Interviste

Dardust a cuore aperto: la sua storia, dagli inizi accademici alla voglia di grandeur

Nel nuovo numero di Billboard Italia facciamo un viaggio in profondità e a ritroso per capire meglio Dario Faini, poliedrico artista che, se non ci fosse, andrebbe inventato. E non sarebbe un’operazione semplicissima

Autore Tommaso Toma
  • Il28 Settembre 2023
Dardust a cuore aperto: la sua storia, dagli inizi accademici alla voglia di grandeur

Dardust dal vivo nel concerto-spettacolo Duality (foto di Alessio Panichi)

Dario Faini, ai più conosciuto come Dardust, è senza alcun dubbio un artista sui generis, armato di una profonda curiosità. Si è formato studiando pianoforte e ha esplorato il vasto mondo della musica elettronica. Ha inciso album visionari costruendoci sopra show suggestivi. Come nel recentissimo Duality Tour, che Dardust portato sui palchi dei Festival e delle rassegne estive in Italia e non solo.

La musica di Dardust ha accompagnato eventi di respiro internazionale come il Superbowl, l’NBA All Star Game, il Keynote Apple e il Flag Handover nella Cerimonia di Chiusura dei Giochi Olimpici di Beijing 2022.

Intanto Dardust è diventato in pochissimo tempo il produttore più d’avanguardia e più ricercato della musica italiana. Fare tutti i nomi degli artisti con cui ha lavorato ci porterebbe a creare una lista notevolmente lunga.

L’8 settembre ha pubblicato il nuovo singolo Outside e ha annunciato il nuovo tour “Duality + Guests” nei teatri italiani.

Come autore e produttore vanta un palmarès di oltre 70 dischi di Platino e oltre 500 milioni di stream. Pare tutto perfetto, ma non sempre tutto è stato facilissimo da affrontare. Lo capirete leggendo la nostra intervista a Dardust, che trovate integralmente sul numero di settembre/ottobre e di cui riportiamo qui un estratto.

Ascolta Duality di Dardust

Il tour “Duality + Guests”

  • 12 dicembre – Milano, TAM Teatro Arcimboldi
  • 24 gennaio – Roma, Teatro Brancaccio
  • 29 gennaio – Bologna, Teatro Europauditorium
  • 3 febbraio – Firenze, Teatro Verdi

L’intervista a Dardust

Tutto è partito da Ascoli Piceno, da una scuola di musica molto rigida, giusto?

Vero, ma non pensare che fossi uno studente modello, anche se mi sono rimesso a studiare negli anni successivi. Cominciai con il pianoforte classico all’Istituto Musicale Gaspare Spontini, avevo 8 anni. I miei primi anni sono stati un susseguirsi di lezioni, esercitazioni e saggi. La mia insegnante era Annamaria Bucci e seguiva il suo corso anche Giovanni Allevi.

Credo che noi studenti di quella generazione abbiamo occupato l’ultimo baluardo di un insegnamento severo del pianoforte. Ci portava via tanta energia mentale e fisica e i metodi erano molto più rigorosi rispetto ad oggi. La didattica di oggi penso sia più “permissivista” ma anche con risvolti più positivi, secondo me.

Io non mi sentivo un ragazzo come gli altri: dovevo occupare, oltre a quelle faticose ore di didattica, quattro o cinque ore quotidiane di esercitazione in più. Mi sentivo come chi fa agonismo nello sport. Era una scelta di vita legata alla passione, ma le regole del pianismo classico erano dure.

Al di là di questo aspetto didattico, sapevo che la mia curiosità mi avrebbe spinto altrove. Già da bambino mi affascinavano David Bowie, i Depeche Mode, addirittura i Kraftwerk. Durante l’adolescenza si acuì il mio interesse per l’elettronica.

Lo studio del pianoforte mi aveva insegnato delle regole che diventarono una sorta di gabbia, quando la mia curiosità per tutto il resto che mi colpiva si trasformò in qualcosa di creativo, in qualcosa che dovevo fare con il mio strumento.

Mi crebbe dentro un’ansia fortissima che mi provocò il distacco dallo studio per andare a indagare l’universo che mi circondava. Conta che all’epoca non sapevo che ci fossero studi e corsi di musica e composizione legati all’elettronica, oggi invece ce ne sono diversi di interessanti e seri.

Un passo coraggioso, perché certamente spinto dalla tua curiosità, ma non sempre è facile uscire da un perimetro solido come quello accademico.

Ma in quel momento è partita la mia seconda fase di vita con la musica. Da studente che seguiva le regole sono diventato all’improvviso un autodidatta, scoprendo il mondo dei synth e, solo dopo i trent’anni e una maggiore consapevolezza, sono tornato a studiare pianoforte.

Comunque alla fine sarò per sempre uno studente. Pensa che adesso ho due insegnanti di pianoforte: con uno mi applico al repertorio jazz e con l’altro sono tornato a studiare classica, perché posso avere il desiderio di imparare a suonare uno spartito di una sonata di Liszt o di Ravel.

L’imprinting rigoroso dei miei primi anni mi ha permesso di capire il valore dello studio, di avere una preparazione che però oggi sono in grado di gestire con la leggerezza che certamente non potevo avere a 9 o 10 anni. E ovviamente mi ha permesso di affrontare bene la scrittura di un album come S.A.D. Storm and Drugs, che parte dal Romanticismo pianistico.

