Sum 41, Avril Lavigne e Simple Plan: non abbiamo più avuto artisti come quelli che amavamo a 12 anni
Il penultimo appuntamento degli I-Days Milano Coca-Cola ci ha regalato una serata pop-punk anni ’00. Dai Simple Plan alla band di Deryk è stato un viaggio generazionale
In Stand By Me, uno degli adattamenti cinematografici più riusciti della bibliografia di Stephen King, c’è una battuta che viene ripresa spesso nelle pagine che raccolgono le citazioni più belle: «Non ho mai più avuto amici come quelli che avevo a 12 anni. Gesù, chi li ha?». Ogni volta è un vuoto in pancia. L’adolescenza, un periodo complicato, ma con un privilegio che molto spesso non ci rendiamo conto di aver perso: il coraggio. E in questo enorme calderone c’è anche la musica. A 12 anni non si ha paura di provare emozioni e ascoltare la musica che ci piace. Negli anni Duemila, in quella che potrebbe essere definita una terza ondata pop-punk, Sum 41, Avril Lavigne, Simple Plan, ma anche i Blink-182, i nuovi Green Day (più operistici) e i My Chemical Romance, hanno accomunato un’intera generazione che, come ieri agli I-Days Milano, non aveva paura di mostrarsi inadeguata, fuori dagli schemi e pop.
Welcome to my nostalgia
Il pop-punk dei primi anni Duemila era legato a un immaginario molto più cazzone rispetto a quello del decennio precedente. Molto più figlio dei Blink-182 e di American Pie e soprattutto molto più canadese. Simple Plan, Avril Lavigne e Sum 41 hanno debuttato tutti più o meno nello stesso anno. I primi rappresentavano la quota a metà strada tra l’emotività e la spavalderia tipica del genere. Quando ieri Pierre Bouvier è salito sul palco, vestito come vent’anni fa, con una t-shirt senza maniche, erano quasi le 18:00 e il sole era ancora alto.
L’effetto MTV è stato immediato, soprattutto quando la band ha eseguito Addicted o Welcome To My Life la hit che li consacrò definitivamente in Italia. La voce del frontman mantiene ancora il tono acido di un tempo, nonostante le rughe del viso ci ricordino che sì, 22 anni sono passati davvero. E non lo nasconde neppure lo stesso Pierre quando, poco dopo aver saltato su e giù per il palco con dei ballerini vestiti da Scooby-Doo, introduce I’m Just a Kid. È passato tutto questo tempo, ma quella generazione chiusa in cameretta con il walkman e i primi prototipi di lettori mp3, si è ripresa il suo spazio. Si chiude con Chuck Comeau (il batterista) che si lancia tra il pubblico e con Perfect cantata a squarciagola da tutti.
Gesù, le canzoni di 22 anni fa…
Ancora 22 anni, ancora il 2002. Nel preludio dell’estate dei mondiali di calcio in Corea e dell’arbitro Moreno, il pop-punk riesplode definitivamente con un’artista singola. Una roba strana, soprattutto in un mondo dominato da band. Complicated di Avril Lavigne anticipa uno degli album più venduti del decennio, Let Go. Ascoltarlo dal vivo, forse un po’ troppo presto in scaletta, è stato per certi versi straniante. Lei, Avril, sul palco, è disinvolta come sempre, come il verde fluorescente che illumina il suo outfit. Gran parte del pubblico è arrivato da tutta Italia per lei e lo si è capito quando Girlfriend ha aperto il suo set e si sono creati i primi mosh pit.
Si parlava di rughe e di tempo che passa. Quando si vanno a vedere degli artisti con i quali si è cresciuti che, al di là di qualche nuovo disco, vivono soprattutto di quanto raggiunto e ottenuto in passato, è un rischio. Ieri i rischi ne erano addirittura tre, tanti quanti gli artisti in programma. Eppure, man mano che si passava da un brano all’altro la sensazione nostalgica veniva sostituita da un’insolita euforia. Ci si è ritrovati a cantare e riconoscere canzoni che credevamo di aver dimenticato e senza dubbio quelli sono stati i flash temporali migliori.
He Wasn’t, Happy Ending fino a Sk8er Boi, prima della finale I’m With You che avrebbe fatto impazzire il nostro io adolescente. Nel mezzo anche un omaggio ai Blink-182 con una cover di All the Small Things che dimostra ancora una volta come quella generazione pop-punk abbia avuto il merito di unire ancor di più il pubblico. Difficile che chi ami i Blink, non apprezzi i Sum 41 e viceversa. Certo, ci sono preferenze, ma non rivalità. E nel rock questa cosa, almeno fino agli Novanta non era scontata. Quando Avril Lavigne ha salutato il pubblico a qualcuno sarà probabilmente venuto il magone, soprattutto a chi ha vissuto e cantato dal vivo il concerto che avrebbe dovuto e voluto vivere almeno quindici anni prima.
L’addio (o quasi) dei Sum 41
Quando i fan più esperti hanno visto la line-up degli I-Days con Avril Lavigne e i Sum 41 come co-headliner avranno sicuramente sorriso. Per chi non lo sapesse, quella tra la cantante e il frontman della band Deryck Whibley è stata una delle relazioni d’amore più chiacchierate, con tanto di matrimonio, finito dopo tre anni nel 2009. Vederli esibirsi a un’ora di distanza l’uno dall’altra, sullo stesso palco, ha fatto un certo effetto. Tuttavia, l’atmosfera è stata molto più heavy, dato anche lo stile della band stessa che, come canta in una delle loro hit più celebri, Fat Lip, «Maiden and Priest were the gods we praised».
I Sum 41 hanno da tempo annunciato che questo sarà il loro ultimo tour prima dello scioglimento. Questo ha reso il live ancora di più un rito, tra fiamme, pogo e braccia alzate che dondolavano durante i pezzi più lenti. Si è partiti da Motivation, inno contenuto nel loro secondo album, quello che li ha resi famosi, All Killer No Filler. Walking Disaster ci ha commosso prima di farci scatenare nel finale, mentre Pieces e With me ci hanno fatto di nuovo innamorare.
Visibilmente emozionato lo era anche Deryck. D’altronde, il viaggio con i Sum 41 è cominciato quando aveva appena sedici anni. È quasi scoppiato a piangere prima di regalarci il trittico finale che tutti aspettavano: In Too Deep, Fat Lip e Still Waiting. E c’è chi ha ripensato a quella piscina e al mito dei party all’americana e chi mente, nonostante il pogo abbia alzato solo polvere. C’è stato anche spazio per due chicche: Makes No Difference – il primo singolo pubblicato dalla band – e Summer eseguita nel bis.
Non è finita
Al termine delle quattro ore di live gran parte del pubblico si è volatilizzato verso la metro, qualcun altro invece è rimasto sottopalco a fissare le luci. Magari sperando da un momento all’altro di veder risalire un’altra volta la band. Invece, ci toccherà aspettare novembre e gli ultimi due veri concerti dei Sum 41 in Italia a Bologna e Roma. Quattro mesi non sono 22 anni, probabilmente non accumuleremo qualche ruga in più. Rimarrà però quel gusto agrodolce che solo la nostalgia porta con sé: felici e pieni di rimpianti perché questi concerti ce li saremmo meritati al momento giusto.
Perché ci vergogniamo ad ammetterlo, ma «non abbiamo più avuto artisti come quelle adoravamo a 12 anni». Gesù, ma chi le ha?