Top Story
domenica alternativa

Dopo sei mesi “My Soft Machine” di Arlo Parks continua a emozionarci

La recente uscita della versione deluxe del secondo album dell’artista inglese ci dà l’opportunità di parlare di uno dei dischi migliori di quest’anno. Una colonna sonora perfetta per una domenica alternativa

Autore Samuele Valori
  • Il10 Dicembre 2023
Dopo sei mesi “My Soft Machine” di Arlo Parks continua a emozionarci

Foto di Jack Bridgeland

Il titolo del secondo album di Arlo Parks dice molto sulla direzione presa dalla cantautrice britannica: My Soft Machine è un’espressione ripresa da una battuta del film The Souvenir (2021) diretto da Joanna Hogg. La “macchina morbida” è il corpo umano con tutti i micro-meccanismi che ne consentono il funzionamento. Rispetto all’acclamato debutto del 2021 Collapsed in Sunbeam, Arlo Parks non muta la cifra stilistica della propria scrittura, ma ne cambia la direzione. Nel primo disco tendeva a fare degli affreschi e amava fermarsi a osservare le vite degli altri per poi raccontarle in brani urban, intrisi di R&B e soul, come Eugene, Caroline e For Violet. Qui, invece, Anaïs parla di sé, del proprio vissuto e delle difficoltà di vivere i vent’anni.

Il primo singolo estratto da My Soft Machine, Weightless, può aver disorientato i fan della prima ora che avevano amato lo stile quasi acustico del primo progetto discografico. I sintetizzatori che suonano gli accordi di accompagnamento durante il ritornello conducono il brano ai confini del pop. La nuova versione di Arlo Parks, meno minimale, del secondo disco dipende molto dalla presenza stabile alla produzione, e talvolta anche alla scrittura, di Paul Epworth. Il produttore inglese, celebre per i suoi lavori con Coldplay, Adele, Florence and The Machine, U2 e molti altri, ha ampliato lo spettro sonoro di Arlo Parks. Ecco anche perché, un brano come Blades, ricorda moltissimo Too Good, singolo del primo disco che aveva segnato la prima collaborazione tra i due.

Weightless e Blades rappresentano gli esempi più pop di My Soft Machine, ma non per questo la cifra stilistica di Arlo Parks ne esce indebolita. Il cantato soffice che sembra dettare il ritmo è abbinato, come in passato, a testi che non è un delitto definire quasi letterari. D’altronde la cantautrice ha da poco pubblicato la sua prima raccolta di componimenti.

In realtà, qui si sta facendo un accostamento ardito tra due canzoni che cantano di temi diversi. La prima costruisce un sorprendente contrasto tra la leggerezza del titolo e della musica con la gravità della situazione. Arlo Parks dialoga con un “tu” assente che l’ha sempre trascurata rifiutandosi di ascoltarla. Ora che il “lato vulcanico” e rabbioso è venuto allo scoperto, le ultime speranze sono sfumate. Blades, invece, racconta di una festa, reale o immaginaria cambia poco, e di quella persona che noti in un angolino, che non vedevi da tempo, da cui non riesci a distogliere lo sguardo. 

Uno sguardo rivolto all’interno

Il videoclip più bello di My Soft Machine è quello del singolo Impurities. Si tratta della prima traccia del disco, dopo l’illuminante intro Bruiseless in cui Arlo Parks rimpiange la propria infanzia. Quando le ferite erano solo quelle superficiali. Nel video la cantautrice balla e si muove mentre è circondata dal buio che, a poco a poco, viene illuminato dalla presenza dei suoi affetti più cari. E proprio di questo parla la canzone, di come spesso impariamo ad accettare le nostre imperfezioni attraverso coloro che ci circondano. E allora si balla e si tiene il tempo con esse, raggiante come una stella.

Arlo Parks è protagonista non dichiarata in diverse tracce e l’amore e le relazioni interpersonali diventano sempre un metro di paragone. La cantautrice britannica racconta se stessa attraverso gli incontri con l’altro e lo fa con una scrittura ricca di riferimenti. In Room (red wings) l’amore è quello del romanzo di Anne Carson Autobiografia del rosso a sua volta ispirato al mito di Eracle e Gerione. C’è poi l’amore idilliaco, quasi fiabesco, raccontato nella stupenda Pegasus. La collaborazione con Phoebe Bridgers restituisce lo spirito acustico alla cantante inglese che qui diventa un membro aggiunto delle Boygenius. Drum machine e tastiere appena accennate creano un cuscinetto sonoro che divide il disco a metà.

Un altro brano molto personale è quello che chiude l’album, in realtà una canzone scritta nel 2020. Ghost racconta di una rinascita personale che è anche quella conquistata dalla stessa Arlo Parks dopo la crisi psicologica vissuta nel momento in cui la sua carriera stava prendendo il volo con il Brit Award come artista rivelazione e il Mercury Prize per il suo album di debutto.

