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Apologia del lyric video

L’incredibile parabola di un formato un tempo deriso e invece oggi all’avanguardia, raccontata da Sofia Ninova, creativa che ha lavorato per i grandi del pop (da Ariana Grande a Olivia Rodrigo)

  • Il8 Novembre 2025
Apologia del lyric video

Alcuni dei lyric video di Sofia Ninova

Tutto ciò che nasce per necessità porta con sé una certa malinconia: nasce per colmare un’assenza e finisce per fiorire nell’ombra, il terreno più fertile dell’arte. È proprio nella tensione tra calcolo e istinto che la tecnica scopre la propria autonomia. Il suo stesso limite ne conteneva la promessa. Il lyric video, per anni confinato alla periferia dell’arte, appartiene proprio a questa categoria. È stato a lungo percepito come un sottoprodotto dell’industria musicale: strumento promozionale, funzionale, nato per colmare l’intervallo tra un’uscita discografica e il video ufficiale.

Da puro gesto tecnico quale era, la sua grammatica visiva si è sviluppata di conseguenza. I primi lyric video erano spesso basati su testi scorrevoli e loop visivi, ridotti alla loro funzione primaria: trascrivere le parole di una canzone. Un’esigenza di mercato più che un atto creativo, oltre che un modo per risparmiare budget.

In quel contesto, il lyric video sembrava scaricarsi di qualsiasi responsabilità artistica, perché l’arte, si pensava, risiedeva già nei lyrics, nell’autorialità della scrittura. Ma invisibile non significa inesistente. Il lyric video ha dato il via alla sua silenziosa sovversione, adattandosi e reinventandosi come solo i linguaggi sottovalutati sanno fare.

I primi segni del cambiamento

Alcuni artisti hanno iniziato a trattarlo non più come un compito tecnico, ma come linguaggio autonomo: da supporto promozionale a voce autoriale. La parola scritta non è più mero sottotitolo della musica, ma inizia ad assumere una propria dimensione narrativa ed emotiva (oltre a combinare arti e tecniche diverse).

Già Bob Dylan nel 1965, con i cartelli scritti a mano di Subterranean Homesick Blues, aveva inconsapevolmente anticipato il formato. The Chainsmokers ne firmano invece una delle versioni più iconiche e virali con Closer. Anche Katy Perry, nel 2013, lo reinterpretò a modo suo con Birthday, dove il testo della canzone viene trascritto su torte e decorazioni, portandolo ad avere tre volte il successo del videoclip ufficiale. Il figlio illegittimo della musica stava pian piano iniziando a sviluppare un’anima.

La condanna preventiva del lyric video

Quando MTV decise di introdurre la categoria “Best Lyric Video” ai 2014 Video Music Awards, il gesto sembrò quasi un fraintendimento. Poco dopo la categoria fu cancellata, rimuovendo qualsiasi riconoscimento ufficiale dedicato a quel formato. La stampa internazionale lo mise subito sotto processo: The Atlantic lo definì “l’anello debole della catena visiva pop”, ironizzando sull’idea che l’America dovesse scegliere e votare “quale tra i team dei cantanti sapesse usare meglio il testo su iMovie”, e proseguì riducendo la sua sola utilità all’aumentare gli ascolti di una canzone. “Why is the lyric video a thing? And what can we do to stop them?”, si chiedevano.

Il contesto sembrava confermarlo. Nel 2013 Billboard modificò le regole che determinavano la scalata delle canzoni in classifica, includendo lo streaming tra i fattori di calcolo. Il lyric video appariva agli occhi della stampa come un ottimo espediente per amplificare i numeri.

Quell’ironia derogatoria, tuttavia, rivelava una verità più profonda: l’incapacità da parte del discorso critico di riconoscere la complessità di un linguaggio che non si esaurisce nella trascrizione delle parole, ma che invece le rielabora, offrendo loro qualcosa che presto sarebbe diventato molto più grande.

L’avvocato del diavolo: mi presento

Scrivo questa analisi dal punto di vista di chi ha vissuto in prima persona la trasformazione radicale del formato. Sono Sofia Ninova, creative director e visual artist con una profonda passione per l’intersezione tra musica e arte visiva. Negli ultimi anni ho avuto il privilegio di lavorare a lyric video per artisti come Ariana Grande, Olivia Rodrigo, Elton John, Nicki Minaj, Lil Wayne e molti altri.

Indipendentemente dal tipo di progetto, mi sono spesso ritrovata davanti alla stessa, fondamentale domanda: l’immagine che sto creando quanto può influenzare e rafforzare la percezione, il ricordo e il messaggio della canzone? Ha (e ho) davvero il potere di un impatto così profondo? È questa la questione che ha guidato gran parte del mio lavoro e della mia riflessione artistica.

Nel tentativo di definire i confini tra l’immagine e la musica, è emerso che il potere intrinseco di un visual può davvero influenzarne la percezione. L’interpretazione di un testo, l’impatto emotivo di un ritornello, l’eco del filo conduttore dell’album. Sono tutti elementi che plasmano l’intenzione di chi canta, scolpendosi più profondamente nel cuore dell’ascoltatore. Questa fusione tra suono, immagine e significato non solo accompagna la musica, ma la espande, con il lyric video come sintesi più pura.

Sofia Ninova - lyric video - 1
Sofia Ninova

La responsabilità e l’impatto del lyric video

Viviamo in un’era di consumo musicale esponenziale, tra streaming, social media e trend virali, dove la quantità di contenuti supera spesso la nostra capacità di comprenderli. Il “quantity over quality” è il nuovo metro di misura del ventunesimo secolo.

