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Il live dei Massive Attack ci ricorda come la grande musica può essere impegno politico

Ieri sera la band inglese ha suonato nei nuovi spazi verdi di Parco della Musica a Segrate (Milano) per UnAltro Festival, con le proprie canzoni iconiche e un messaggio evidente ancora più di prima

  • Il19 Giugno 2025
Il live dei Massive Attack ci ricorda come la grande musica può essere impegno politico

Andare a un live dei Massive Attack e non sposare le loro idee politiche potrebbe non essere semplice. Anzi, probabilmente è quasi impossibile. Ieri sera la band di Robert Del Naja e Grand Daddy G ha suonato nei nuovissimi spazi di Parco della Musica, a Segrate, per UnAltro Festival. E i Massive Attack a Milano hanno portato uno show che come sempre aveva un chiaro messaggio politico. Anzi, questa volta è parso ancora più evidente, come se fosse diventato questo stesso il motivo principale del loro voler fare musica. Il contrario di chi in questi mesi non ha voluto prendere posizione riguardo ai conflitti mondiali in essere, in primo luogo nella striscia di Gaza. O di chi lo ha fatto timidamente, senza spendere parole, e mostrando solo la bandiera della Palestina in un momento dello show. Ma ogni artista deve agire secondo la propria coscienza.

I Massive Attack, certo, lo possono fare. Perché si sono sempre spesi a riguardo, sia nei loro show dalla metà degli anni ‘90 che nel loro privato, sui loro social. In tour non portano nuova musica, perché – si sa – il loro ultimo album Heligoland risale al 2010, ma piuttosto attualizzano il messaggio che viene trasmesso sui visual.

Prendono lo spettatore e lo portano in un viaggio tra sogno distopico e realtà, partendo e concludendo il tutto con un frammento di In My Mind di Gigi D’Agostino (anzi, originariamente di Dynoro), con al microfono Del Naja. Che cosa è reale e che cosa è fake? Le scritte giganti in italiano, alle spalle della band, riecheggiano nella mente tanto quanto i loro beat oscuri, potenti, ossessivi.

Parte Risingson, uno dei capisaldi di Mezzanine (1997) e i Massive Attack ricordano subito al pubblico, che evidentemente li segue da sempre (tranne qualche eccezione di giovanissimi), la portata rivoluzionaria della propria musica. Con il trip hop, il genere che – senza farlo di proposito – crearono a Bristol negli anni ‘90, che univa musica elettronica, sonorità dell’hip hop e del dub ma anche del rock, come le chitarre sul palco ancora oggi testimoniano.

E per il racconto dei Massive Attack a Milano, con Robert Del Naja ormai naturalizzato italiano (anzi: napoletano) ci sono ovviamente anche i loro più fedeli collaboratori. C’è Horace Andy, l’iconico cantante giamaicano con loro fin da Blue Lines del ‘91, che canta uno degli ultimi brani usciti insieme, Girl, I Love You, e ritorna sul palco per Angel (uno dei pochi brani senza visual politici).

C’è la voce angelica di Elizabeth Fraser per Black Milk, Song To The Siren di Tim Buckley, Group Four e naturalmente per Teardrop. Deborah Miller per le pietre miliari Safe From Harm e Unfinished Sympathy.

E poi spazio, come sempre, ad alcune cover. La già citata Song To The Siren, e poi Rockwrok degli Ultravox e Levels di Avicii, per creare ancora di più un clash mentale con le immagini dei visual.

In tutto questo non mancano i dati che pulsano incessanti sugli schermi. Anzi: sono centrali per avvalorare il messaggio. Quanti ospedali sono stati bombardati nella Striscia di Gaza dall’ottobre del 2023, quanti bambini palestinesi sono stati uccisi e quante scuole sono state distrutte nelle offensive volute da Netanyahu, quanti soldi sono stati versati a Israele dal governo Britannico dalla nascita dello Stato. Il conto sugli schermi pare infinito. Dove finiscono i nostri soldi se non nei fondi svizzeri a Zurigo (giusto per fare un esempio).

Il tutto è troppo retorico? Eccessivo? Risaputo da tutti coloro che si trovano a quel concerto (molto meno dal resto della popolazione)? Forse. Per qualcuno, sicuramente. Siamo sempre a un live, in un bel parco all’aperto, in una tiepida sera d’estate, mentre le guerre vere sono da un’altra parte.

Ma se la musica è arte e può (e deve) portare anche un altro significato i Massive Attack ci ricordano come si può fare. Basta che si faccia con cognizione di causa e con sincerità di intenti. Perché anche Marracash allo stadio di Torino sabato ha ribadito che è “finito il tempo di pensare solo alle cazzate”.

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