Interviste

Esce “Max Nek Renga – Il Disco”: intervista ai “Duri da Battere”

Max Nek Renga: sembra quasi uno scioglilingua, ma il progetto che riunisce in trio Max Pezzali, Nek e Francesco Renga sta macinando un successo dopo l’altro nei palasport italiani ed è già diventato un album live, “Max Nek Renga – Il Disco”

Autore Billboard IT
  • Il15 Aprile 2018
Esce “Max Nek Renga – Il Disco”: intervista ai “Duri da Battere”

Max Nek Renga: sembra quasi uno scioglilingua, ma il progetto che riunisce in trio Max Pezzali, Nek e Francesco Renga sta macinando un successo dopo l’altro nei palasport italiani ed è già diventato un album live, Max Nek Renga – Il Disco. Novant’anni di carriere musicali, come sintetizza scherzosamente Nek, che a dispetto del tempo che passa hanno portato davanti ai palchi tante generazioni di fan, dalla “vecchia guardia” dei primi anni ’90 fino ai giovanissimi. È la bella storia di un successo “transgenerazionale” che continuerà con tanti altri concerti in giro per l’Italia fino a estate inoltrata. E giurano: nessuna “operazione nostalgia”, perché l’obiettivo del progetto Max Nek Renga era stupire (e stupirsi) facendo qualcosa di nuovo.

È da poco uscito Max Nek Renga – Il Disco, il risultato di un tour trionfale che è pronto a stupire con nuovi appuntamenti. Insieme avete realizzato qualcosa come 34 album e 13 raccolte. Qual è stato il criterio con cui avete scelto i brani da proporre in tour?


[Nek] Abbiamo buttato lì le hit di questi venticinque anni di carriera, c’è chi ne ha trenta…

[Renga] Trentacinque.


[N] Sì, se contiamo i Timoria. Però non hai messo neanche un pezzo dei Timoria! Venticinque anni anche per Max.

[R] Non c’era molto da scegliere: sono le canzoni che il pubblico si aspetta quindi non puoi non farle. In realtà ci abbiamo messo pochissimo. Credo che uno dei punti di forza di questo tour sia proprio il fatto che il pubblico conosce tutte le canzoni di tutti noi, che è un po’ il nostro sogno, la nostra aspettativa. La voglia era di fare una grande festa a cui tutti potessimo partecipare, noi compresi.

Durante la conferenza stampa Max disse che il vostro viaggio avrebbe potuto portarvi da qualsiasi parte, e tu Filippo rispondesti “anche a presentare Sanremo”. Ci siete andati vicini presentandovi come Super Ospiti e cantando Strada Facendo che è anche il brano che apre Max Nek Renga – Il Disco. Chi ha ricevuto la telefonata da Claudio? La scelta di quel brano vi ha trovato subito tutti d’accordo?

[Max] Questo sì. Ce l’ha detto via SMS…


[N] …mandato in contemporanea a tutti e tre, uguale per tutti! “Ciao Max”, “Ciao Filippo”, “Ciao Francesco”: ha un algoritmo che gli prepara i messaggi.

[R] Ci ha chiesto di fare questa partecipazione e se ci avesse fatto piacere fare Strada Facendo, che era un po’ la bandiera del suo Festival. Noi abbiamo accettato di buon grado. Siccome “navighiamo a vista” in questo progetto, ci siamo detti: “Perché non la mettiamo anche nell’album?”.

[N] A febbraio, nel periodo sanremese, avevamo un buco di tempo. Da cosa è nata cosa, abbiamo infilato in questa settimana “di libertà” il progetto di Strada Facendo. Non siamo riusciti a portare sul palco del Festival la versione che è nel disco, ma andava benissimo anche la versione classica. E per un pelo non abbiamo potuto presentare il Festival! (ride, ndr)

In un’intervista alle Iene, tra Fibra e Fedez avete scelto Fibra. Tra i nuovi rapper c’è qualcuno che vi piace in modo particolare sia nel modo di scrivere che di proporsi?


[N] Fedez si è sempre definito un non-rapper. Io conosco bene Federico. Tra i due noi preferiamo il rap di Fabri Fibra.

[M] Fibra è già arrivato a una dimensione praticamente cantautorale. È a quel livello – anche anagrafico – di rapper che sono riusciti a fare il salto verso qualcosa di più complesso dal punto di vista della scrittura.

[N] Fra i nuovi rapper penso che Ghali sia molto forte. Lo vedo anche in mia figlia, che ha 7 anni: Ghali attecchisce molto, soprattutto fra i giovani.

[M] A me piace molto tutta questa nuova generazione, come anche Sfera Ebbasta, e mi piace il lavoro che fanno sui suoni. Del suo producer Charlie Charles mi piace l’approccio “da cantina”. È la dimostrazione di come se hai delle idee buone e sai come realizzarle, anche in una cantina dell’hinterland puoi fare delle cose che sono al livello di quelle dei grandi producer e beatmaker internazionali.


