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Lo show di Michael Kiwanuka è un viaggio che racconta i cambiamenti della vita

Il cantautore britannico ha portato dal vivo, nell’unica data italiana del suo tour, il quarto album “Small Changes”. Lo show all’Alcatraz di Milano è stato un percorso audiovisivo dominato dal soul e dai brani del suo ultimo lavoro discografico

Autore Samuele Valori
  • Il4 Marzo 2025
Lo show di Michael Kiwanuka è un viaggio che racconta i cambiamenti della vita

Foto di Elena Di Vincenzo

Un palco affollato e addobbato con lampade che proiettano una luce rossa. Le coriste, gli archi e la band tradizionale sono posizionati ai lati e sullo sfondo mentre al centro c’è lui. In uno spazio che sembra più largo di quello che realmente è. Michael Kiwanuka è tornato a Milano a distanza di cinque anni, stavolta all’Alcatraz (nel 2020, per il tour del suo terzo disco eponimo era stato al Fabrique), dopo aver essere stato protagonista della line up de La Prima Estate lo scorso giugno. Il nuovo live prende spunto dalla scaletta del breve show in Toscana, ma stavolta ci sono i brani del suo quarto album Small Changes. Sono proprio quest’ultimi pezzi a tracciare i contorni del concerto e a definirne il mood complessivo.

Il pubblico, molto poco avvezzo all’utilizzo del cellulare se non durante i singoli più celebri, si ritrova partecipe di un viaggio audiovisivo che lo avvolge per quasi due ore. Michael Kiwanuka, come spesso fa, opta per uno show con poche interruzioni ma non per questo minimale. Il grande schermo alle spalle del cantautore britannico racconta una storia universale. Si parte con una luce indefinita e The Rest of Me (forse la scintilla della vita?). Si prosegue con le immagini di un neonato durante Follow Your Dreams. Brano dopo brano i video, tutti realizzati con il medesimo tipo di fotografia che caratterizza la copertina del suo ultimo disco, mostrano quello stesso piccolo crescere.

È un racconto e una metafora della sua parabola artistica e personale. Nato in Inghilterra, figlio di genitori ugandesi scappati dal loro Paese d’origine e dal regime di Idi Amin, Kiwanuka è esploso nel 2012 con un album, Home Again, fuori dal tempo. Un disco che suona classico e contemporaneo allo stesso tempo. Purtroppo, solo la titletrack di quel piccolo capolavoro fa parte della setlist. Un regalo che il cantautore fa ai suoi fan a metà show, chitarra e voce, senza luci né proiezioni. Un vero e proprio ritorno a casa.

Foto di Elena Di Vincenzo

Cambiamenti

Con Small Changes Michael Kiwanuka ha intrapreso una strada un po’ più sperimentale rispetto al passato. Il lato più acustico e soul, ma soprattutto quello ritmico, hanno lasciato spazio a un’identità sonora più orchestrale con influenze psichedeliche. Esempio principe è il lungo assolo pinkfloydiano che chiude Four Long Years. La traccia conclusiva del quarto album è anche quella che in questo tour segna la fine del primo encore che prevede anche la suggestiva Lowdown, portata dal vivo con entrambe le sue parti. In realtà, gran parte della seconda sezione del concerto è dedicata all’ultimo disco.

Dopo la stupenda Solid Ground, eseguita al pianoforte, seguono infatti ben sette dei dieci brani di Small Changes. Da un lato, questa scelta dona al live un’identità ben definita. Il “locale” costruito sul palco dell’Alcatraz di Milano è come se si allungasse su tutta la platea, ancor di più quando Michael Kiwanuka canta seduto senza la sua chitarra guardando negli occhi i presenti. Se la distanza col pubblico è accorciata, si perde in parte il movimento. Un aspetto che riguarda in generale proprio il quarto album. In brani come You Ain’t The Problem o la potente Black Man in a White World lo scenario cambia. La gente si muove e il messaggio politico e culturale arriva e colpisce dritto il bersaglio.

Foto di Elena Di Vincenzo

La performance su tutto

Lo stile, l’eleganza e la perfezione di un’esibizione senza sbavature, rispecchiano il talento naturale di uno dei cantautori più importanti della sua generazione. Al di là dei momenti più lenti del concerto – comunque Small Changes è un’opera che ha bisogno del suo tempo, anche dal vivo – il livello è altissimo. Sì, è vero, questo già si sapeva. Michael Kiwanuka, con la band o solo con la sua chitarra, ha una forza magnetica e una voce capaci di attirare sguardo e orecchie. E se qualcuno in platea, in uno dei rari momenti in cui il silenzio religioso con cui si ascoltano i pezzi è rotto, spera in qualche classico in più della sua discografia, dopo il secondo bis esce comunque sollevato e soddisfatto.

C’è da dire che l’accoppiata consolidata – oramai è il finale di tutti i suoi live – Cold Little Heart e Love & Hate non può non conquistare chi ascolta. In molti l’hanno conosciuto proprio da quel suo secondo disco del 2016.

I quasi otto minuti del finale di Love & Hate sono una colonna sonora perfetta – non è un caso che fosse parte anche della soundtrack della serie Netflix When They See Us – e creano una partecipazione unica in tutta la sala. Si può essere d’accordo con chi si aspettava più brani dal passato, in particolare dal debutto. Allo stesso modo però non si può negare che il concerto abbia un suo percorso narrativo coerente così come i video che lo animano. Si parte con una luce blu e si finisce con un fiore in bianco e nero che si chiude su se stesso, prima del ritorno dell’azzurro luminoso. È la vita che scorre, insieme alla voce calda e sofferta di Michael che non è un collante, ma una protagonista assoluta. Perché non ci sono scalette che tengono, Kiwanuka è oltre.

Foto di Elena Di Vincenzo
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