Dobbiamo parlare di Matteo Mancuso
Il virtuoso italiano classe ’96 è ormai una delle stelle più luminose del nuovo panorama chitarristico (con attestati di stima nei suoi confronti che vanno da Steve Vai ad Al Di Meola)
Da sempre siamo abituati ad ascoltare la straordinaria musica di virtuosi dai cognomi inequivocabilmente italiani, dei più diversi generi: Joe Satriani, Steve Vai, Al Di Meola, Joe Passalacqua (meglio conosciuto come Joe Pass), Pat Martino, Joe Bonamassa, solo per citare alcuni dei chitarristi più celebri. Segno tangibile della diaspora italiana e del suo contributo alla cultura d’oltreoceano. Decisamente più rari, invece, sono gli italiani d’Italia, perlomeno a quel livello di notorietà internazionale. Ormai da diversi anni una bella eccezione è rappresentata da Matteo Mancuso, che si è fatto largo nel panorama chitarristico globale con garbo, stile e, soprattutto, talento da vendere.
Dicono di lui
Difficile che il tuo talento passi inosservato quando sono gli stessi OG della chitarra a esprimere pubblicamente stima nei tuoi confronti. Tanto per menzionare qualche fan illustre di Matteo Mancuso: l’hanno additato come futuro della chitarra elettrica Tosin Abasi, Eric Johnson, Stef Burns, Dweezil Zappa, e pure i già citati Bonamassa, Vai e Di Meola.
Quest’ultimo ha avuto a dire: «La sua capacità d’improvvisazione è avanti anni luce. Ci vorrebbero due o tre vite per arrivare al suo livello. Mi ricorda l’arrivo di Jaco Pastorius sulla scena: anche allora ci chiedevamo come avesse fatto a diventare così bravo in così poco tempo». I due hanno anche suonato insieme, su invito di Al, nel 2022 all’Eddie Lang Jazz Festival di Monteroduni, in Molise.
Steve Vai invece ha confessato: «Ero senza parole quando ho sentito Matteo la prima volta. L’evoluzione della chitarra è in buone mani con gente come lui. È un nuovo livello: il tono, il tocco, il fraseggio… Incredibile!».
Bonamassa: «Non ho mai visto niente del genere prima. È quanto di più incredibile che abbia visto dai tempi di Stanley Jordan. Ha completamente reinventato lo strumento. Prima suona in stile Eric Johnson, poi fraseggia sui cambi modali, poi pare suonare gli Iron Maiden… non c’è nessun altro così versatile».
Fra i tributi di stima è il caso di ricordare anche quel vero e proprio maître à penser della “musica per musicisti” (mi si passi l’espressione) che è Rick Beato. Il grande produttore/youtuber (il suo canale conta oltre 4 milioni di iscritti) gli ha dedicato una lunga intervista che è anche una sorta di consacrazione, peraltro con quella corona di “world’s greatest guitarist” nel titolo (con un punto di domanda finale messo più per prudenza che per dubbio).
Chi è Matteo Mancuso
Palermitano, classe 1996, si approccia alla musica sin da piccolo, anche su stimolo del padre Vincenzo, musicista e produttore che negli anni ha lavorato con artisti come Anna Oxa, Nada, Marcella Bella, Rino Gaetano, Claudio Villa, Domenico Modugno, Carmen Consoli, Loredana Bertè, Francesco De Gregori, Renato Zero e ha anche fatto parte dell’orchestra del Festival di Sanremo.
Finito il liceo musicale, dove ha approfondito lo studio della chitarra classica, Matteo Mancuso fonda il trio SNIPS, con cui suona standard jazz/fusion fra cui una fortunata cover di The Chicken che è quella che lancerà la sua notorietà su YouTube (ad oggi il video conta 2,7 milioni di visualizzazioni).
Nel 2019, in collaborazione con Yamaha (di cui è endorser: lui suona regolarmente una Revstar Custom), partecipa al NAMM di Los Angeles, una delle più grandi e celebri fiere di strumenti musicali al mondo.
Nel 2020 fonda un nuovo trio con Stefano India al basso e Giuseppe Bruno alla batteria, questa volta creando anche brani originali. Con loro intraprende un lungo tour internazionale. Nel 2022 suona in due live importanti: insieme al già citato Al Di Meola e con la PFM a Lugano (in sostituzione di Marco Sfogli per quella data, da cui verrà tratto anche un live album). Nel 2023 invece Tommy Emmanuel lo invita sul palco durante il suo concerto a Palermo.
Nello stesso anno esce il suo primo album solista, The Journey. Ad oggi il suo canale YouTube è seguito da 225mila iscritti.
Fenomenologia di Matteo Mancuso
Nella scorsa puntata di Soundcheck ci siamo divertiti a tracciare una “fenomenologia di Ichika Nito” (il riferimento era la Fenomenologia di Mike Bongiorno di Umberto Eco). Si può fare lo stesso con Matteo Mancuso, anche perché i due virtuosi hanno più di una caratteristica in comune.
Faccia da bravo ragazzo, sbarbato, sempre sorridente, ciuffetto sbarazzino in testa, Matteo è prima di tutto uno della sua generazione: come Ichika Nito, lo vediamo sempre vestito in modo casual ma trendy, con sneakers e belle felpe hoodie alla moda. Niente fiamme, dragoni, teschi o altra iconografia simile che troppo spesso fa scadere il rock in un’estetica kitsch, ma semplicemente un ventenne “Zara-chic” che vuole dare un’immagine pulita di sé.
