Tiziano Ferro ha fatto pace con i suoi demoni e ora il mondo è suo
Ne Il mondo è nostro, il nuovo disco del cantautore in uscita questo venerdì, c’è tutta la profonda umanità di un artista che, nonostante tutto, resta persona e non diventa personaggio. Ne abbiamo parlato con lui
«Dire che mi sono perdonato tutto mi sembra un po’ troppo, ma con l’età ho imparato che più vai avanti col tempo, più non te ne frega niente di quello che pensano gli altri». E se «all’inizio ero benedetto dall’incoscienza dei vent’anni», ora la maturità dei quaranta gli ha fatto capire che la libertà assoluta, svincolata da qualsiasi costrizione sociale o mentale, è davvero l’unica via possibile per trovare se stesso e ritrovare gli altri. Anagraficamente parlando, Tiziano Ferro ha da poco scollinato quello che Dante Alighieri definiva “il mezzo del cammino della vita”. E in questa selva oscurissima che sono stati gli ultimi tre anni, nella sua, di vita, sono successe un sacco di cose. La più importante, ovviamente, la paternità. Una summa di tutti i cambiamenti avvenuti fino ad oggi sono le tredici tracce de Il mondo è nostro, il suo nuovo album in uscita questo venerdì.
«Il mondo è nostro è stato il disco più complesso della mia vita»
Un disco denso, intenso, composito e complesso. Il più complesso di questo difficilissimo mestiere della vita. E non perché, ci tiene a precisare quando lo incontriamo in un soleggiato pomeriggio milanese, abbia riscontrato difficoltà nella scrittura. Del resto, stiamo pur sempre parlando di e con un fuoriclasse della parola. Ma perché quest’ultima fatica – di nome e di fatto – sembra davvero scritta con tutto il sangue che Tiziano aveva in corpo.
Un disco che Tiziano Ferro doveva necessariamente scrivere (e produrre) da solo. Oltre alle incursioni di Caparezza, Ambra Angiolini e Roberto Vecchioni, e due “prestiti” da thasup e Sting. Perché okay, nessuno si salva da solo, ma a volte, per uscirne più forte, l’inferno devi attraversarlo solo con te stesso e le tue ferite puoi suturarle solo tu. Con quel fuoco ti devi bruciare. Quella carne viva la devi toccare con mano per sentire quanto fa male. Con i mostri del passato ti ci devi scontrare corpo a corpo per batterli. Quel dolore dilaniante devi guardarlo in faccia per sublimarlo in bellezza. Senza difenderti. E solo allora, dopo averlo masticato, averne assaporato l’asprezza e sputato, puoi finalmente espiarlo e dirgli Addio, mio amore. Per sempre.
Tiziano Ferro: «Sedermi mi terrorizza, mi crea un senso di noia che potrebbe corrodermi»
Eppure, c’è un eppure. Nonostante, infatti, ora questa vita sia splendida e Tiziano Ferro appaia davvero come un uomo risolto che, dopo aver iniziato a chiedere Xdono già 21 anni fa, ora – alla sua età – lo ha finalmente concesso a se stesso e ha fatto pace con (quasi) tutti i suoi demoni, su quel tetto del mondo raffigurato nell’artwork, qualche trave ancora scricchiola. Succede ne L’Angelo degli altri e di se stesso, in cui – quasi come un fulmine a ciel sereno – compaiono le parole “Soddisfatto, per niente / Naufrago, ancora”.
E allora, a tratti incredula, ti viene quasi naturale chiedergli cosa – dopo tutti i traguardi, personali e professionali raggiunti – ancora gli manchi. «Diciamo che l’idea di vivere sempre un po’ sul ciglio del burrone è un po’connaturata a chi fa il mio mestiere. Se ti siedi è finita, e la copertina esprime proprio questo. Ci sono i miei amici che mi dicono “Tu sei talmente pazzo che là sopra ci sarai andato per davvero”. No, è Photoshop, però hanno ragione. Penso che sedermi sia la cosa che più mi terrorizza, mi crea un senso di noia che potrebbe corrodermi».
Da questo pensiero, dunque, nasce anche la decisione di assumersi completamente la responsabilità della restituzione dei biglietti del tour negli stadi posticipato al 2023. Una scelta che per Tiziano Ferro poco o niente ha a che fare con qualche strategia di marketing ma molto, mi sembra di capire, con l’eterna sfida con se stesso.
