Quanto guadagnano e soprattutto quanto spendono le case discografiche a Sanremo?
A dieci giorni dalla proclamazione del vincitore del Festival, abbiamo intervistato il presidente di FIMI Enzo Mazza per capire meglio quale sia il risvolto economico per le etichette
Foto di Maria Laura Antonelli x Agf
A oltre una settimana di distanza dalla fine del festival di Sanremo, ancora si va avanti parecchio a parlarne. Un po’ perché soltanto l’altro ieri Olly ha annunciato che non parteciperà all’Eurovision e al suo posto andrà Lucio Corsi. Un po’ perché, ovviamente, come da un po’ di anni a questa parte, i brani di Sanremo sono i più ascoltati in radio e quelli più streammati. Ma oggi parliamo dei costi sempre in aumento sostenuti dalle case discografiche legati alla partecipazione degli artisti al festival.
Le prime due posizioni della top 50 di Spotify rispecchiano il podio sanremese con Olly e Lucio Corsi, al terzo posto, invece, non c’è Brunori ma Fedez. Nell’airplay radiofonico troviamo al primo posto Achille Lauro, al secondo Giorgia e poi al terzo Olly (nella settimana dal 14 al 20 febbraio). E comunque artisti del festival fino alla quinta posizione. Insomma, un gran successo per tutti dopo il festival? Certo, soprattutto, la conferma di un trend di questi ultimi anni, ma d’altro canto le spese per le case discografiche continuano ad aumentare sempre di più. Ma già prima dell’inizio del festival, il 6 febbraio, la FIMI, aveva divulgato i dati e ora, a poco più di una settimana dalla fine dell’evento più importante (e caotico) della musica italiana, non possono che essere peggiorati.
Come mai? Sanremo sta diventando sempre di più l’evento dove non basta esserci e nemmeno partecipare. Bisogna per forza organizzare mille cose. Bisogna affittare le gelaterie, le pizzerie o le farmacie da parte degli artisti. Costruire mega strutture ad hoc nonché dare appuntamento per feste dove vogliono presentarsi sempre in 20. Tutto sta sfuggendo di mano, e a dirlo sono molti addetti ai lavori.
Le parole di Enzo Mazza
Enzo Mazza, presidente di FIMI, fa sapere che ad artista sono stati spesi dai 100 ai 120 mila euro (almeno), quando il rimborso della Rai ammonta al massimo a 62mila euro ad artista. 25mila euro, invece, sono previsti per i giovani ma, come fa notare giustamente lui, le spese non sono certo diverse.
I costi vivi nella città di Sanremo per dormire, mangiare e bere continuano ad aumentare. Mazza parla di un 25% in più solo rispetto a un anno fa. E ad aumentare, appunto, sono anche tutte le persone coinvolte che accompagnano gli artisti. Più social media manager, più assistenti degli stylist, più make up artist, più driver dedicati.
«È un modello che va cambiato», ribadisce Mazza. «Bisogna sedersi a un tavolo e capire come sono cambiate le esigenze. Però in effetti bisogna farlo dopo che si è capito il risultato della causa in corso contro il Comune di Sanremo sull’obbligo di tenere una gara per assegnare la trasmissione del festival. E poi Rai e Comune quest’anno devono rinnovare in ogni caso la loro convenzione. Quindi riteniamo che si debba tenere una conservazione franca con tutti i soggetti coinvolti, perché al momento ci guadagna soprattutto Rai pubblicità e tutta l’ospitalità del Comune. Non le aziende che però tengono in piedi il festival».
La questione non si risolverà di sicuro prima dell’estate. E poi: le case discografiche guadagnano grazie a Sanremo un +1,5% dovuto all’incremento d’ascolto dei brani singoli (come riportato nel precedente report) ma non guadagnano anche in percentuale dagli accordi tra i brand e gli artisti? «Anche questa è una materia decisamente controversa», continua Mazza. «Rai Pubblicità pone molte limitazioni che bisognerebbe ridiscutere. Prendiamo il caso molto discusso della collana indossata di Tony Effe, giusto per fare un esempio».
Insomma, Sanremo è la vetrina più importante per gli artisti italiani ma forse non è per tutti la gallina dalle uova d’oro che ci si aspetterebbe. E poi ha senso per tutti i soggetti coinvolti, anche quelli editoriali che il festival lo devono raccontare, sovrapporsi con troppi eventi? Non sarebbe forse meglio tornare a proporre meno eventi ma più di qualità? Magari in sinergia? Domande che lasciano aperto più di uno scenario.