Stefano Clessi (manager di Tananai e Blanco): «Tutto deriva dalla direzione artistica»
A tu per tu con uno dei grandi protagonisti dietro le quinte della musica italiana: con lui diamo il via alla nuova rubrica Power Players, in collaborazione con Forbes Italia

Nel mondo del management musicale ci sono figure che si sono ritagliate il loro posto d’onore, non solo per gli artisti che curano ma anche per la particolarità del loro lavoro. Una di queste è sicuramente quella di Stefano Clessi, che cura il management di Tananai e (di nuovo) di Blanco. Ha avuto un ruolo significativo come direttore artistico per Fedez dal 2020 al 2023. Ma è anche dietro la direzione artistica di Annalisa dal 2022. Ha seguito Achille Lauro da X Factor a Amore disperato concludendo il lavoro editorialmente con Incoscienti Giovani al Festival di Sanremo 2025.
All’interno della sua Eclectic Music Group (società di management), ci sono Eclectic Records (etichetta discografica) ed Eclectic Music Publishing, la società di edizioni, con autori come Michelangelo, Paolo Antonacci, Davide Simonetta, per citarne solo alcuni. All’ultimo Festival di Sanremo, per esempio, Ecletic Music Publishing annoverava otto brani in gara.
Stefano Clessi vede infatti il management come “conseguenza logica della direzione artistica”, che lui segue con attenzione e in primissima persona. «Da lì poi derivano in modo naturale anche marketing e promozione, e non il contrario, come molto spesso capita. Noi partiamo davvero dalla materia prima: la canzone», racconta.
L’intervista a Stefano Clessi
La prima grande novità è il ritorno di Blanco nel roster.
Noi lo avevamo firmato quando aveva solo 16 anni. Aveva delle canzoni molto diverse dallo stile attuale e abbiamo deciso di lavorarci insieme e di farlo incontrare subito con Michelangelo, che poi è diventato il suo inseparabile producer. Poi ci siamo persi di vista per un po’ di anni e ora è tornato in Eclectic da pochi mesi. Per molti, grossa novità significa acquisizione di molti artisti: ecco, noi preferiamo curarne pochi.
Come mai?
Preferisco rimanere con il concetto di “boutique”. Banalmente perché non avrei il tempo di seguirli in maniera adeguata. Quindi riesco ad avere due, al massimo tre artisti importanti.
Hai spinto tu Blanco a diventare autore in un contesto come quello del Festival di Sanremo?
Lui era rimasto comunque un autore di Eclectic Music Publishing, che è la mia società editoriale. E aveva già abbondamente espresso, secondo noi, una grande capacità di approcciarsi alla ballad. Così ha scritto il brano per Giorgia e per Noemi, e ha co-scritto insieme a Irama. Blanco aveva bisogno di tornare a Sanremo mettendo in luce la sua artisticità e la sua sensibilità e dando meno importanza a tutti gli aspetti che erano emersi nella sua ultima ospitata. Il tutto sarà funzionale al suo prossimo ritorno.
Avete già idea di quando potrà tornare con un album?
No, siamo in una fase di brainstorming. Per noi è davvero fondamentale la fase di scrittura della canzone. Noi vogliamo fargli ritrovare il centro: perché è un autore incredibile ma va guidato.
Perché si era allontanato?
Cerco di riassumertelo senza annoiarti. Ci sono dei momenti in cui gli obiettivi strategici possono allontanarsi e a quel punto noi tendiamo a farci da parte. Poi però è rientrato nel management in maniera assolutamente naturale. A volte decidiamo di seguire degli artisti solo per un determinato periodo. Per esempio abbiamo fatto così con Achille Lauro.
Che lavoro avete fatto con Lauro?
Penso che abbiamo curato il suo riposizionamento in maniera importante: è partito da X Factor ed è arrivato al brano di Sanremo. Abbiamo messo in luce delle sue caratteristiche che erano passate in secondo piano. Forse la gente vedeva il suo personaggio come troppo scuro e anche un po’ ostico. Però è un percorso che si è concluso. E poi io parlo al plurale ma la parte di management è seguita principalmente da me, quindi fatico davvero ad assicurare alti standard se devo dividermi sul lavoro.
Che cosa significa davvero dare una consulenza da direttore artistico?
