Napoleone: «Il napoletano mi dà anche più libertà dell’italiano nell’esprimere certi concetti»
Nel grande calderone della nuova scena musicale partenopea, il cantautore si contraddistingue per il recupero di sonorità orientate al funk, ma non solo. Ha da poco pubblicato il suo ultimo singolo, “Il Giardino di Maddalena” in featuring con Kaze
Quest’anno Napoleone si è fatto conoscere anche dal grande pubblico mainstream e urban grazie al featuring su Capa Tosta, presente nell’ultimo album di Guè, Madreperla. Ma già c’era la sua penna dietro a successi di artisti come Michele Bravi, Gaia, Chiara Galiazzo.
Da un paio d’anni l’artista – originario della provincia di Salerno e di stanza a Torino – ha deciso di dar vita a un progetto musicale tutto suo. Nel grande calderone della nuova scena musicale partenopea, Napoleone si contraddistingue per un recupero della tradizione musicale più “groovy” della città, con un risultati a metà fra funky e indie pop.
L’ultima prova è il singolo Il Giardino di Maddalena (INRI / Virgin Music Las / Universal Music Italia), realizzato in collaborazione con Kaze: un appello universale alla ricerca della propria autenticità fra voglia di tornare e necessità di crescere ed andare.
Vi presentiamo qui in anteprima il video di backstage realizzato per il format Contrasti al Teatro Regio di Torino, nel cui foyer Napoleone ha suonato al termine de Il flauto magico. L’abbiamo anche intercettato per uno scambio di battute sul suo progetto musicale.
Il video di backstage al Teatro Regio di Torino
L’intervista a Napoleone
Il Giardino di Maddalena contiene un mix di italiano e dialetto: anche Kaze si cimenta in qualche verso in napoletano. Per te quali sono le qualità musicali di quel dialetto?
Il dialetto napoletano ha una musicalità internazionale che, oltre a suonare bene, secondo me riesce a comunicare anche meglio dell’italiano. Alcuni termini, già nel suono della loro pronuncia, lasciano intendere uno stato d’animo, una sensazione, un sentimento. Anche senza comprenderne il significato, riesce comunque a farti arrivare il messaggio che vuole trasmettere.
Credo si tratti di quel famoso ingrediente segreto che a Napoli è conosciuto come ‘o sentimento. Per quanto mi riguarda, riesce a darmi anche più libertà nell’esprimere alcuni concetti. Se in italiano sei costretto a usare frasi intere, in dialetto può bastarti anche una sola parola.
Come hai conosciuto Kaze?
L’ho conosciuta al Mi Ami dell’anno scorso, dovevamo esibirci sullo stesso palco. Successivamente l’ho incrociata a Roma in circostanze identiche in occasione di un altro festival. Ha un talento enorme ed è un’artista completa.
Ascoltando la sua musica ho ritrovato qualcosa di me, non solo nelle melodie ma anche in alcune sfumature della scrittura. Lavorare insieme è stata un’esperienza davvero costruttiva. Una delle collaborazioni più sincere che potevano capitarmi: spero di poter scrivere ancora molto altro insieme a lei.
Ci racconti cosa ti ha spinto a lanciare il tuo progetto artistico personale dopo aver lavorato come autore per altri artisti?
A differenza del mestiere da autore, dove in alcuni casi riesco a non essere troppo coinvolto emotivamente, ho capito che scrivere per me è un processo che parte quando ci sono delle questioni irrisolte che mi tormentano o, nel peggiore dei casi, mi bloccano.
Queste canzoni, nello specifico, credo siano state un modo per fare pace con le mie radici. A un certo punto ho perso la bussola e sentito la necessità di reinterpretare alcuni posti, scelte e persone per non associare più quella parte del mio passato a un luogo da cui sono dovuto scappare.
Come vedi l’attuale fermento della scena napoletana?
In Campania (per lo più a Napoli), non solo in ambito artistico abbiamo visto nascere importanti realtà grazie a figure di spicco come i fratelli De Filippo, Totò, Troisi, Luciano De Crescenzo, Gaetano Savio, Renato Carosone, Pino Daniele… Negli anni furono capaci di portare avanti una scuola di pensiero ben precisa, senza mai snaturare le proprie radici e riuscendo a ottenere successi nazionali e internazionali.
La scena musicale in Campania è sempre stata in fermento da questo punto di vista e non l’ho mai vista spegnersi. Torna protagonista in maniera ciclica a ricordarci quanto un popolo, nel corso della sua storia continuamente invaso e assediato, abbia avuto la capacità di assorbire tutte queste influenze senza mai essere realmente conquistato.
A proposito dell’attuale scena musicale napoletana, mi verrebbe da citare Liberato. Senz’altro è stato apripista di questo nuovo fermento musicale, riportando il linguaggio della tradizione su un piano decisamente più internazionale e rendendolo universale.