Il tour negli stadi rimandato: «Le restituzioni dei biglietti sono state minime. Le persone mi stavano ancora aspettando»
«Sono stato l’unico a non aver rimandato un tour al 2022, per motivi che all’epoca non potevo dichiarare, e questa cosa mi ha devastato. La motivazione era che sapevo che sarebbero arrivati i bimbi, e quindi il mio unico desiderio era dedicare completamente a loro il mio primo anno da padre. Questa cosa creò uno scandalo nel mio team, perché sarei stato l’unico a dover offrire la restituzione dei biglietti. Non nascondo però che questa cosa mi ha generato uno strano senso di piacere, perché io il prossimo giro sulla giostra me lo voglio guadagnare, non lo voglio fare gratis. Gli americani dicono che tu sei tanto bravo quanto il tuo prossimo lavoro. Quello che hai fatto prima l’hanno già applaudito. Avevo bisogno di questa cosa, e sono felice di averla fatta. È stato come se stessi ripartendo di nuovo da zero».
Una sorta di roulette russa, ma che Tiziano Ferro premesse il grilletto con la camera di scoppio vuota era cosa assai prevedibile. «È stato bellissimo vedere che le restituzioni sono state minime. Le persone mi stavano davvero ancora aspettando». Quelle stesse persone che gli hanno ricordato quanto amore incondizionato può esserci, anche in un mondo dominato dall’incontrollata e incontrollabile democrazia dei social, in cui l’hating è sempre dietro al vetro di uno smartphone.
«San Siro è la cartina tornasole di cui avevo bisogno»
E proprio agli hater, Tiziano ha dedicato Il paradiso dei bugiardi, la traccia apripista de Il mondo è nostro. Un brano che, forse è un caso o forse no, a una prima lettura sembra a tutti gli effetti un testo rap (ha chiuso più rime lui qui che alcuni giovani rapper), e infatti il suo background hip hop e RnB si respira spesso e (molto) volentieri all’interno del disco. Un testo che contiene persino una punchline clamorosa, di quelle che più che da Tiziano Ferro ci saremmo aspettati da un Marracash o un Guè. Ma che – oltre che uno status symbol e un monito per ricordarsi dove si è arrivati – è stata una vera e propria epifania. “L’ipocrisia è la tua arte, la ammiro / Starei a disquisirne per ore… ma ho tre sere a San Siro”. E tutti muti.
«Mi fa molto ridere questa frase perché è una cosa che non ho mai fatto. Quella cosa di San Siro per me è stata come una cartina tornasole, mi ha proprio risvegliato. È come se le persone che hanno tenuto quei biglietti mi avessero detto “Tu guardi l’hater, ma noi siamo qui”. Ed è vero, dove c’è un hater c’è sempre un lover. Se invece di rivolgere quel minuto all’hater lo dedichi ad una persona che ti ha scritto una cosa carina, sicuramente a quella persona farà piacere. In un mondo in cui la tecnologia sembra sostituirsi a tutto, la performance è quella cosa che ti fa dire “chi c’è, c’è. Chi non c’è, non c’è”. Quello è il vero atto di fede di cui avevo bisogno in un momento in cui mi stavo concentrando un po’ troppo sulla mia sensazione di inadeguatezza».
Le mode cambiano e passano, Tiziano Ferro resta
Da questa risposta, devo essere sincera, non ho ancora capito esattamente cosa manca a Tiziano, e probabilmente è un qualcosa di così personale e profondo che è giusto rimanga così. Che rimanga solo suo. Però ho compreso cosa invece c’è. E quello che c’è, quella scintilla neanche troppo nascosta, è la cosa che rende Tiziano Ferro persona e non personaggio e che lo ha suggellato come la voce di molti.
C’è, ne La prima Festa del Papà, il senso di inadeguatezza che lo ha attanagliato anche nel momento più felice di tutti che sembrava non dovesse arrivare mai e di cui ha tastato la concretezza solo grazie ad un messaggio arrivato da padre a padre. «Quel titolo in realtà è un po’ una trappola, perché non parla solo di paternità. La Festa del Papà è stato il giorno in cui mio padre mi ha fatto gli auguri. È stata una cosa potentissima e strana allo stesso tempo. È come se, senza quel messaggio, non avrei mai potuto realizzare davvero ciò che stava succedendo. È stato come se mi avessero restituito un arto».
C’è la paura che da quel burrone si possa – nonostante tutto – ancora cadere. C’è la fragilità di un uomo che non teme nemmeno per un attimo di mostrare tutte le sue fragilità. C’è l’umiltà di pensare di poter fallire ma, allo stesso tempo, il coraggio di rischiare. C’è il bisogno estremamente umano del calore e dell’affetto dell’altro. C’è quella genuina insicurezza di non essere all’altezza, di essere – come lui stesso ha detto – “uncool” per i tempi, ma poi basta premere play per capire che le mode cambiano e passano, ma più di vent’anni dopo Tiziano Ferro resta lì, sempre e irremovibile, come solo i grandi e veri Miti sanno fare.