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Eugenio Finardi: il nuovo spettacolo è “Finardimente” – Intervista

Eugenio Finardi è attualmente in tour con un nuovo spettacolo, “Finardimente”, che ha fatto una (doppia) tappa al Blue Note di Milano

Autore Federico Durante
  • Il17 Gennaio 2018
Eugenio Finardi: il nuovo spettacolo è “Finardimente” – Intervista

Eugenio Finardi

Finardi: sì, ma quale? Il cantautore milanese è italiano e americano, lirico e blues, elettrico e acustico, quello di Musica Ribelle e quello di Fibrillante. Quale di questi Finardi è quello che noi vogliamo? A tenere insieme un’identità pirandelliana c’è la storia umana e artistica di un musicista che ha scritto una parte importante della musica italiana degli ultimi quarant’anni. Finardimente è lo spettacolo teatrale che racconta quella storia. Parallelamente allo spettacolo elettrico – 40 Anni di Musica Ribelle, che lo ha impegnato negli ultimi due anni – Finardi porta nei teatri italiani un nuovo concerto-racconto in formazione semiacustica. Le prossime date sono: 20 gennaio al Teatro Di Benedetto di Policastro Bussentino (SA) e 24 febbraio all’Auditorium Modigliani di Iseo (BS).



Non è la prima volta che fai uno spettacolo musicale nei teatri. Quando hai cominciato?


È l’evoluzione di qualcosa che c’è sempre stato: la possibilità di affrontare un pubblico in una formazione ridotta. La prima volta fu per un tour che si chiamava Acustica, nel ’92. Nacque dal fatto che mi ero rotto il malleolo peroneale facendo parapendio. Quindi non potevo fare uno spettacolo rock. Costretto dalle circostanze, il mio manager di allora ebbe l’idea di fare questa specie di unplugged. Acustica girò per tre anni e diventò un disco. Cominciai a scrivere piccoli testi, che in genere si sviluppano in corso d’opera nelle prime cinque o sei date. Tengo molto al fatto che lo spettacolo non sia recitato ma naturale e dettato anche dal pubblico che ho davanti. Se lo faccio in un chiostro ad Assisi sarà diverso rispetto al capannone di una fabbrica a Mirafiori – e sono capitate entrambe le cose. Così cominciai ad avere un doppio spettacolo: quello elettrico, rock, e quello acustico. La novità di quest’anno è che non ci sono più le tastiere. Facciamo un salto nel buio, perché le tastiere ti danno una certa sicurezza sonora.

Che tipo di formazione ci sarà?


Violoncello, chitarra (spesso elettrica), percussioni (sia elettroniche che acustiche). Io suono la chitarra acustica. Dopo la prima prova fatta a Ferrara abbiamo deciso di inserire anche il basso, sia perché mancava un po’ il “fondo” sia per rendere il violoncello uno strumento puramente melodico, una seconda voce. Il violoncello ha esattamente il mio range vocale, quindi permette anche di armonizzare con la voce.

I tuoi pezzi hanno sempre avuto una sezione ritmica molto importante e di alto livello. In che modo pensi di trasmettere al pubblico l’anima delle tue canzoni con una strumentazione di questo tipo?

In realtà io sono sempre riuscito ad avere tutti e due i lati: pezzi estremamente “lirici”, quasi delle arie, e pezzi rock. Quindi mi adatto alle formazioni. Ultimamente mi sono innamorato della musica latino-americana, per cui ci saranno anche delle sorprese. Patrizia, che è un lento per eccellenza scritto per pianoforte e batteria elettronica, è diventato un pezzo quasi dance. Lo spettacolo inizia invece con Musica Ribelle praticamente folk, come peraltro era stata scritta in origine. La scrissi su un tipico arpeggio alla Jorma Kaukonen dei Jefferson Airplane. Lo spettacolo elettrico che ho fatto in questi ultimi anni – e che tuttora porto in giro – va avanti parallelamente. Col passare del tempo ho un po’ superato il semplice ruolo di cantante, non diventando un attore ma un narratore o un commentatore.



C’è una narrativa che lega il primo brano all’ultimo oppure è più semplicemente un concerto unplugged?


In questi ultimi due anni ho portato avanti un progetto, quello del cofanetto dei 40 Anni di Musica Ribelle, che nasce dall’aver trovato i nastri originali. Abbiamo trovato l’archivio della Cramps, con tutto un faldone di fotografie, che era a Vicenza. Alfred Tisocco, figlio dell’editore della Cramps, aveva questo magazzino pieno di immagini, materiale d’epoca, articoli, prove di stampa, e c’erano anche i 16 piste originali di dischi come Sugo.

Com’è stato ritrovare questi materiali?

È stata un’emozione, come quei profumi e quei sapori che bypassano la corteccia cerebrale e vanno direttamente all’amigdala. Per esempio passi davanti a una finestra in cui stanno facendo un soffritto e di colpo ti ricordi tua nonna. I ricordi hanno questa capacità di proiettarti istantaneamente in quella situazione. Trovare questi nastri mi ha portato lì, in quella sala di incisione a Cologno: era quello che sentivamo in cuffia in quel momento. Ho potuto rivivere il momento in cui stavamo registrando quelle parti, con tutti i nostri commenti di allora. Il sentimento che mi è venuto è stata un’enorme tenerezza, come quella che ora provo per i miei figli. Mi ha anche fatto pensare: “Che cosa provo io rispetto a questo?”. Il problema non è solo com’è cambiata la realtà della musica in quarant’anni, ma come sono cambiato io. Da sempre sono stato di professione Finardi. Le persone vengono a teatro per vedere quello che loro immaginano: c’è chi vuole il Finardi di Musica Ribelle, chi quello di Fibrillante e così via. Vado a suonare in un centro sociale e faccio un concerto completamente rock; ma poi c’è il Finardi che ha cantato alla Scala con un ensemble di musicisti classici. Io mi sento tutte queste cose e nessuna di queste: una cosa pirandelliana. “Finardimente” vuol dire: alla maniera di Finardi; la mente di Finardi; ma anche Finardi mente. E mente per forza, perché se tu ti sei fatto un’idea di lui, sicuramente un’altra parte di Finardi è una menzogna. Uno che mi ama per le mie canzoni d’amore poi sente il blues e dice: “Ma come, mi hai mentito!”.

Nello spettacolo suoni, oltre ai classici, anche brani mai interpretati. Per esempio?


Canzoni che non faccio da un po’, che non ho quasi mai fatto, che non ho mai suonato dal vivo se non nei tour di allora. Ci sono pezzi come Il Vecchio sul Ponte, che i miei fan hanno sempre amato molto. Il disco uscì nel 1991 e il pezzo parla di un uomo che è rimasto vedovo, un uomo che potrebbe anche essere più vecchio di me adesso. In alcune mie canzoni c’è una preveggenza di quello che avrei poi sentito: sono brani che mi rappresentano adesso ma che sono di trent’anni fa. Un’altro è Mezzaluna, che ho scritto durante i giorni della prima guerra del Golfo. Fu lo spartiacque fra il prima (il crollo del muro) e l’inizio della storia che viviamo adesso, con il Medio Oriente che è diventato un centro nevralgico. È strano come nel momento in cui stava succedendo mi sia stato ispirato qualcosa che adesso è assolutamente comprensibile.

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