Oggi assistiamo all’emergere sempre più forte di una corrente di un certo pianismo contemporaneo, che possiamo inserire nella dicitura new classical. Tu peraltro lo avevi intercettato già molto tempo prima che diventasse fenomeno discografico.

Molto pianismo di oggi – nella declinazione più pop – è molto “confortevole” ed è figlio del secondo Novecento, soprattutto della scuola minimalista, che si regge sulla ripetizione. Cito su tutti Steve Reich, che aveva anche già assimilato alcuni insegnamenti dell’elettronica. Questo passaggio ha contribuito a semplificare la struttura contrappuntistica e armonica delle composizioni.

Nel mio prossimo album andrò a spezzare questo approccio diatonico per andare a cercare nuovi cromatismi, scale esatonali… Ma attenzione, non voglio sminuire e screditare questo movimento, che a volte ha un approccio più ambient, vicino agli insegnamenti di Brian Eno, e talvolta si appoggia a una complessità tecnica tra digitale e analogico, come fa Nils Frahm.

Dardust - intervista - 3 - foto di Antonio De Masi
Dardust: l’intervista completa è disponibile sul numero di settembre/ottobre di Billboard Italia (foto di Antonio De Masi)

In questo numero abbiamo parlato anche con Arturo Stalteri e abbiamo accomunato due mondi distantissimi come la musica prog e techno. Alla fine sono stati, a loro modo, dei grandi veicolatori degli insegnamenti accademici.

Sì, sono d’accordo. Dal mondo complesso del prog ho attinto per alcune composizioni di S.A.D Storm and Drugs. Però in generale, tornando al pianismo contemporaneo, oggi noto una sorta di ingessatura della spinta creativa…

Ovvero? Una ripetizione di cliché, di manierismo?

C’è una sorta di purismo forse eccessivo. Io stesso penso di non essere visto di buon occhio, di non essere accettato da molti di quella scena, proprio per la mia voglia continua di contaminazione, di fuga dagli schemi. Forse mi ritengono stravagante.

Forse perché non tutti vogliono uscire da un percorso rassicurante?

Certamente. Poi nel mio caso mettici anche il fatto che mi sono “sporcato le mani” lavorando con una pletora di artisti pop e trap!

Considero un outsider anche il pubblico che viene ai miei concerti: sono spesso persone che non sono dei puristi della musica neo-classica o dell’elettronica, ma rappresentano davvero la mia natura artistica. La mia ambizione, come ti accennavo prima, è di spostare in alto ulteriormente la mia asticella con il mio prossimo album.

Mi fai venire in mente Jean-Michel Jarre, che è sempre stato un grande ambizioso e certamente ha impersonificato con i suoi show quella tipica velleità transalpina di grandeur.

E ti sei mai chiesto perché nessuno ritenesse Jarre un tipo cool? Perché la spettacolarizzazione – un po’ come faccio in scala minore con il mio show Duality – non è percepita come una cosa cool in certi ambienti.

Ma se ci pensi bene, l’idea di arte totale affonda le sue radici proprio tra i maestri del passato, come Debussy e in quei concerti dove gli artisti delle varie discipline si contaminavano. Io non faccio nulla di nuovo, ma rendere uno show qualcosa che si basa anche sui principi della musica classica o neo-classica non piace ai puristi, gli toglierebbe credibilità.

Io vedo nei miei spettacoli anche un pubblico giovane, perché secondo me ha bisogno di ulteriori stimoli sensoriali per entrare in un certo universo musicale. Non penso sia attraente un auditorium con il solo piano in mezzo al palco e quelle luci di servizio sempre accese ai lati.

Sto estremizzando ma penso di rendere l’idea. Sono sicuro che i gigantismi di Jarre abbiamo avvicinato il grande pubblico a certe sonorità.

Al di là della celeberrima Oxygène, che fece la fortuna di Jean-Michel Jarre, io ricordo un album pazzesco e totalmente dimenticato, Zoolook, cantato in 25 lingue diverse e pieno di campionamenti assolutamente all’avanguardia per esser stato registrato nel 1985.

Conosco bene quell’album, ma anche il discorso sull’uso dei synth oggi… C’è una casta che non tollera la scelta del digitale per certi suoni: se non usi un approccio analogico non sei cool. Lo trovo ridicolo.

Dardust - Lazza - intervista - 2 - foto di Jacopo Rossini
Dardust insieme a Lazza. Porta la sua firma, per esempio, la produzione della hit Cenere (foto di Jacopo Rossini)

Tra i nuovi eroi della scena italiana c’è Lazza, che è in copertina del numero di settembre/ottobre di Billboard Italia. Immagino che ci sia tra voi quella giusta sintonia anche grazie a una formazione simile: anche lui ha studiato la musica.

Questo ti permette di parlare lo stesso linguaggio, prima in fase di scrittura e poi nella fase della produzione, possiamo andare nei dettagli più profondi. Ma la cosa bella di Lazza è un’altra.

Ovvero?

La fiducia reciproca. Non so esattamente come sia nata, ma di sicuro con lui ho fatto un lavoro molto solido, concreto. La digitalizzazione ha reso possibile che molti artisti diventassero anche dei produttori velocemente. Questo non è sempre una cosa negativa, ci mancherebbe, perché conta sempre una visione e diciamo che questo è l’aspetto buono della cosa.

Però l’essere musicista sono certo che farà sempre la differenza perché ti permetterà sempre di evolverti e quindi di sopravvivere ai repentini cambiamenti del mercato.

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