Amadeus: «I miei goal? Trovare la hit, liberarmi dalle quote e avere gli artisti in gara»
Dal 2020, il duro lavoro di ricerca del conduttore e direttore artistico di Sanremo ha regalato risultati innegabili all’industria discografica, persino all’estero. Ma lui ha ancora diversi sogni nel cassetto: «Portare più rap possibile e avere tutti i nomi più importanti della scena italiana sul palco. Ma non come ospiti». Come sceglie le canzoni? Quanto contano le esibizioni live? Vi raccontiamo tutto nella nostra intervista. Qui un’anticipazione
Il tono di voce di Amadeus è vivace già dal mattino (abbastanza) presto. «Si beve solo camomilla, mentre io ordino cento caffè. Non so come faccia», scherza il suo ufficio stampa. Amadeus è al quarto festival come conduttore e direttore artistico, e tornerà anche l’anno prossimo. La Rai sarebbe sembrata pazza a non chiamarlo di nuovo. Ascolti record, migliorati del 36,6%, con punte di share che hanno superato l’80% (certamente di notte, però…).
Un mercato discografico davvero dominato dai brani in gara al Festival. Tendenza a cui era stato dato il via da Claudio Baglioni, ma che poi solo lui, Amedeo Umberto Rita Sebastiani, dal 2020 ha portato a compimento e sviluppato sempre di più. Basti solo citare il brano più ascoltato del 2022: Brividi di Mahmood e Blanco. Ovviamente vincitore di Sanremo 2022.
Questo è l’esempio più eclatante, ma ce ne sono davvero parecchi. Artisti non troppo conosciuti – la cui scelta all’inizio venne criticata – come Colapesce e Dimartino, che poi sono stati i più ascoltati in radio fino a estate 2020 inoltrata con Musica Leggerissima. Per non parlare dei Måneskin, che in quello stesso 2020 non era assolutamente certo potessero vincere il Festival. E invece hanno trionfato anche all’Eurovision e in tutto il mondo.
L’industria discografica italiana è tornata a crescere (e parecchio). L’export musicale nel 2021 è salito del 66% (dati FIMI/GfK) e l’Italia è il decimo Paese al mondo per volumi economici, cosa per niente scontata visto l’andamento precedente. Che sia un po’ merito anche del nostro Festival della Canzone Italiana?
Protagonista – con Gianni Morandi – della cover story del numero di gennaio/febbraio di Billboard Italia (di cui vi presentiamo qui un estratto), parliamo con Amadeus qualche giorno dopo i primi ascolti dei 28 brani in gara all’anteprima riservata ai giornalisti. Sono quindi già circolate le pagelle e i giudizi (spesso impietosi) dei critici.
Amadeus, qual è stato secondo te il brano meno capito?
Non mi piace giudicare il giudizio degli altri, ognuno ha il diritto di esprimere il proprio parere. Penso che il livello di quest’anno sia davvero alto e così sia stato percepito un po’ da tutti. Trovo che le canzoni vadano ascoltate tantissime volte: forse tra un mese uno potrà davvero dire se gli piace un pezzo o meno. Per questo motivo non sono d’accordo con le stroncature drastiche.
Magari a un brano puoi anche dare un 8 se ti ha colpito a livello emotivo e poi te lo ricordi. Ma se dai un 2, rischi eh! Ci sono stati tanti pezzi massacrati che poi hanno sfondato in radio, in streaming o addirittura hanno vinto. Ricordo brutti voti ai Måneskin, a Diodato, anche a Mahmood e Blanco.
Agli ascolti sono sembrati un po’ penalizzati e cannibalizzati i sei giovani in mezzo ai big. Magari durante le serate del Festival sarà diverso. È un tema a cui sei molto sensibile: come mai hai tenuto a inserirne così tanti?
Io credo che questo mondo debba dare fiducia ai giovani, nella musica e nello spettacolo. Trovo che le persone della mia età che si chiudono alle idee dei ragazzi sbaglino: siamo noi che ci dobbiamo adeguare e dobbiamo entrare nel loro mondo. Anche perché loro spesso si appassionano spontaneamente al passato. Per questo voglio dare loro sempre più spazio.
Faccio spesso l’esempio di Tananai: l’anno scorso in molti criticarono il suo pezzo e la scelta di averlo portato a Sanremo. Al di là del suo ultimo posto, in un anno lui e la sua popolarità sono cresciuti in maniera esponenziale, è evidente a tutti. Bisogna anche saper aspettare i giovani. Sono sicuro che i sei che ho portato avranno un futuro. Proprio come nel calcio: non puoi allenare i ragazzi ma poi tenerli sempre in panchina. Devono giocare, sbagliare e poi solo così ti ritrovi un campione vero.
Una cosa positiva, riconosciuta da tutti, è che tu non metta in pratica il manuale Cencelli delle presenze in gara: sei a Sony, cinque a Universal, quattro a Warner e via dicendo…
Assolutamente no, infatti a volte qualche casa discografica rimane completamente fuori e se ne lamenta.
Tutti gli artisti mi hanno detto di non sapere veramente fino all’ultimo se verranno scelti o meno.
Esatto. Nemmeno le discografiche…
Leggenda vuole che tu, prima dell’annuncio, ti chiuda in casa per tre giorni solo con tua moglie e tuo figlio di 14 anni e poi decida.
No, non è proprio così. Io sono molto riservato e geloso delle canzoni che mi vengono proposte. Banalmente perché se le facessi ascoltare ad altri, anche al mio gruppo di lavoro, rimarrei troppo condizionato dal loro giudizio. Quindi gli ultimi giorni ho solo bisogno di isolarmi. Nessuno conosce le canzoni.
Neanche Giovanna e tuo figlio Josè?
Forse sono gli unici, insieme al mio autore fidato Massimo Martelli. Ma nemmeno lui li conosce tutti perché gli ultimi dieci giorni mi chiudo davvero in conclave solo con me stesso. Mia moglie e mio figlio li ascoltano, quando sono a Milano (e non a Roma), per un motivo molto semplice: utilizzo le casse. Oppure li sento in macchina. È ovvio che mi interessi anche il loro parere. Per capire il gusto femminile di mia moglie e quello di un ragazzo di 14 anni. In genere non sbagliano. Ma non mi faccio condizionare.
Il tuo obiettivo è cercare il pezzo che potrà piacere un po’ a tutti e che magari renderà meglio sul palco o quello che potrà funzionare di più in streaming o in radio?
Esattamente il secondo caso. Per me il palco è relativo, se mi dicono “guarda che questo gruppo è fortissimo live” ciò non sposta minimamente il mio giudizio, se il pezzo non mi piace. E cerco di non scegliere poi basandomi solo sui miei gusti, questo è fondamentale ripeterlo. Un brano – di qualsiasi tipo, ballad o uptempo che sia – deve emozionarmi. Cerco di immaginarmi il suo futuro. Per questo scelgo la maggior parte delle canzoni in macchina. Se mentre guido mi viene voglia di riascoltarle, è fatta. Va considerato un altro particolare importante: a volte possono stancare.
Qual è stata la tua decisione che ha avuto il maggior peso a livello internazionale? Come prima cosa mi verrebbe da dire l’aver scelto i Måneskin. Tu che ne pensi?
Quella dei Måneskin è stata una formula chimica perfetta, un successo mondiale, proprio con quella canzone su cui qualcuno aveva anche avuto da ridire. Invece l’ho presa, senza chiedere alcuna modifica, e ora sono una band con riconoscimenti incredibili. Io però a volte sono felice anche solo di andare in controtendenza. Anche la vittoria di Diodato il primo anno non era così scontata. Lui era apprezzato ma sconosciuto ai più e sappiamo quello che è successo dopo. Per non parlare di Dargen D’Amico: prima era conosciuto da una nicchia, ora persino mia madre che ha più di 80 anni sa chi è.