Yungblud: «L’unica cosa che mi preoccupa è non sentirmi creativo»
Il rocker britannico tornerà presto in concerto in Italia: il 7 luglio suonerà a Milano agli I-Days in apertura ai Bring Me The Horizon. L’abbiamo intervistato
Un po’ Billy Idol e un po’ Alex Turner, viscerale come i Cure e sfacciato come gli Oasis: nel personaggio e nella musica di Yungblud convergono tante direttrici diverse del rock made in UK degli ultimi 30/40 anni. Un approccio “post-moderno” che ad alcuni potrebbe sembrare posticcio ma che forse è uno dei pochi praticabili per assicurare al rock un successo mainstream oggi (ricordiamo che gli album del Nostro vanno al primo posto in classifica nel Regno Unito).
Anche se Yungblud non è inserito in una vera e propria scena, ciò non vuol dire che il suo personaggio non sia autentico. Basta parlarci qualche minuto per capire che il ragazzo ha un’urgenza comunicativa e una varietà di argomenti che non sono da tutti. Sempre espressi nel suo colorito accento del nord dell’Inghilterra, dove le cose brutte sono sempre fuckin’ e quelle belle dope.
All’interno del mondo rock Yungblud è un personaggio divisivo ma a lui va bene così, finché può contare sul sostegno e sull’affetto della sua “community” (termine che usa regolarmente per la sua fanbase). E i fan italiani avranno molto presto la possibilità di vederlo di nuovo dal vivo in Italia: Yungblud suonerà agli I-Days all’Ippodromo Snai San Siro di Milano il 7 luglio, in apertura agli amici Bring Me The Horizon. L’abbiamo intervistato poco prima del concerto milanese.
L’intervista a Yungblud
In passato hai collaborato parecchio con i Bring Me The Horizon e col loro frontman Oli Sykes: un interessante incontro fra due generazioni e stili musicali diversi.
Esatto. Oli è un fantastico mentore per me, visto che ha undici anni più di me. Mi ha aiutato parecchio a orientarmi in questo mondo. Ascolto i Bring Me The Horizon da quando ero bambino, li ho sempre amati. L’opportunità di lavorare con loro è pazzesca. Lui è sempre stato a disposizione per rispondere a domande e darmi consigli: sono fortunato ad avere qualcuno più grande di me che però ha vissuto esperienze simili.
Coerentemente con il loro sound, un pezzo come Obey è piuttosto heavy, non esattamente il tuo stile abituale. Ti piacerebbe esplorare ancora il mondo metal in futuro?
Ogni tanto ci ho provato ed è divertente, ma non è ciò che faccio. Io sono cresciuto più con riferimenti come Mick Jagger, Iggy Pop, The Who, Led Zeppelin, Guns N’ Roses. Come artista preferirei piuttosto esplorare il classic rock e la rock opera. Ma comunque adoro l’heavy metal! Se dovessi fare metal non sarebbe necessariamente metalcore: sarebbe più tipo Black Sabbath.
L’altro brano in collaborazione, Happier, ha un videoclip girato a Tokyo, con un evidente gusto asiatico. Personalmente non ti avevo mai associato a quel tipo di immaginario: cosa ti ispira di quel mondo?
L’arte e la moda sono sempre state molto influenzate dal Giappone. Anche la sua storia è molto interessante. Siamo andati lì e mi ha colpito il locale movimento post punk: i giapponesi amano molto il rock britannico. È stato figo lavorare con registi e artisti giapponesi per quel video.
Rimanendo in Asia, c’è qualche aspetto della cultura K-Pop che ti piace?
Trovo che ci siano dei punti di contatto con il progetto Yungblud: anche le fanbase del K-Pop si concepiscono come vere e proprie community. All’inizio non mi interessava così tanto, poi ho iniziato a capirlo meglio e mi ha affascinato. La cosa bella del K-Pop, così come del mio progetto musicale, è che non si tratta solo dell’artista: è più una questione di community.
La tua Tissues campiona Close to Me dei Cure. Che impatto ha avuto Robert Smith sulla tua formazione musicale?
I Cure sono stati fondamentali per me perché facevano una musica cupa che però ti solleva lo spirito. L’arte che hanno creato era una grande giustapposizione di sad e happy. Artisti come Siouxsie Sioux, Robert Smith e Brian Molko hanno influenzato fortemente il mio look e il mio modo di esprimere il mio lato femminile. Ma adoro il rock in generale: è stata la mia educazione. Dai Cure ai Black Sabbath, dai Rammstein ai Joy Division, fino a Madonna, che per me è una vera rockstar. Non vedo l’ora che possiate sentire il mio nuovo album…
Ecco, dimmi qualcosa sul disco su cui stai lavorando.
È probabilmente il progetto più ambizioso che abbia mai fatto. È ciò che ho sempre voluto fare. In un certo senso torna alle radici: se con la macchina del tempo potessi tornare da me stesso bambino, raccontargli ciò che ho raggiunto e chiedergli che tipo di album vorrebbe lasciare dietro di sé, sarebbe questo disco. È molto classic rock. Uscirà l’anno prossimo. È un album concepito per essere ascoltato nella sua interezza, dall’inizio alla fine. È praticamente da quattro anni che ci lavoro: ho iniziato subito dopo che Weird! ha raggiunto la prima posizione in classifica in UK.
Lowlife e Hated, due singoli che hai pubblicato l’anno scorso, sono praticamente pezzi hip hop. Cosa ti ha spinto verso quella direzione sonora?
L’anno scorso ho sperimentato cose in tempo reale con la mia fanbase. Non ho mai avuto paura di pubblicare musica che non fosse parte di un album o di un progetto più ampio. È una cosa che faccio fra un album e l’altro, come nel caso dell’EP The Underrated Youth e di Loner. L’unica cosa che mi preoccupa è di non sentirmi creativo. Una volta sono andato a New Orleans, ho lavorato con fantastici musicisti jazz, ma tornato in Inghilterra ho capito che non era quella la mia direzione.
Viviamo in tempi molto incerti, cosa che in generale trova una certa risonanza nella tua musica. Vuoi condividere un messaggio sulle diverse guerre che stanno avvenendo non lontano da noi in questo momento?
La guerra non ha senso, è stupida, è alimentata dall’ego dei politici e dalle loro ambizioni, a spese di milioni di persone innocenti. Per chi, come me, si sente inerme di fronte a quello che sta succedendo, la cosa migliore è donare il più possibile: io l’ho fatto con Unicef e War Child, per esempio. Perché i bambini sono il futuro, e il modo per salvaguardare il futuro è proteggere quelle vite. Penso anche che la politica in generale dovrebbe trarre nuova linfa dai giovani. Troppi politici sono rimasti al potere per troppo tempo, specialmente nel Medio Oriente.
Nella nostra prima intervista nel 2018, esordivi dicendo: “Voglio far pensare le persone”. È ancora l’obiettivo fondamentale della tua musica?
Assolutamente. E la cosa bella del prossimo album è che non ho mai sentito qualcosa così intensamente, quindi aggiungo che voglio far provare emozioni alle persone. È la prima volta in cui ho lasciato il mio subconscio scrivere al posto della mia testa.