto tempo che non sentivo un rapper con queste capacità», anche al Fabrique non ha lesinato in attestati di stima nei suoi confronti.
E se sul palco Kid Yugi ha l’attitudine e la capacità di un artista con alle spalle anni di live, tuttavia non dimentica da dove arriva, quanta strada ancora c’è da fare e nemmeno la sua giovane età, tradendo genuinamente le emozioni di un 21enne venuto dal nulla che si sta prendendo tutto e che nel rap non vede una moda o un’opportunità di divismo, ma un bisogno viscerale di espressione. Ringrazia in modo sincero più e più volte il suo pubblico, coloro che lo hanno accompagnato nel suo percorso, e tiene ben salde nella mente le sue radici (e non solo territoriali), quelle stesse da cui non può prescindere e che lo hanno reso ciò che è oggi: il rapper migliore della sua generazione.