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“Memento Mori” è l’album della rinascita dei Depeche Mode. La recensione

Nonostante il trauma della morte di Andy Fletcher, il duo di Basildon si stringe a coorte con James Ford, Marta Salogni e altri amici tirando fuori il migliore lavoro da lustri

Autore Tommaso Toma
  • Il24 Marzo 2023
“Memento Mori” è l’album della rinascita dei Depeche Mode. La recensione

Depeche Mode (foto di Anton Corbijn)

Memento Mori è un album potente e il migliore dai tempi di Exciter. Questo lo avevo già capito ascoltandolo quasi un mese fa negli uffici di Sony Music Italy in compagnia di un gruppo di colleghi. Anche loro erano rimasti colpiti dalle nuove canzoni.

Poi tutto diventa strano quando oramai sei abituato ad ascoltare quando e dove vuoi (spesso anche in advance) un album che ti piace. L’astinenza da ascolto di quelle dodici canzoni mi ha portato a contattare immediatamente Marta Salogni, che ha lavorato per il quattordicesimo album in studio della band – oramai rimasta un duo – di Basildon.


Quello che mi ha raccontato lo potete leggere qui. Ho capito dalle sue parole che Memento Mori è stato un disco voluto, pensato, realizzato con uno spirito assolutamente nuovo nei Depeche Mode. Il trauma della morte improvvisa di Andy Fletcher, che aveva partecipato ai demo del disco, ha come acceso una fiamma creativa in più al gruppo di lavoro in studio.

Martin Gore e Dave Gahan hanno trasformato le dinamiche conflittuali tipiche in forti personalità come loro in una rinnovata e per certi versi “inedita forma di amicizia”, come i due hanno dichiarato a Mojo qualche tempo fa.


Ma soprattutto hanno trovato in James Ford un punto di forza enorme. Il producer aveva già lavorato per Spirit e in questo lavoro è più sentito come un nuovo componente dei Depeche Mode. Anche grazie alle intuizioni di Marta Salogni, con l’innesto di effetti Eventide H3000, Mutron e nastri, ha creato una certa magia del sound dei synth. Per non parlare della fantastica idea di utilizzare il soggiorno e i bagni dello studio di registrazione per il reamping, collegando casse e microfoni per catturare riverberi e ambienti naturali.

Ascolta Memento Mori dei Depeche Mode

La complicità di Davide Rossi e Richard Butler degli Psychedelic Furs

Un altro tocco di Italia c’è in Memento Mori: l’intervento di Davide Rossi, che ha arrangiato gli archi con la band allo Shangri-La, lo studio di Rick Rubin.

Inoltre non possiamo non menzionare la presenza nella scrittura – in ben quattro canzoni – del leader degli Psychedelic Furs, band nata nel 1977 che negli anni ’80 ebbe il suo grande momento di gloria anche negli States, grazie soprattutto all’iconica Pretty in Pink che divenne la colonna sonora di uno dei college movie più amati di quel decennio (la star di quel film era Molly Ringwald).

Richard Butler, con il quale ho avuto il piacere di parlare prima della pandemia, mi aveva confidato che grazie a Made of Rain (album uscito nel 2020) aveva ritrovato l’ispirazione, anche grazie alla riscoperta – dopo tanti decenni – della musica che ascoltava proprio negli anni ’80, tra cui i Depeche Mode… Tutto torna.


Le canzoni di Memento Mori tra richiami agli anni ’80, ’90 e forti tonalità dark

Adesso finalmente sono libero come voi di godermi l’ascolto dell’album. Ritrovo lo stesso brivido di piacere nel sentire alcune composizioni che avevo intuito al primo ascolto come dei “must” dell’album. People Are Good è un già un classico Depeche Mode. Il movimento luddista dei beats richiama i tempi di People Are People e i synth omaggiano, nella loro semplicità melodica, i Kraftwerk.

My Favourite Stranger richiama Strangelove. Non viaggia sugli stessi bpm, è più lenta e i tagli metallici del synth feriscono le linee di basso ma non la voce sempre perfetta di Gahan. Don’t Say You Love Me pare una outtake dei tempi di Songs of Faith and Devotion, un dramma d’amore notturno metropolitano. Perfetta.

Never Let Me Go è assolutamente un omaggio al post punk, al drumming di She Lost Control dei Joy Division, con alcune dissonanze che richiamano il disco The Affectionate Punch dei meravigliosi scozzesi The Associates.

Soul with Me è forse la più atipica nel disco. Soffice, elegante, è anche l’unica cantata da Martin Gore. Caroline’s Monkey porta con sé tutta la coolness dei Depeche degli anni ‘90. E poi la closing track, Speak to Me, forse la migliore composizione di Memento Mori. Con il suo inizio profondo e solenne, è una sorta di preghiera finale di Dave Gahan che si chiude con un groviglio sonoro quasi industrial.


Me la immagino a metà set di quel tour che sta per iniziare. Per tre date toccherà anche tre stadi italiani: il 12 luglio Roma, il 14 Milano e il 16 luglio Bologna. Saremo lì.

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