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“Our Hobby Is Depeche Mode”: al PAC di Milano il documentario sulla nascita del culto della band

In questi giorni al PAC di Milano potete vedere il curioso documentario assemblato nel 2006 a quattro mani dall’artista Jeremy Deller e Nicholas Abrahams. Ne abbiamo parlato con Nick

Autore Tommaso Toma
  • Il19 Luglio 2020
“Our Hobby Is Depeche Mode”: al PAC di Milano il documentario sulla nascita del culto della band

Fan iraniani nei primi anni '90 a Teheran. Foto di Andy Helmi

In questi giorni di lenta rinascita a Milano hanno appena riaperto le attività culturali molti luoghi importanti della metropoli. Tra questi, il bellissimo PAC posizionato al fianco della Villa Reale con affaccio sui Giardini di Porta Venezia. Our Hobby Is Depeche Mode (visibile fino al 13 settembre) è una delle proposte di Performing PAC, la rassegna annuale dedicata a un tema attuale nell’ambito degli studi delle arti visive contemporanee. Una piattaforma aperta non solo agli addetti ai lavori, ma anche al pubblico di non specialisti, che quest’anno giunge alla terza edizione con il titolo di Made of Sound.

Our Hobby Is Depeche Mode documenta la fanbase della mitica band raccogliendo materiale storico, che parte dagli albori degli anni ‘90, da Messico, Stati Uniti, Germania, Romania, Brasile, Canada e Russia. Jeremy Deller e Nicholas Abrahams sono riusciti a ritrarre il comportamento disordinato, caotico e spesso imprevedibile dei fan che talvolta entra addirittura in collisione con l’immagine commerciale accuratamente elaborata del gruppo.

Nicholas, in Our Hobby Is Depeche Mode vediamo ogni sorta di fan, da quello super accessoriato a quelli con i gadget fatti in casa. Come avete fatto a scovare tutto questo antico e stupefacente materiale?

Avevamo pubblicato un annuncio sul sito ufficiale dei Depeche Mode e siamo stati completamente sommersi da così tanto materiale, come puoi immaginare, che abbiamo dovuto provare a riordinare al meglio il tutto cercando le storie più adatte. I russi erano molto entusiasti: quando siamo arrivati a San Pietroburgo, tutti i fan che si sono presentati avevano addirittura degli stendardi con l’effigie DM. Ci siamo sentiti anche noi un po’ come delle rock star! I russi adoravano documentarsi sulla band e i loro nastri VHS erano stati copiati e ricopiati, conservati come delle reliquie religiose tra i devoti per molti anni. Ma in Romania è stato strano… quando avvenne la rivoluzione, sembra che abbiano gettato via tutte le loro foto e nastri e abbiano abbracciato il loro nuovo mondo. È un peccato quando stai girando un documentario!

La sensazione è davvero che in tutta questa operazione ci sia davvero una sorta di “attitudine archeologica” nello scovare come ci si comportava – con uno spirito quasi fideistico – nei confronti di una passione musicale. Oggi sembra tutto molto diverso, no?

Non è una domanda facile e non so quanto sia diverso oggi. Per la maggior parte delle persone è comunque a un certo punto della giovinezza un rito di passaggio. E ti senti incredibilmente forte quando sei un adolescente. Ma per alcune persone diventa qualcos’altro, e forse ci siamo concentrati su queste persone in Our Hobby Is Depeche Mode. Per loro la band continua ad essere importante anche dopo l’adolescenza.

Prima nominavi i russi, e in effetti è stupefacente la reazione di questi fan. E struggente è il ricordo di alcuni fan tedeschi che all’epoca della caduta del muro di Berlino erano adolescenti nella parte comunista del Paese. Secondo te come mai nell’est Europa c’era tutta questa devozione per i Depeche Mode?

Penso che uno degli uomini rumeni dica qualcosa del tipo: “Era proprio la band perfetta al momento giusto”. Forse era solo una coincidenza che questa band avesse un aspetto e un suono che non erano abbastanza europei né americani ma avevano tracce di entrambe le culture. I Depeche Mode arrivarono al successo proprio quando la guerra fredda stava per finire e tutti questi giovani avevano bisogno di qualcosa su cui concentrarsi.

A me ha fatto impressione la differenza tra le camerette ricchissime di poster e gadget dei ragazzi americani e le stanze spoglie con collage fai da te dei fan iraniani o rumeni.

Già. L’accesso alle immagini è sempre importante per un fan. In Romania, tra la fine degli anni ‘80 e l’inizio dei ’90, era quasi impossibile procurarsi riviste e giornali. Se qualcuno si fosse impossessato di qualcosa si sarebbe poi innescato un passaggio infinito tra fan con copie e copie. E così era anche importante avere amici oltre la Cortina di Ferro in modo da poter scambiare foto e informazioni e così via… Mentre in America potevi semplicemente sempre e comunque comprare tutto.

Penso che la censura o una dittatura non possano frenare la passione e non serva l’abbondanza per alimentarla.

Certo, all’epoca era difficile trovare i media giusti per coltivare le proprie passioni. Mentre ora è tutto lì, solo per te. Io penso anche che in quei tempi fosse davvero cruciale definire la tua fedeltà a un particolare culto giovanile, ma oggigiorno non è proprio così determinante. La musica pop e rock e dance erano aree molto separate, ora si sovrappongono molto di più.

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