Duran Duran, vi preferiamo sotto una mirrorball che a fianco di una zucca
Venerdì esce il nuovo album in studio della storica band, “Danse Macabre”, il loro secondo disco album di cover. Progetto non del tutto riuscito, ma si salvano i brani più dance
I Duran Duran sono stati la quintessenza del romanticismo post glam rock a inizio anni ’80. Erano così lontani dalle scorie scure del post punk, anzi come se il punk non fosse mai passato per le strade di Birmingham.
Il loro fascino iniziale di band synth pop coloratissima e cotonatissima divenne globalmente irresistibile una volta che la band decise di virare verso un pop sempre più orecchiabile, soprattutto per i ragazzini di quegli anni ’80 che erano in adorazione dei loro video. Il passo successivo dei Duran in quel nel decennio fu quello di infatuarsi di una certa dance di matrice USA, molto funk.
Ecco, questo in pratica è un sunto rapido per descrivere il periodo aureo dei ragazzi di Birmingham. Ma soprattutto una premessa per affermare che accostare i Duran Duran a una certa estetica sonora – seppur anche solo a mo’ di suggestione – di matrice goth è un’impresa alquanto improbabile. Però mai dire mai nella vita, e galeotto fu un concerto la sera di Halloween lo scorso anno all’Encore Theatre di Las Vegas.
Aleggia una voglia di goth tra i protagonisti della musica anni ’80
Di recente (e leggerete presto l’intervista) mi è capitato di parlare di musica goth con Budgie, lo storico batterista dei Siouxsie and The Banshees. Peraltro in Danse Macabre (BMG) è presente una cover della loro storica Spellbound, che ha avuto di recente un suo breve momento di “risurrezione” (termine ambiguo parlando di Halloween…) grazie a Stranger Things.
Lui, assieme a un’altra eminenza della batteria goth, Lol Tolhurst (ex The Cure) e con la complicità di Bobbie Gillespie, James Murphy e tantissimi altri guest, ha dato vita a un autentico viaggio nelle tenebre, per un disco che si intitolerà Los Angeles, in uscita a inizio novembre. Nell’album, il gruppo di ex protagonisti della scena gotica esplora le bruttezze del mondo contemporaneo, creando dei pattern sonori di grandissima qualità. Vi consiglio di leggervi anche Goth di Lol Tolhurst, un bel saggio sul genere, appena uscito nel Regno Unito.
La mancanza di vera empatia con quel mondo scuro
Intanto è curioso che in questo periodo stiano uscendo dei dischi che omaggiano quel mondo oscuro realizzati proprio da alcuni protagonisti di quell’epoca. Se ci pensate anche Memento Mori, l’ultimo grande capitolo dei Depeche Mode, è una danza macabra assolutoria che libera la band dallo scoramento post-scomparsa di Andrew Fletcher.
In Danse Macabre i Duran Duran pescano invece sulla superficie di un certo immaginario gotico autentico, per poi andare per la loro strada ma con le idee confuse.
Accade anche scegliendo la contemporanea Bury a Friend di Billie Eilish, poi la già citata Spellbound e se volete possiamo anche metterci dentro il brano più scuro che sia mai stato concepito nel genere ska come Ghost Town, scritta dal compianto Terry Hall per gli Specials. Ma in Danse Macabre i Duran Duran la metabolizzano alla loro maniera. Ovviamente, non avendo mai flirtato con il goth, nel caso di Ghost Town fanno sparire quel vento gelido che soffiava intorno e che quasi si percepiva, per preferire certe vampate eccessivamente sexy.
Spellbound si confonde tra le altre. Sembra un anonimo brano di metà carriera dei Simple Minds. In Bury a Friend, tutta la potenza elementare che si erano inventati Billie Eilish e suo fratello viene smaterializzata per ricomporsi in una contorta cover.
Già nel passato avevamo percepito il pericolo di certi repêchage di matrice post punk e dance da parte dei Duran Duran. Come accadde con la controversa cover di White Lines di Grandmaster Flash che, come i più attenti sanno si regge su un pulsante giro di basso della favolosa Cavern dei newyorkesi Liquid Liquid. E onestamente, già Thank You del 1995, loro primo esempio di album di cover, non era certo un disco memorabile.
Le canzoni che funzionano di Danse Macabre dei Duran Duran
Non le cover di sicuro. Anche se non è male l’idea di un piccolo intermezzo spoken di Simon Le Bon in una funkeggiante Psycho Killer, dove c’è Victoria dei Måneskin, facendo così contenti i telegiornali generalisti italici. Qui la celebre alienazione presente nel brano originale ovviamente scompare. Peccato, perché l’alienazione era un bel fil rouge con il concetto di danza macabra.
In Paint It Black è difficile immaginare una compatibilità tra i riff di Brian Jones e quelli del buon Andy Taylor, che in occasione di Danse Macabre la band ha deciso di richiamare per una manciata di brani, nonostante le sue condizioni di salute (che paiono in miglioramento grazie a cure innovative).
Da salvare c’è il loro singolo Black Moonlight, di cui avevamo già parlato bene, grazie alla presenza – in questo caso davvero funzionale – del loro amico di lunga data Nile Rodgers. Poi aprire il nuovo album con una canzone che arriva dal lontano repertorio originale della band come Night Boat è un segno di coraggio. Buona anche la versione di Supernature di Cerrone, altro omaggio all’autentico DNA della band, quella disco futurista e un po’ kitsch che servì alla band a costruirsi un futuro sonoro.
Cari Duran Duran, vi preferisco sotto una mirrorball che di fronte a una zucca.