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La Nuova Scuola Genovese è il doc da vedere per capire il legame tra la città, i rapper e i cantautori. Al cinema da oggi

Nel lavoro ideato e scritto dal giornalista Claudio Cabona si alternano le interviste ai protagonisti della città: da Tedua a Gino Paoli, da Cristiano De André a Bresh e Izi. Che si ami la Drilliguria o si adorino le canzoni/poesia dei grandi maestri è assolutamente da non perdere

Autore Silvia Danielli
  • Il2 Maggio 2022
La Nuova Scuola Genovese è il doc da vedere per capire il legame tra la città, i rapper e i cantautori. Al cinema da oggi

Tedua e Gino Paoli, foto di Matteo Bosonetto

Esiste davvero la scuola genovese? Francesco Guccini aveva dichiarato in un’intervista: «Non penso esistano realmente la scuola genovese, quella romana, quella bolognese o quella napoletana. Esistono le città: Genova, Roma, Bologna e Napoli. Chi ne è figlio, ieri come oggi, ha un modo di scrivere canzoni diverso, perché si tratta di luoghi unici». 
La Nuova Scuola Genovese, il docufilm ideato e scritto dal giornalista Claudio Cabona, per la regia di Yuri Dellacasa e Paolo Fossati, al cinema oggi (a Genova), domani e mercoledì (nel resto d’Italia), vuole rispondere proprio a questa domanda.

E riesce a farlo, in maniera seria e puntuale senza per questo risultare noioso e didascalico. Intervistando (anzi: spesso facendo intervistare a vicenda) i protagonisti ancora viventi che dalla scuola cantautorale genovese arrivano ai rapper di oggi. Per cercare tutti i fili che li legano e che partono indissolubilmente dallo stesso bandolo: Genova.


Lo diciamo subito: siamo di parte. Non tutti amano la confusione dei carruggi, il disordine della città, il fatto che convivano palazzi barocchi della bellezza indiscutibile insieme a orrendi palazzoni anni ’70 a poche vie di distanza. L’idea che sia da sempre una città di porto con tutto quello che questo comporta, traffici illeciti compresi. Noi no. Come moltissime altre persone del resto, amiamo Genova in maniera viscerale, con l’impressione che non si conosca mai abbastanza. “Genova è la città più a sorpresa che esista”, spiega Gino Paoli verso la fine del documentario, “da nessuna parte puoi aspettarti di trovare strade così storte e piazze così belle. Così, all’improvviso”. E Genova è senza dubbio protagonista con immagini prese dall’alto che tolgono il fiato, accompagnate da ottime musiche curate da Pivio e Aldo De Scalzi e anche dal producer Chris Nolan. Il mare ma anche le chiese (basilica dell’Annunziata e chiesa della Maddalena), i palazzi, la Fondazione De André, la casa di Gino Paoli a Nervi.

I protagonisti del documentario, da Tedua a Gino Paoli

Ma veniamo ai protagonisti. Interessante l’idea di farli intervistare a vicenda. Così troviamo Bresh discutere con Cristiano De André sull’importanza del padre di quest’ultimo su intere generazioni che seguirono. Izi con Dori Ghezzi. “Sarebbe stato un rapper Fabrizio De André oggi?” si chiedono i due. “Di sicuro sarebbe andato d’accordo con loro. Il modo di sentire era ed è lo stesso”, risponde la storica compagna di una vita.


Izi e Dori Ghezzi
Izi e Dori Ghezzi, foto di Matteo Bosonetto

“I cantautori cantavano gli emarginati proprio come fa il rap oggi”, spiega il cantautore Gian Piero Alloisio. Nessuno degli storici si scandalizza al paragone tra Gino Paoli, Fabrizio De André, Luigi Tenco, Umberto Bindi, Bruno Lauzi con i nomi della drilliguria e del collettivo Wild Bandana. A parlare sono Vittorio De Scalzi, Max Manfredi, Federico Sirianni. A raccontare la loro storia, oltre ai più celebri Tedua, Izi, Bresh, sono quindi anche Vaz Tè, Nader, Guesan, Disme, Demo. Ma poi sono citati anche Young Slash, Cromo, Olly, Gorka, Eight. Compaiono anche due illuminanti interventi finali di Marracash (ovviamente più sul rapporto generale tra cantautori e rapper) e anche di Ivano Fossati.

Il miglior ambasciatore di Genova e dei suoi artisti di qualsiasi generazione? Tedua. Anche se non è certo necessaria una classifica, il rapper è sempre preparatissimo su qualsiasi questione e accompagna la sua narrazione anche in macchina sui viadotti che portano alla città. “Il rap mi ha dato la possibilità di arricchirmi con parole povere”, spiega lui, Mario Molinari. Ed è nel dialogo tra lui e Gino Paoli, sul terrazzo della casa di quest’ultimo a Nervi, che si può ritrovare molto del nocciolo della questione. “Noi volevamo la realtà”, racconta Paoli. “Io ho sempre diviso gli artisti non in bravi e cattivi ma in veri e falsi. Ed è questa l’unica cosa importante che ho cercato nella vita”.

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