La “boy band per adulti”, come scherzando Filippo ha chiamato il progetto Max Nek Renga, ha ottenuto grandi risultati. Quanto conta il fattore nostalgia in un progetto di questo tipo?

[R] Eh, nostalgia canaglia… In realtà è tutto proiettato nel futuro. È proprio per evitare quel velo di nostalgia che ci siamo immaginati quest’avventura. Si trattava di sorprenderci e fare qualche cosa di nuovo, di metterci in discussione con i repertori degli altri. E anche stupire i nostri fan: non era così scontato che si assomigliassero e si amassero.

[M] Ogni sera vediamo che il pubblico è composto in gran parte da ragazzini, che probabilmente non erano neanche nati quando le canzoni che cantiamo sono state scritte.

Come ve lo spiegate?


[M] Credo che ci sia una sorta di permeabilità delle canzoni. Non è più solo un fatto generazionale. Quando eravamo giovani noi la musica era vissuta quasi come un’identità militare. Facevi parte di una setta: chi ascoltava metal non poteva ascoltare pop e così via. Oggi invece c’è un’apertura, per cui anche ragazzi che ascoltano altri generi poi magari fanno proprie canzoni pop uscite 25 anni fa perché le hanno sentite dal fratello maggiore o dalla mamma.

E voi chi ascoltavate quando avevate 20 anni?

[N] Il rock anni ’80… Sono passato dal country al rock.

[M] Anch’io arrivo da quel mondo: quello della new wave, del post-punk, del rock un po’ meno mainstream. Poi da quello sono arrivato al rock più classico, ho scoperto Springsteen, che per me è stato l’illuminazione, e da lì ho completato il quadro: gli Stones, i Beatles e così via.


[R] Io sono sempre stato molto sull’Inghilterra.

[N] Anch’io: David Bowie, The Cult…

[M] Una volta c’era un incasellamento. All’inizio degli anni ’80, se tu ascoltavi la new wave, qualsiasi cosa venisse da oltreoceano che non fossero per esempio i Black Flag o i Dead Kennedys (l’unica roba americana accettabile), era assolutamente “eterodossa”. Adesso invece si può.

Max Nek Renga live a Bologna

Perché quelli della vostra generazione sono così Duri da Battere?


[N] Quando abbiamo cominciato noi c’è stato tanto lavoro dietro: tanta gavetta che oggi magari è un po’ diversa.

[R] Secondo me è cambiato proprio il campo da gioco. Per fare un disco dovevi investire un sacco di soldi per lo studio di registrazione. Adesso un ragazzino in venti minuti fa un prodotto che mette su YouTube e dopo un nanosecondo, se è bravo, è stato ascoltato da un milione di persone. Ai nostri tempi invece dovevi aspettare di fare un disco per poi sperare che ci fosse una radio che ti passasse il pezzo. Credo che noi siamo “duri da battere” perché abbiamo fatto questo tipo di percorso che oggi è una cosa improponibile.

[M] Però questi artisti della nuova generazione rispetto a noi sono tornati a una logica “do-it-yourself”, si autoproducono. Quello che io adesso posso fare col mio telefonino è quello che avrei sognato di poter fare con un’attrezzatura che all’epoca costava molto. Prendiamo anche anche certi youtuber: pensi sia una cosa semplice quella che fanno ma in realtà c’è già una sorta di imprenditorialità – per come organizzano la cosa, come conoscono i tempi “televisivi” e così via.

Secondo voi le hit di quegli artisti che nominavamo prima fra qualche anno scompariranno o rimarranno?


[R] Secondo me sarà quella la loro gara. Loro hanno una velocità di fruizione diversa dalla nostra. Fibra per esempio è uno che sta dimostrando di essere cresciuto. Di quanti nomi ci siamo già dimenticati? La loro gara è quella di rimanere, evolversi, cambiare. Da un punto di vista diverso, noi facciamo la stessa cosa.

[M] Nel mondo della canzone “cantata”, quello che una volta era indie di fatto è diventato mainstream. Fanno delle canzoni bellissime, in italiano, ritornano alla melodia… Tu pensa solo a Cosmo, Ex-Otago, Colapesce, Ghemon. Quel mondo sta crescendo con i giusti tempi. Sta diventando molto solido e riesce a entrare nello spazio tradizionale della musica leggera italiana.

I fan che vengono ai concerti del tour Max Nek Renga conoscono tutte le canzoni a memoria. Ci sono stati momenti, prima di cominciare quest’avventura – in cui avete temuto che le vostre audience di riferimento fossero eccessivamente eterogenee?

[M] Forse all’inizio c’era il dubbio ma, come diceva Francesco prima, abbiamo pensato che fossero parti di pubblico contigue, insiemi che si intersecano.


[R] Molto semplicemente, ognuno di noi – come i nostri fan – ha vissuto questi ultimi 25-30 anni facendosi attraversare dalle canzoni degli altri. Quando io suonavo con i Timoria e Max usciva con Hanno Ucciso l’Uomo Ragno non potevi non ascoltarlo. Poi magari preferivi uno piuttosto che l’altro (o magari ti vergognavi di ammetterlo) però intanto le canzoni le sentivi e ti rimanevano.