Il potere del lyric video di cui parlavo prima si colloca precisamente qui, nel suo atto di resistenza più radicale. Riporta il testo al centro della scena eliminando le distrazioni e impedendo alla melodia di offuscarne il significato. È un gesto di sottrazione e di rallentamento. Il ritorno a un ascolto più intenzionale e consapevole ne è solo l’estensione.

Così lo spettatore torna a una fruizione riflessiva, non più passiva, e a connettersi con la musica a un livello più profondo. In un certo senso potremmo definirla una nuova alfabetizzazione emotiva. La sua efficacia in questo contesto è innegabile in quanto non solo restituisce alla parola il suo ruolo intrinseco e fondamentale (quello di veicolo primario per la comprensione del contenuto), ma lo eleva, trasformando l’ascolto in un’esperienza visiva e attentiva.

È paradossale che proprio il lyric video (sì, quello di iMovie!) sia diventato uno dei luoghi più fertili per interrogare la natura stessa della comunicazione visiva.

La parte silenziosa della musica

Collaborare con un artista significa immergersi nel suo linguaggio emotivo. Quando un cantante scrive o registra un brano, attinge a pensieri, ricordi ed emozioni profonde. Il compito del creative director è di trasformare quell’intangibile in esperienza visiva, di renderla tridimensionale permettendole di esistere oltre il suono.

Per questo le fondamenta di un progetto creativo spesso si innalzano da una ricerca interiore più che esteriore: cosa vuole comunicare questa canzone? Che tipo di emozioni deve evocare? Da lì, l’immaginario prende vita fino a costruire un nuovo, intero universo narrativo che accompagnerà la musica nel mondo.

Dietro questa cura estetica esiste una rete globale di visual artist della nuova generazione, che hanno definito una nuova forma di storytelling e l’hanno introdotta nel discorso culturale contemporaneo. Essere uno di loro significa imparare a comunicare senza parlare, a capire senza chiedere, a leggere tra le righe. È un lavoro di empatia prima ancora che di tecnica.

Dopo l’empatia, la tecnica

Da un singolo fotogramma a una composizione complessa, ogni dettaglio è una tessera essenziale per costruire il mondo visivo attorno a un brano. E questa costruzione non è affatto casuale, ma è attentamente orchestrata per comunicare un messaggio chiaro.

La musica possiede una sintassi propria fatta di ritmo, pause, ripetizioni e intensità, e il lyric video traduce quella sintassi in immagini. Mi spiego meglio: nella musica, una pausa ha valore tanto quanto una nota. Nel video, uno spazio vuoto o una sospensione del movimento comunica la stessa cosa. Così come un sospiro o una voce che trema possono diventare una distorsione visiva. Per questo, animazioni, font, giochi di luce e texture, pur essendo dettagli minimi, alterano profondamente la percezione di una frase, sfumando i confini tra cinema e videoclip.

Questo approccio è stato la base dei miei lavori principali, soprattutto nella sfera pop. Per esempio, nei lyric video di We Can’t Be Friends e Twilight Zone di Ariana Grande, che ho realizzato sotto la direzione di Katia Temkin, l’inserzione di foto “behind the scenes” del video musicale può aprire un varco con lo spettatore per avvicinarlo alla parte più intima del racconto, invitandolo ad addentrarsi nel mondo che fino a quel momento aveva solo osservato da lontano. Entrambi i video condividono la stessa ambientazione, ma si muovono su piani temporali opposti: la stessa stanza riappare in rovina, diventando il ponte simbolico che collega i capitoli di un unico racconto discografico.

Il ruolo dei fan nei lyric video

L’immersione del pubblico non si limita solo alla sfera emotiva, ma si estende alla partecipazione stessa. Oggi molti visual integrano contenuti girati dai fan, intrecciando le loro esperienze con la narrazione dell’artista, come per esempio Refrigerator Door di Luke Combs, che ha incluso foto, ricordi e frammenti della vita dei suoi ascoltatori, o Wonder di Shawn Mendes, che ha fatto trascrivere i lyrics direttamente ai fan. Una collaborazione universale.

Drivers License di Olivia Rodrigo, invece, ha ridefinito l’idea stessa di partecipazione dello spettatore, non attraverso la sua immagine ma tramite il suo contributo artistico. Quel lyric video (il primo che io abbia mai realizzato) nacque come un “fan-made”, un mio atto di pura devozione e ammirazione, da diciassettenne che si rispecchiava nella fragilità della canzone. Fu poi Olivia stessa, tramite Universal Music Group, a sceglierlo come video ufficiale.

Non è una sorpresa, dunque, se migliaia di fan ricreano le proprie versioni dei lyric video sui social, trasformandoli in reinterpretazioni intime e personali. Questo dialogo continuo tra artisti e pubblico si rivela il linguaggio più aderente alle necessità dei nostri tempi. Tutto concorre a creare un universo narrativo che amplifica l’esperienza uditiva e che trasporta gli spettatori in un altro mondo, un mondo condiviso in cui la musica ci unisce e ci rende più umani.

L’assoluzione

Questa ricerca, di conseguenza, non riguarda solo l’estetica, ma la possibilità di ridefinire la funzione del formato: credo che il lyric video possa, e debba, tornare a essere percepito come linguaggio artistico a tutti gli effetti. L’obiettivo ultimo è quello di restituire al formato più “invisibile” della musica la sua identità e dignità di un atto artistico vero e proprio.

Forse il vero errore non fu la cancellazione della categoria “Best Lyric Video”, e nemmeno le critiche che ha subito. L’errore fu l’averla introdotta troppo presto. Perché proprio oggi più che mai, il lyric video è diventato il luogo in cui la musica trova riparo e ritorna alla propria essenza. E se questa è un’apologia, allora la mia assoluzione è semplice: non serve più difendere ciò che ha imparato a parlare da sé.

Articolo di Sofia Ninova

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