Se un artista ci chiede una canzone, i miei autori la realizzano e se gli piace decide di interpretarla e il nostro rapporto autore-editore finisce lì. La direzione artistica è quasi un lavoro di produzione artistica. Però io non sono un produttore, ho piuttosto una visione di insieme su tutto il mondo della discografia dalla parte estetica alla canzone. Quindi individuiamo il repertorio adatto, la linea da tenere sull’estetica delle produzioni, gli arrangiamenti. Scegliamo insieme alla casa discografica i singoli, le loro tempistiche: dividiamo tutto il lavoro con la casa discografica ma solo sulla canzone.
Con Annalisa è stato questo il tuo ruolo?
Esatto. In più con lei, da Bellissima del 2022, abbiamo un ruolo anche più importante rispetto a prima: abbiamo anche condiviso l’estetica generale dei videoclip e delle copertine. Abbiamo ampliato il lavoro perché secondo me va tutto a braccetto, quando fai un riposizionamento. È necessario creare un percorso coerente e il mercato ci ha premiato. Stesso discorso per Fedez. In altri casi invece seguiamo la direzione artistica solo dei brani.
Qual è la parte più difficile del tuo lavoro?
Sarà un po’ banale ma sicuramente l’aspetto psicologico. Io non posso lamentarmi minimamente degli artisti che curo, ma vedo quanto sia difficile in generale far passare il concetto che sia necessario dedicare tempo e fatica. Anche l’abnegazione e l’ossessione per il lavoro sono necessarie per arrivare a ottenere dei risultati. Di gente brava ce ne è tanta ma non basta, ovviamente. E poi c’è un tema fondamentale: far capire la durata di un percorso artistico; gli artisti non sono preparati all’idea di smettere.
In che senso?
In un periodo di grandi economie legate al mercato musicale si tende a non pensarci. Ma nascono dei fenomeni molto rapidamente che tendono a uscire con altrettanta velocità. La sfida di oggi e per i prossimi anni è quella di rimanere. L’obiettivo (difficile, certo) è arrivare ad avere artisti come Jovanotti, che a 60 anni fa i palazzetti. E mentre, per esempio, i calciatori sanno bene o male che la loro carriera ha una scadenza, per i musicisti questo concetto è molto più sottile: non è riconosciuto e loro fanno fatica ad accettarlo.
Ti capita di dare consigli su questo aspetto?
Sono piuttosto ossessionato da questo. Anche perché ho iniziato presto, a 23 anni e ora ne ho 45. Quindi spingo i miei artisti a non fare facili discorsi sulle instant song e di non pensare alle scorciatoie. Ho scelto Blanco e Tananai perché ovviamente vedo in loro il potenziale per rimanere. Per ritrovarci un giorno e dire, io vecchissimo e loro un po’ vecchi: “Ok, ci siamo ancora”. Perché poi gli artisti possono sparire dai radar e a quel punto non devono fare i conti (o non soltanto) con la questione economica ma soprattutto con quella psicologica.
Hai detto che non prenderesti altri artisti per mancanza di tempo ma quali caratteristiche dovrebbe avere un aspirante per essere scelto?
Dovrebbe colpirmi ed emozionarmi con un’urgenza. Difficile che un talento vero non colpisca anche presentando un provinaccio. E poi, non dovrebbe pestare i piedi agli artisti che seguo già. Tra di noi abbiamo uno splendido rapporto, quindi per esempio del ritorno di Blanco in Eclectic ne ho parlato anche con Tananai. Lo stesso discorso vale per i miei autori.
Negli ultimi festival di Sanremo c’erano molti tuoi autori e a fine gennaio era scoppiata la polemica perché il 66% delle canzoni in gara erano scritte dagli stessi undici autori.
La trovo piuttosto sterile perché all’interno dell’industria discografica il comparto delle edizioni è il più meritocratico che ci sia. Se uno sconosciuto presenta un testo a un cantante famoso questo può sceglierlo senza sapere chi sia. D’altro canto però magari un manager è normale che vada a chiedere un pezzo a chi ha dimostrato di sapere cogliere meglio i segnali del mercato. E spesso sono i soliti quattro o cinque.
Ti sei mai pentito di non aver firmato o di aver lasciato andare qualche artista?
Onestamente no. Non tutti siamo compatibili e dobbiamo incastrarci per forza, per motivi caratteriali. Ci sono artisti che si fanno guidare e altri no. Quando il matrimonio non ha più funzionato è stato giusto chiuderlo. Però lo dico adesso, dopo vent’anni di lavoro e tante soddisfazioni raggiunte. Se me lo avessi chiesto dieci anni fa, avrei risposto in maniera diversa, e sicuramente avrei sentito di più il lutto.