[N] Poi quello che succede a noi è che quando saliamo sul palco e cantiamo le canzoni l’uno dell’altro le sentiamo nostre: io per esempio sento mia Hanno Ucciso l’Uomo Ragno, visto che la citavamo.

Su La Regola dell’Amico fate un piccolo medley con Disco Inferno, peraltro molto ben riuscito.

[M] Io l’avevo fatto tantissimi anni fa, nel tour di allora. Ci piaceva questa cosa perché quel pezzo era pensato come disco anni ’70. A un certo punto, alle prove, mi era venuto naturale mettere in mezzo questa cosa di Disco Inferno come citazione. Io non mi ricordavo più di averlo fatto! Però mi hanno detto: “Ma perché non mettiamo dentro Disco Inferno giusto per dare un tocco di sapore di quegli anni?”.


E quel tipo di pop italiano anni ’90 quanto deve alla grande disco music degli anni ’70?

[N] Se calcoli che la musica classica è la mamma di tutto… C’è una quantità di accordi nella maggior parte dei pezzi di tutti che arriva da lì: figurati se la disco music non ha involontariamente influenzato Max nella Regola dell’Amico.

[R] Quella era una disco music prima di tutto suonata – e suonata di brutto.

[M] Io sono cresciuto con quella roba. Anche chi arrivava dal rock aveva poi questo guilty pleasure della disco. Non a caso l’anno scorso ho fatto questa collaborazione con Nile Rodgers perché quel suono della chitarra funk portata nella disco è uno dei piaceri fondanti. Anche perché poi fu “legalizzata” da tutto quel mondo che va da The Magnificent Seven dei Clash in poi.


In queste interpretazioni “a tre” siete stati molto rispettosi degli arrangiamenti originali dei brani. Avete preferito andare sul sicuro insomma…

[R] La differenza vera la fa la band. Questa non è la nostra band ma il suono che si evince dal live è una cosa totalmente nuova.

[M] Si è voluto rispettare la struttura originale ma con elementi nuovi che la interpretano in maniera diversa senza andare a cambiare l’arrangiamento o la produzione.

[R] E poi avendo nove elementi sul palco non ci sono sequenze, è tutto suonato.


[M] Col cavolo che se non avessimo avuto questa band con due take dei concerti poi fai il disco… Non va così solitamente.

[N]
Anche perché è una band che ha messo in piedi 32 pezzi in dieci giorni.

Quali sono tre concerti che avete visto che vi hanno lasciato senza parole?

[R] Ho visto i Nirvana in uno degli ultimi concerti che hanno fatto, ho visto gli Alice in Chains, David Lee Roth, numero uno in assoluto.

[N] Io ho visto Eugenio Finardi al Mac2 a Castelfranco Emilia, eravamo in cinquanta, con Demo Morselli che suonava la tromba. Lui presentava un disco che si intitolava Millennio, eravamo in pochi, tutti seduti e ha fatto un concerto meraviglioso. Un bellissimo concerto all’Arena di Verona è stato John Denver, uno dei massimi esponenti della country music anni ’60 e ’70. Poi il mio amico Sting sempre all’Arena di Verona.


[M] Fra i miei concerti essenziali ci sono Anthrax e Public Enemy, una delle cose più belle dell’universo. Un altro concerto chiave è stato quello dei Not Moving al Celebrità di Pavia. Loro erano di Piacenza, una band post punk che per una serie di casini – allora tagliarsi con le lamette faceva molto punk – fece arrivare la croce verde che li portò via. Poi i Kiss, nel concerto al Forum di Assago con gli occhiali 3D. Infine il concerto che non ho mai visto, quello dell’85 di Springsteen a San Siro. Io ero con la mia fidanzata dell’epoca e avevo un biglietto solo, sperando di trovarne un altro da un bagarino ma costavano troppo. Alla fine ho investito tutto sull’amore e sono rimasto fuori con lei. Mi sono perso il concerto del millennio.


Max Nek Renga in tour

3 aprile – Napoli, PalaPartenope
4 aprile – Roma, PalaLottomatica
6 aprile – Roma, PalaLottomatica
7 aprile – Ancona, PalaPrometeo
11 aprile – Bari, PalaFlorio
12 aprile – Taranto, PalaMazzola
16 aprile – Conegliano (Treviso), Zoppas Arena
18 aprile – Bologna, Unipol Arena
19 aprile – Milano, Mediolanum Forum
20 aprile – Milano Mediolanum Forum
28 aprile – Arena di Verona
30 giugno – Barolo (Cuneo), Collisioni Festival
13 luglio – Locarno (Svizzera), Moon & Stars Festival
14 luglio – Lucca Summer Festival


Ascolta Max Nek Renga – Il Disco in streaming

Share: