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Sanremo diventi come il Montreux Jazz Festival

Da poco è terminata la 53° edizione del Montreux Jazz Festival, che ha portato sulle rive del Lago di Ginevra una foltissima schiera di grandi artisti (e anche alcune leggende viventi), di tanti generi musicali diversi. Fra la cittadina svizzera e quella ligure le assonanze sono molte: e se quest’ultima prendesse ispirazione dalla prima?

Autore Federico Durante
  • Il16 Luglio 2019
Sanremo diventi come il Montreux Jazz Festival

CC BY-NC 2.0 - Rogelio A. Galaviz C.

Si è appena conclusa la 53° edizione del Montreux Jazz Festival, l’evento da decenni sinonimo di grande musica (non solo jazz) che quest’anno – fra i tanti live di spessore – ha accolto il concerto di una leggenda: Elton John, che ha fatto tappa nella cittadina svizzera durante il suo Yellow Brick Farewell Tour.

Ma sono stati tanti i grandi artisti giunti sulle rive del lago di Ginevra. Sting, Slash, Rival Sons, ZZ Top hanno presidiato il territorio rock. L’R&B ha visto protagoniste Lizzo, Janelle Monáe e Lauryn Hill. Ottima la proposta elettronica: Chemical Brothers, Thom Yorke, Apparat, David August, Modeselektor, Ben Klock. Ha fatto capolino anche il nostro Mahmood e la serata finale è stata affidata a un gigante indiscusso: Quincy Jones.


Quella del Montreux Jazz Festival è una programmazione di ampio respiro che – a dispetto del nome, comunque intoccabile in quanto marchio di qualità – sa unire con intelligenza il sofisticato e il super pop. E i risultati si vedono. Sui mezzi pubblici (che sono gratuiti durante il periodo del festival) è normale sentire i ragazzi di 17 anni chiedere ai coetanei: “Allez-vous au Jazz ce soir?”. Per due settimane la città respira musica e contagia tutti, dai liceali del posto ai turisti americani over 50.

Per chi viene dall’Italia sorge spontaneo un parallelismo con Sanremo. Perché?

Le assonanze sono molte: entrambe sono città di piccole dimensioni, rivierasche, benestanti, floreali, eleganti in maniera “vecchia Europa” e con uno stretto e pluridecennale rapporto con la musica. Ma mentre il Montreux Jazz Festival è a tutti gli effetti un festival pop in linea con le grandi produzioni europee di quel tipo, Sanremo – nonostante le innovazioni degli ultimi due anni – rimane arroccato nel fortino-Ariston e nelle sue liturgie: la discesa della scalinata, la presentazione del direttore d’orchestra, il televoto. Eccetera.


Provate a chiudere gli occhi e immaginare per un attimo quanto sarebbe bello se Sanremo diventasse davvero ciò che dice di essere: un festival musicale, e non solamente una produzione televisiva (per quanto corposa). Quanto sarebbe bello se i luoghi della città aprissero le loro porte per accogliere concerti e DJ set. Se mentre Andrea Bocelli canta per il pubblico in platea all’Ariston ci fossero Ghemon al Palafiori e Achille Lauro al Forte Santa Tecla. Se a Casa Siae ci fosse una performance di Myss Keta e all’Hotel Londra una serata Ivreatronic.

Certo, per gli artisti e le case discografiche c’è un imprescindibile discorso di visibilità offerto dalla vittoria al Festival. Arrivare primi a Sanremo dà più risultati che un anno di assidua promozione sul territorio. Ma non è lo stesso con i grandi festival europei? Essere headliner a Glastonbury o al Tomorrowland non è di per sé un riconoscimento analogo a una “vittoria”? Un ipotetico “Ariston stage” darebbe agli artisti in lineup sia il prestigio che la visibilità che si aspettano dalla partecipazione al Festival.

Sogni ad occhi aperti, certo. Ma le ultime edizioni del Festival hanno dimostrato che il rinnovamento è possibile. Magari un passettino alla volta, per “rassicurare il Paese”, come diceva qualcuno.

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