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Soundcheck

Si pubblichino più album come “i/o” di Peter Gabriel

Con il disco di inediti uscito il 1° dicembre, l’ex Genesis ha messo fine a un’attesa durata oltre vent’anni, alzando ancora una volta l’asticella della qualità. Nella nuova puntata di Soundcheck ci caliamo a fondo in una delle release migliori dell’anno

Autore Federico Durante
  • Il5 Dicembre 2023
Si pubblichino più album come “i/o” di Peter Gabriel

Peter Gabriel (foto di Nadav Kander)

Com’è difficile trovarsi davanti a una pagina bianca di Word e darsi il compito di scrivere non già una recensione vera e propria ma almeno un invito all’ascolto, un percorso ragionato sul nuovo, splendido album di Peter Gabriel, i/o.

Nani sulle spalle dei giganti

È difficile scrivere del nuovo album di Peter Gabriel per più di un motivo. Innanzitutto per la statura del personaggio in questione, un gigante che in oltre mezzo secolo di carriera – prima con i Genesis e poi da solista – ha sempre spinto in là gli orizzonti della creazione musicale, in un percorso di costante ricerca in cui pochi sono stati i passi falsi e moltissimi i capolavori.

È difficile anche per la natura squisitamente contingente dell’occasione. Prendendo in considerazione i soli lavori di inediti, i/o infatti è l’album che rompe un silenzio discografico di Peter Gabriel che durava da oltre vent’anni (più dei Rolling Stones di Hackney Diamonds quindi). Per la precisione ventuno: per rintracciare il precedente dobbiamo risalire ad Up del 2002, il quale a sua volta arrivava a dieci anni da Us. Dopo la straordinaria stagione creativa del suo periodo solista fra fine anni ’70 e fine anni ’80 la sua produzione si è rarefatta ed è un eufemismo dire che abbia preferito la qualità alla quantità (cosa comunque evidente).

Infine è un compito arduo per la modalità a dir poco non ortodossa di release del progetto. Per chi se lo fosse perso, il disco non si è palesato in blocco il 1° dicembre né è stato anticipato da due o tre singoli. Tutt’altro: è uscito un poco alla volta, un nuovo brano (in ordine di tracklist) allo scoccare di ogni luna piena. Sicché al 30 novembre erano già uscite tutte le tracce, compresa la conclusiva (e bellissima) Live and Let Live. Che si può dire dunque di un disco che chiunque ha potuto già ascoltare e riascoltare?

Peter Gabriel e i/o: un magnifico elogio della lentezza

Ma forse la pista da seguire è molto semplice, ed è proprio quest’ultima. Che garbo che occorre per pubblicare un capolavoro come questo (perché tale è i/o) senza fare chiasso, con discrezione, quasi in sordina. Senza l’ansia della release, degli annunci a sorpresa, del massimizzare stream e vendite nella settimana di uscita per poi scomparire dalle classifiche la settimana successiva.

Al contrario: regalando al pubblico un nuovo pezzetto ogni mese, poi se i fan più affezionati vorranno regalarsi il disco in formato fisico, tanto meglio. In un mondo discografico che corre più che mai, il nuovo album di Peter Gabriel è un magnifico elogio della lentezza.

La valorizzazione della forma album

Non c’è un singolo aspetto di questo nuovo album di Peter Gabriel che non sembri frutto di un pensiero strutturato. Davvero, vediamone alcuni.

Innanzitutto c’è una delle prime premesse che facevamo, quella relativa alla modalità di uscita. Un approccio a colpi di “singoli” (come si conviene dunque all’ecosistema dello streaming, sempre ammesso che si possano definire tali) che però non rinuncia all’unità narrativa dell’album.

La forma album è valorizzata su almeno due livelli. Il primo è proprio il fatto che, ascoltati in fila, i singoli compongono proprio la tracklist del disco. Come un quadro che viene svelato un pezzetto alla volta finché non ci ritroviamo – quasi non ce ne eravamo accorti – a fissare l’opera nel suo complesso.

Il secondo è la presenza, in tutti i formati di pubblicazione, dei due mix alternativi (“Bright-Side Mix” e “Dark-Side Mix”). A prima vista quasi un vezzo da audiofili, da contenuti extra delle edizioni deluxe di un album. Invece, un modo per Gabriel di aprire idealmente le porte dei Real World Studios e farci assistere più da vicino al processo di mixaggio di un disco. Con risultati che possono portare, se non in direzioni opposte, quantomeno a esperienze sensoriali molto diverse. Chiunque può fare un confronto “in parallelo” di una stessa traccia nei due mix e apprezzarne le diverse sfumature.

I musicisti di i/o di Peter Gabriel

Come sempre, quando si parla di Peter Gabriel, si parla anche dei musicisti di eccezionale qualità che lo accompagnano. E che parterre che ospita i/o. Tanto per cominciare troviamo alcune vecchissime (e anche per questo graditissime) conoscenze. David Rhodes alla chitarra, Tony Levin al basso e Manu Katché alla batteria costituiscono il comun denominatore di tutte le tracce dell’album.

Ma mica finisce qui. Sempre in tema di vecchie conoscenze, qua e là c’è lo zampino fra synth e piano dell’immenso Brian Eno (Panopticom, This Is Home) e del Soweto Gospel Choir. E c’è un produttore di gran gusto e cultura musicale (nonché fondatore di XL Recordings) come Richard Russell (Four Kinds of Horses).

E ancora: troviamo il pianista Tom Cawley, Josh Shpak e il nostro Paolo Fresu alla tromba, la violoncellista Linnea Olsson, il tastierista Don E., Melanie (figlia di Gabriel) e Ríoghnach Connolly dei The Breath ai cori, gli archi della New Blood Orchestra diretti da un grande compositore contemporaneo come John Metcalfe.

La grandezza di un artista si vede non solo dal suo talento ma anche dalla capacità di circondarsi dei giusti collaboratori. Capacità che il Nostro dimostra ancora di possedere in sommo grado, fra nomi storici che ritornano e nuove scommesse. Insomma, Peter Gabriel è stato ed è ancora una sorta di regista, di catalizzatore di talenti. Una vera e propria “mastermind” in grado di radunare il team perfetto per creare un tutt’uno coerente e di altissimo livello a partire da esperienze artistiche eterogenee.

Peter Gabriel - i-o - nuovo album - recensione - foto di Nadav Kander - 2
Foto di Nadav Kander

Le canzoni

Ah già, i/o di Peter Gabriel è anche un album bellissimo. Lo dicevamo: un nuovo capolavoro della sua discografia.

Preziosissimi, dicevamo, sono i contributi dei “big” presenti: Brian Eno, John Metcalfe (splendida la sezione d’archi di Playing for Time) e Richard Russell. Il tocco elettronico minimal di quest’ultimo in Four Kinds of Horses è evidentissimo e ricorda da vicino il sound del suo bel progetto Everything Is Recorded. Peraltro pare che un coinvolgimento di Peter Gabriel in quel disco fosse mancato per un soffio. Quindi qui assistiamo anche alla chiusura di un cerchio.

Per il resto, il nuovo album di Peter Gabriel è un affresco di tante sonorità e approcci creativi diversi degno dei suoi album solisti storici. C’è Road to Joy, un divertente pop funk quasi alla maniera di Sledgehammer che non stonerebbe all’interno di un album di St. Vincent. C’è poi Olive Tree, che con le atmosfere solari e la sezione di fiati del ritornello ricorda il mood dominante di un altro album pop sofisticato come Face Value di Phil Collins (tanto per citare un altro eccellente ex Genesis). Per poi arrivare ai brani più sperimentali e “altri”, come The Court (con il suo incedere scuro e ipnotico) e And Still (dove la qualità eterea e minimale del mood si sposa alla perfezione con la vellutata sezione d’archi).

Ma le canzoni più belle del disco per noi sono quelle più squisitamente acustiche. La maestosa e commovente Playing for Time è un capolavoro che ricorda la grande musica per film americana. Non per niente è dichiaratamente ispirata allo stile di Randy Newman, con cui Gabriel ha collaborato in passato. La title track i/o è la canzone più bella dell’album. Anche per il semplicissimo messaggio di armonia universale che veicola: “Stuff coming out, stuff coming in, I’m just a part of everything”.

Stesso discorso per So Much, in cui Gabriel riflette sulla nostra caducità come individui di questo mondo. Chiusura in bellezza con Live and Let Live, con il suo messaggio di tolleranza e perdono che suona quanto mai attuale, viste le notizie che ci arrivano dal mondo. Non vuota retorica ma concreta indicazione pacifista. La lunga coda del brano è luminosa e carica di speranza: un moderno, intenso gospel.

Sarà probabilmente per la “saggezza” maturata nei suoi ormai venerandi 73 anni, ma gran parte del disco ha a che fare con una serena contemplazione dei grandi temi dell’esistenza umana: identità, speranza, unità, amore e, certo, morte. Tutti trattati in modo mai stucchevole.

In conclusione

Insomma, il nuovo album di Peter Gabriel è un disco “perfetto” per tanti motivi. Chiaro, non tutti gli artisti possono permettersi (anche solo economicamente) progetti di un simile respiro. Ma di sicuro resta un notevole “benchmark” per gran parte di quel mondo pop e rock mainstream che ambisca a una certa statura, tenendosi alla larga da eccessi pacchiani e kitsch. Fate uscire più dischi come i/o.

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