Con quasi cinque decenni di carriera, i The Cure sono diventati un simbolo di espressione emotiva, innovazione sonora e coerenza artistica. Dai primi passi nella scena post-punk alla consacrazione come leggende del gothic rock, ogni fase della carriera della band guidata da Robert Smith ha lasciato un segno indelebile.
I primi passi
La storia dei The Cure inizia nel 1976 sotto il nome di Easy Cure, una delle tante band nate all’ombra dell’esplosione punk britannica. La formazione si stabilizza nel 1978 con Robert Smith come leader indiscusso. L’album di debutto, Three Imaginary Boys (1979), rivela una band già inquieta, a metà tra minimalismo punk e influenze art-rock. Ma è con il secondo lavoro, Seventeen Seconds (1980), che il gruppo definisce la propria estetica: atmosfere rarefatte, testi introspettivi, tastiere eteree e linee di basso ipnotiche.
Brani come A Forest aprono la strada a un pubblico più ampio, affascinato da quella malinconia sospesa tra sogno e inquietudine. Seguiranno Faith (1981) e Pornography (1982).
La svolta pop
Dopo la cupa trilogia iniziale, i The Cure sorprendono tutti. Smith rinnova la formazione e aggiunge elementi più melodici e ironici. Nascono così album come The Head on the Door (1985), che mescola psichedelia, pop e new wave in un equilibrio perfetto. Brani come Close to Me e In Between Days mostrano un lato più giocoso ma non meno autentico della band.
Nel 1987, Kiss Me, Kiss Me, Kiss Me spinge ancora più in là l’esplorazione, passando da ballate cupe a esplosioni funk-pop. Ma è con Disintegration (1989) che i The Cure raggiungono l’apice artistico: un’opera maestosa, con brani come Lullaby, Pictures of You e Lovesong che restano tra i più amati del loro repertorio.
Gli anni ’90
Nel 1992 arriva Wish, trainato da hit planetarie come Friday I’m in Love, un inno romantico e leggero che diventa l’emblema dell’eterna dualità della band: luce e oscurità, amore e solitudine. L’album è un enorme successo commerciale, ma anche un punto di rottura.
Gli anni successivi vedono una band sempre meno presente in studio, ma ancora protagonista dal vivo. Wild Mood Swings (1996) riceve recensioni miste, mentre Bloodflowers (2000) riporta i toni epici e solenni della fase più oscura. Con questo disco, Robert Smith chiude idealmente una trilogia spirituale iniziata vent’anni prima.
Il nuovo millennio
Gli anni Duemila sono complessi: tra cambi di formazione, lunghi silenzi discografici e nuove tendenze musicali, i The Cure sembrano quasi un’icona del passato. Ma i fan restano fedeli, e i concerti continuano a registrare il tutto esaurito in ogni angolo del pianeta.
Nel 2008 esce 4:13 Dream, un lavoro che non lascia il segno come i precedenti, e inizia un silenzio discografico che durerà oltre quindici anni. Smith, tuttavia, non ha mai smesso di scrivere, e il tempo lo ha dimostrato.
Il ritorno con Songs of a Lost World
Nel 2024 i The Cure tornano in grande stile con Songs of a Lost World, un disco denso, doloroso e potente che riflette sul mondo contemporaneo con lo sguardo poetico e tormentato di sempre. Il pubblico lo accoglie con entusiasmo.
Il tour mondiale che segue conferma la loro vitalità artistica: Robert Smith, con il suo trucco iconico e la voce immutata, guida la band in esibizioni emozionanti che attraversano l’intero repertorio, da A Forest a Endsong.