La novità principale di My Soft Machine di Arlo Parks: la chitarra

Ultimamente nel mondo della musica si sta assistendo a una tendenza ossimorica: il mondo del pop adotta sempre di più gli stilemi e gli strumenti del rock, mentre quest’ultimo sembra volersi distanziare e abbracciare suoni più alternativi ed elettronici. Arlo Parks, complice la già citata collaborazione di Paul Epworth, fa entrambe le cose. D’altronde lo stesso produttore inglese non è solo un autore pop, ma anche un chitarrista di grande livello, come si nota nell’emozionante Purple Phase. Si tratta del primo brano della tracklist in cui la cantante mette in mostra i propri lividi, legati all’ansia generazionale. Il testo è nato da un’improvvisazione notturna, forse per questo è molto autobiografico, durante la quale lo stesso Epworth ha ideato l’arpeggio di chitarra.

Sempre inaspettatamente è nato un altro brano che ha l’elettrica, qui intrisa di fuzz, come protagonista. Dog Rose è stata scritta da Arlo Parks alle tre di mattina in un hotel ed è una delle canzoni più positive dell’intero disco. Sia per quanto riguarda le sensazioni trasmesse dallo stile quasi shoegaze del ritornello, sia per il testo d’amore colmo di speranza.

Tuttavia, se di chitarra bisogna parlare, allora il brano di riferimento è Devotion. Il personale omaggio di Arlo Parks alla musica che ascoltava da adolescente, come si può evincere anche dal videoclip claustrofobico dalle atmosfere anni ’90. La canzone è ispirata da 17 Days di Prince, ascoltata durante un viaggio in auto: il basso è figlio del grunge, mentre il suono distorto delle chitarre ricorda, forse perché vengono citati nel testo, i Deftones.

Arlo Parks e la paura di raccontarsi

Stupisce leggere un titolo del genere in riferimento ad Arlo Parks, soprattutto se si sta parlando del suo secondo album. In realtà è uno dei temi centrali del disco e quello che ci regala le due canzoni migliori di My Soft Machine. Bisognerebbe partire da uno degli ultimi versi di Ghost: « I don’t wanna be that friend that’s always in pain». Spesso è complicato parlare delle proprie debolezze e del proprio dolore agli altri: la colpa è di uno dei meccanismi perversi della “macchina morbida”. Quel retropensiero che ci fa credere che il malessere sia in qualche modo uno stigma, o addirittura qualcosa che si può passare. Arlo Parks fa riferimento proprio alla paura di contagiare qualcuno col proprio dolore.

Anche da questo nasce la stupenda I’m Sorry, che nella versione deluxe è reinterpretata in un duetto bilingue con Lous and The Yakuza. L’ambientazione è il Dayglow cafè, la protagonista sembra essere la stessa Arlo Parks che qui forse sarebbe più opportuno chiamare col suo vero nome, Anaïs. Il trauma e gli abusi segnano in profondità e tornare ad avere fiducia in qualcuno è difficile. Frank Ocean, My Bloody Valentine e Vampire Weekend sono le ispirazioni dichiarate e no. Alla batteria, guarda caso c’è Garret Ray. batterista dal vivo della band americana.

I’m Sorry ci dà anche la possibilità di approfondire un altro aspetto: i brevi frammenti di rap che Arlo Parks inserisce qua e là nelle canzoni del disco. Sono i momenti in cui lascia spazio alle riflessioni più personali e quelli che obiettivamente emozionano maggiormente. L’apice è raggiunto nell’altra grande traccia del disco, Puppy. Il brano fonde una base rap con il fuzz delle chitarre, il cantato di Arlo Parks si rifà sussurrato e racconta il dolore interminabile di un lutto, messo metaforicamente a confronto con la lacerazione emotiva per la prima grande delusione amorosa. Nel bridge finale torna di nuovo il rap, prima di lasciare spazio alle chitarre shoegaze.

Le novità della versione deluxe

Si è già parlato della meravigliosa nuova versione di I’m Sorry. Tra i sei nuovi brani, troviamo anche una cover di Jai Paul, Jasmine, che si addice perfettamente al mood del disco. In più ci sono anche le versioni acustiche di Pegasus e Devotion e il duetto con redveil, rapper statunitense, sulle note di Blades. Un indizio sulla strada che Arlo Parks intraprenderà nel prossimo futuro, ora che ha definitivamente chiuso il capitolo My Soft Machine?

La nuova traccia finale Holding On sembra quasi un messaggio di speranza. Arlo Parks non si è arresa e mai lo farà, soprattutto ora che ha trovato il coraggio di raccontare se stessa. Non che prima non lo avesse fatto, anzi, spesso il modo migliore per farlo è raccontando delle vite degli altri. Eppure, per rendersi protagonisti ci vuole coraggio, lo stesso necessario per arricchire la propria formula stilistica con incursioni talvolta più rockeggianti, talvolta più hip pop. Perché la musica, come l’anima umana, l’alito che anima la Soft Machine, può cambiare forma, ma rimanere comunque pura.

Share: