Interviste

Fudasca si racconta: dal palco del SXSW al legame con Roma

In questa intervista, il producer romano racconta cosa si è portato a casa dal festival di Austin, il suo legame con la Capitale e il desiderio di creare musica che sia sempre nuova, tra identità e sperimentazione

Autore Benedetta Casella
  • Il18 Marzo 2025
Fudasca si racconta: dal palco del SXSW al legame con Roma

Fudasca (fonte: ufficio stampa)

Quanto influisce il luogo in cui cresciamo sulla musica che creiamo? Essere ancorati alle proprie radici significa mantenere un’identità forte, un punto di riferimento che ci definisce. Ma è proprio dall’incontro con altre culture e sonorità che nascono le combinazioni più originali. Fudasca lo sa bene: producer romano con una visione globale, è sempre stato affascinato dalla fusione tra generi diversi, dall’hip hop al Lo-fi, fino alle sonorità del Jersey e alla scena K-pop. Eppure, nonostante il respiro internazionale della sua musica, il legame con Roma resta un punto fermo della sua identità artistica.

Il 13 marzo Fudasca si è esibito al SXSW di Austin, Texas, uno dei festival più importanti a livello globale per la musica, il cinema e la tecnologia. Ma più che un semplice live, l’esperienza è stata un’immersione totale nella scena internazionale: un camp di scrittura, incontri con artisti di ogni parte del mondo e la conferma che la musica italiana affascina anche all’estero.

In questa intervista, Fudasca racconta cosa si è portato a casa dal SXSW, il suo legame con Roma e il desiderio di creare musica che sia sempre nuova, tra identità e sperimentazione.

Fudasca al camp di scrittura del SXSW 2025

Foto dal camp di songwriting del SXSW ad Austin: Fudasca suona il basso

Fudasca, com’è andata questa esperienza al SXSW?

È andato tutto bene! Essendo produttore, sono stato molto contento del camp di scrittura. Siamo stati lì con cantanti, musicisti, autori, ancora prima del festival. Ho passato una settimana ad Austin, ho avuto modo di esplorare la città, incontrare persone nuove e finalmente vedere di persona alcuni contatti che avevo già. Il camp di scrittura è stato incredibile e il giorno del festival l’energia era palpabile, pieno di talenti e musica.

Quindi oltre all’esibizione avete svolto altre attività lì?

Sì, ho partecipato a un camp di scrittura dove, nei diversi giorni, venivano formati gruppi diversi con produttori, cantanti e autori. Creavamo pezzi house, reggae, e il bello era la contaminazione culturale: artisti da tutto il mondo, da Cuba alla Svezia e non solo. Mi sono trovato molto bene, forse per il sangue latino con i musicisti cubani, l’intesa è stata speciale. C’erano artisti che hanno lavorato anche con Bad Bunny, davvero molto forti.

Come vengono percepiti in un contesto internazionale come il SXSW festival gli artisti italiani?

Molto bene! Gli artisti sono affascinati dall’estetica che abbiamo, sia nel modo di porci che nell’approccio alla musica. Un ingegnere quando sono stato lo scorso anno a Los Angeles, mi disse che gli italiani hanno un approccio molto pragmatico alla musica, che si mescola bene con il lato più istintivo e basato sulle “vibes” degli americani. Questo mix genera collaborazioni interessanti. Gli artisti internazionali trovano affascinante la nostra estetica, sia per il modo in cui ci poniamo che per il nostro approccio alla musica. Abbiamo una visione diversa e questo secondo me rende ogni incontro musicale un’occasione preziosa di scambio e crescita.

Sei stato uno dei primi a portare il sound Lo-fi in Italia, ma nella tua recente collaborazione con Ted Park e Kino hai esplorato il Jersey. Sapresti darci una definizione del genere?

Credo che viene chiamato “Jersey” perché è nato lì. Poi non lo so, non saprei dirlo con esattezza. A livello di struttura, ha tre colpi in cassa dritta e uno anticipato, che dà al suono un bounce continuo, un po’ come il reggaeton. Ultimamente è un genere in forte crescita.

Ci sapresti suggerire alcuni artisti influenti del genere?

Un artista che ascolto molto è Lil Yachty, specialmente nel nuovo gruppo Kidz Boys, che sperimenta tra disco dance, hip hop e sonorità acustiche. Anche Kanye West nei Vultures ha influenzato il mio lavoro. Da queste ispirazioni ho pensato: “Se lo fanno loro, perché non provare anch’io con artisti coreani, cubani e mischiare tutto?” Così è nato il brano con Ted Park e Kino.

Com’è nato il tuo legame con la scena musicale coreana?

Mi affascina la Corea e tutta la cultura K-Pop. È un mondo molto strutturato e lo rispetto. Mi incuriosisce vederlo dall’esterno, anche se credo che non riuscirei mai a fare coreografie e sessioni di allenamento continuo come loro! (Ride, ndr). Ma credo che l’incontro tra culture arricchisca sempre.

Quali sono le principali differenze che hai trovato nel collaborare con artisti coreani?

A Seoul ho notato che i coreani curano molto il contorno di un progetto. Ruota tutto attorno agli idol. Di solito sono difficili da avvicinare se non sono loro a cercarti. Tipo a me ha scritto Jay B dei GOT7, con la quale avevo fatto qualche anno fa una traccia insieme, perché voleva un suono “all’italiana”. Per loro, la nostra è musica estera e affascinante, proprio come noi vediamo la loro. La difficoltà che incontrano gli artisti del K-Pop puro è quella di fare brani di questo tipo che escono dall’immaginario dell’idol e perde un po’ quel fascino. Per dirti, ora è uscito un pezzo di Kino dei Pentagon e ha fatto pure lui una coreografia. Fa tutto parte dell’estetica dell’idol, gli allenamenti continui e le coreografie.

Tornando invece all’Italia, la tua ultima apparizione è stata sul Suzuki Stage con Amadeus. Com’è stata questa esperienza?

Amadeus è un grande, un’istituzione! (Ride, ndr) È stata una grande emozione. Quest’anno voglio lavorare con artisti italiani e per l’Italia. Partecipare a quell’evento è stato speciale.

Di recente Mecna ha pubblicato un video sul suo profilo Instagram con una tua produzione. C’è un progetto in corso?

Non so se posso dirlo, ma ormai penso che si sappia: stiamo lavorando al disco. Non è un joint album, ma ci saranno alcune mie produzioni. Sto anche lavorando al mio progetto, un album da producer, spero di finirlo entro fine anno o inizio del prossimo.

Sei sia songwriter che producer: quando inizi un nuovo progetto, ti senti più guidato dalla scrittura o dalla produzione?

Io parto sempre dal concept, perché se no poi è difficile che riesco a dare una direzione e questo vale anche per quando lavoro con gli altri artisti. Non mi piace fare una produzione e mandare solo il beat, voglio partecipare attivamente all’estetica del pezzo e al progetto nel suo insieme, sia degli album a cui lavoro e poi soprattutto al mio. Scelgo con cura anche chi far entrare nel viaggio chi vorrà essere ospite del progetto. Probabilmente il mio è più un approccio da producer, parto da dei concetti da delle immagini, da quello che voglio comunicare.

Sei sempre rimasto fedele a Roma, mentre molti colleghi si spostano a Milano. Quanto influisce l’ambiente circostante sulle tue produzioni?

Sì, io non mi sposterei mai da Roma. Porto avanti questa battaglia che faccio un po’ con tutti perché ormai sai c’è questa centralità di Milano, ma poi tutti quelli che stanno lì vogliono scappare e non si capisce bene perché! Quindi per me è importante restare nel luogo in cui appartieni. Poi voglio dire Roma non è neanche una città piccola, cose da fare e da vedere, persone da incontrare ci sono. Sicuramente è dispersiva ma è una città che c’ha tanto da dire e mi ispira tanto. Preferisco portare Roma a Milano che trasferirmi lì.

Guardando al futuro, hai già in cantiere nuove collaborazioni con artisti italiani?

Sto lavorando con Side della Dark Polo Gang. Unire i nostri mondi genera qualcosa di nuovo per entrambi. Lo trovo molto stimolante.

Infine, hai in programma altri live a breve?

Ho dei progetti per fare i live, che ovviamente inizieranno dopo il disco quindi se tutto va bene l’anno prossimo. Saranno dei live non classici nel senso non mi piace l’idea di fare dei palazzetti o dei minitour. Ho più un’idea estetica, che però è ancora in sviluppo, spero di aggiornati a breve. Fidati, è bella fidati. Mi piacerebbe portare dei live in modo diverso rispetto a come si fanno di solito. Eviterei l’idea tipo del DJ set o cose così, anche perché il mio non è il genere da DJ set. Ho in mente un format che unisca l’estetica del Tiny Desk a una residenza artistica. Non vedo l’ora di sviluppare questa cosa!

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