Completano il tutto le maniere affabili e – cosa che non contraddistingue noi italiani – un inglese fluente, come dimostra nelle varie interviste, fra cui quella con Rick Beato.
Come Ichika, Matteo deve molto del suo successo a YouTube e in generale alla viralità da social. Un altro esempio di nuovo talento che è riuscito a sfruttare in modo efficace e spontaneo le possibilità offerte – anche ai musicisti – dalle grandi piattaforme digitali. A differenza di Ichika, la sua carriera ha avuto un risvolto molto più tangibile in termini di live e di lavoro in studio di registrazione.
In generale si capisce perfettamente che Matteo Mancuso non è un fenomeno della chitarra per caso o per dono divino: certo, c’è il talento, ma parliamo prima di tutto di un ragazzo che ha studiato anni per raggiungere questo livello, con sacrificio e disciplina. E questo è un punto su cui conviene riflettere: in un’epoca in cui tutti possono fare musica (o almeno provarci), lo studio più o meno accademico rappresenta oggi più che mai un tratto distintivo per emergere dalla massa. Chiusa la parentesi da boomer.
L’album The Journey
Come dicevamo, l’anno scorso Mancuso ha pubblicato il suo album d’esordio, The Journey. Nota a margine: siccome non si giudica un libro (o un album) dalla copertina, allora giudichiamo solo quest’ultima. Lui è un tipo per certi aspetti molto contemporaneo, ma la cover – quella sì – è una vera boomerata, con la sua Yamaha in primo piano su un generico paesaggio collinare che sembra AI-generated. Come se gli album di quel tipo di musica (chitarristica, strumentale, virtuosistica) debbano per forza sempre avere in copertina il modello custom dell’artista, variamente “decorato”. Ma gli vogliamo bene anche per questo.
Fra l’altro l’album è uscito per Mascot, la stessa label che ha pubblicato gli ultimi lavori di – guarda un po’ – Steve Vai e Joe Bonamassa. Ma nel roster dell’etichetta ci sono anche altri giganti della chitarra elettrica rock e/o fusion come Paul Gilbert, Marty Friedman, Steve Lukather, Yngwie Malmsteen, Lee Ritenour. Insomma, Mancuso è decisamente in buona compagnia.
Per il resto, l’album è un composito lavoro che spazia attraverso sonorità eterogenee («Il mio obiettivo era fare un album che non fosse associabile a un unico stile», ha confermato in un’intervista a Guitar Player). Si va dai riff “heavy” dell’opening track Silkroad e di Drop D al piglio “jazzy” di Blues for John, dalla pura fusion di Polifemo e Falcon Flight al sapore acustico della conclusiva The Journey.
Il disco non brilla per originalità: del resto il suo punto forte non è la composizione ma l’improvvisazione. In compenso mette in bella mostra una versatilità stilistica e di sound (nel senso più ampio del termine) che non sempre emerge dai video reperibili su YouTube, dove prevale uno stile più uniformemente rock/fusion. Ed è un buon biglietto da visita “extra-YouTube” in un periodo in cui i nuovi virtuosi spesso faticano a uscire dalla sfera prettamente social.
Lo stile di Matteo Mancuso alla chitarra
Come dicevamo, non parliamo certo di un astro nascente visto che la sua prima volta al NAMM come endorser di Yamaha risale al lontano 2019. Ormai lo stile di Matteo Mancuso è ben definito e maturo.
Da un punto di vista di linguaggio chitarristico, l’approccio di Matteo Mancuso è affine a quello “classico” del grande filone rock/fusion: John Scofield, Frank Gambale, Scott Henderson, Guthrie Govan sono influenze chiaramente individuabili (e del resto apertamente dichiarate).
Quello che fa davvero la differenza è l’uso della mano destra. Gran parte dell’unicità di Mancuso infatti sta in una tecnica fingerpicking tipo chitarra flamenco (evidente eredità della chitarra classica), con indice e medio in posizione perpendicolare alle corde. Talora la alterna a una posizione con la mano appoggiata sul ponte, con il vantaggio di usare anche il pollice per eseguire veloci arpeggi e string skipping.
L’alternanza di queste due tecniche e l’eccezionale coordinamento fra mano destra e mano sinistra ne fanno il prodigio che conosciamo. Il controllo di Mancuso sulla tastiera è impressionante: anche quando suona i passaggi più arditi, sembra volare sulle note, accarezzando le corde più che pizzicandole.
Il tono è sempre chiaro e pulito (merito anche del fingerpicking: un plettro suonerebbe molto diverso), con una perfetta padronanza di volumi e sfumature dinamiche che è parte integrante del suo stile espressivo. Il fraseggio di ascendenza rock/fusion si muove impeccabilmente con soluzioni sempre sorprendenti sia su cambi modali sia su pedali di un accordo solo.
In conclusione
Insomma: Matteo Mancuso non solo è bravissimo, con una tecnica e una pulizia di esecuzione che fanno cascare la mascella, ma è anche riuscito anche nel mezzo miracolo di sviluppare uno stile unico, riconoscibile da tutti al primo ascolto. Questo lo inserisce di diritto fra i grandi della chitarra di oggi.
Matteo è anche stato in TV, ospite di trasmissioni (Propaganda Live, Via dei Matti n. 0 di Stefano Bollani) che l’hanno fatto conoscere al grande pubblico italiano. È bello che la televisione ricominci a valorizzare questi talenti musicali al di là dei protagonisti delle classifiche che già conosciamo. Come si faceva una volta.