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L’economia dello streaming: la posizione di FIMI

Di recente si è tenuto alla Cattolica di Milano un convegno che tratteggiava un ruolo “cannibalizzatore” dello streaming. Riceviamo e pubblichiamo la replica della Federazione Industria Musicale Italiana

Autore Billboard IT
  • Il19 Febbraio 2024
L’economia dello streaming: la posizione di FIMI

Foto di Wesley Tingey / Unsplash

L’avvento dello streaming ha completamente trasformato l’industria musicale. Negli ultimi anni questa ha subito modifiche strutturali nei suoi modelli di business. Pur tenendo costantemente al centro gli artisti – tutelandone ogni aspetto, da quello creativo a quello economico. Tra le critiche mosse verso questa nuova economia, emerge quella sull’impatto residuale dello streaming sui redditi, sia in senso assoluto che proporzionale degli artisti.

Artisti e cantautori ricevono di più nell’era dello streaming di oggi rispetto all’era del CD e del vinile – più dei maggiori ricavi del settore. Un’analisi di IFPI (International Federation of the Phonographic Industry) mostra che tra il 2016 e il 2021 la remunerazione degli artisti è aumentata del 96%, a fronte di un aumento del 63% dei ricavi delle case discografiche nello stesso periodo.

L’analisi IFPI conferma inoltre che la quota di fatturato degli artisti è cresciuta del 20,2%. Ha raggiunto il massimo storico del 34,9% del fatturato globale nel 2021. Questa tendenza emerge anche da altri studi e rapporti recenti. Tra questi, l’IPO del Regno Unito, il CMA Music and Streaming Market e il Loud & Clear Report di Spotify

Nel 2023 lo streaming ha dominato incontrastato i consumi italiani. Sono stati oltre 71 miliardi gli stream – comprensivi di premium e free – con una crescita del 15.9% rispetto all’anno precedente. Inoltre, a superare la soglia dei 10 milioni di streaming (premium e free) sono stati 793 album. Un importante risultato che segna 235 titoli in più rispetto al 2022. Si tratta di uno scarto sorprendente rispetto ai risultati del decennio precedente. Nel 2012 solo 137 album (corrispondenti a 92 artisti) avevano infatti superato l’equivalente soglia delle 10mila copie vendute (fisico più download).

Lo streaming sta inoltre consentendo a molti più artisti rispetto all’era del CD di prosperare. Nel 2022 i dieci artisti più forti (top 10 classifica di vendite) rappresentavano solo l’1,5% del mercato dello streaming audio in Italia. Il 76% dei volumi sono infatti occupati dai brani che ricoprono dalla millesima posizione in giù (dati GfK Italia per FIMI).

All’accusa di una diffusa fragilità economica dei musicisti, si dipinge uno scenario in cui il panorama dello streaming è più competitivo che mai:

  1. Alla fine dello scorso anno sui servizi di streaming erano disponibili 184 milioni di brani musicali (fonte: Luminate tramite Music Business Worldwide)
  2. Ogni giorno vengono aggiunte 120mila tracce ai servizi di streaming (fonte: Luminate)
  3. 158,6 milioni di brani hanno ricevuto ciascuno mille riproduzioni o meno sui servizi di streaming audio nel 2023 (fonte: Luminate tramite Music Business Worldwide)
  4. 45,6 milioni di brani non hanno ricevuto alcuna riproduzione nel 2023 (fonte: Luminate tramite Music Business Worldwide)

Quindi, mentre gli artisti firmati con le etichette registrano entrate più elevate che mai, non tutti gli artisti che utilizzano un servizio di streaming vedono il successo commerciale dello streaming. Ciò non è dovuto al mercato, ma alla “democratizzazione” della distribuzione della musica che ha portato alla disponibilità di un volume così grande di musica.

Un recente studio condotto dall’Ufficio per la proprietà intellettuale del Regno Unito (“Music Creators’ Earnings in the Digital Era”) ha rilevato che tra il 2008 e il 2019 gli artisti e i cantautori hanno visto i ricavi crescere a un ritmo più elevato rispetto a quelli delle etichette. Will Page, economista e autore del libro Tarzan Economics, ha scoperto che il valore dell’industria discografica ed editoriale è più grande che mai, che i cantautori e gli editori hanno aumentato la loro quota sulla torta delle maggiori entrate di oltre il 50%.

Un’altra emergenza riguarderebbe la protezione dell’artista, messo di fronte a una diffusa inadeguatezza di tutele contrattuali rispetto ai diritti streaming. Ma che i contratti degli artisti siano obsoleti e basati sull’era fisica non è plausibile. C’è competizione tra le etichette per i migliori talenti, in uno scenario in cui gli artisti hanno più scelta che mai su quale etichetta firmare. Questo si riflette nei contratti moderni. Spetta all’artista decidere come desidera collaborare con una casa discografica, dai semplici accordi di distribuzione musicale alle partnership creative e commerciali più strette.

Anche le etichette discografiche hanno apportato importanti modifiche con lo sviluppo dei mercati dello streaming. Ad esempio, le etichette hanno annunciato che condivideranno i ricavi derivanti dalla vendita di partecipazioni azionarie nei DSP e che inizieranno a pagare royalties per il vecchio repertorio indipendentemente dal fatto che le registrazioni vengano recuperate.

Il CMA Market Final Report del governo inglese riporta che “Ci sono prove che le condizioni contrattuali a disposizione degli artisti (anche delle major) stanno migliorando in media. I tassi di royalty stanno aumentando. Sempre più alcuni accordi possono prevedere impegni più brevi (ad esempio per singole tracce invece che per album) e/o termini di copyright più brevi (se assegnati o concessi in licenza)” (fonte: CMA Market Final Report pagina 44, paragrafo 2.67).

Inoltre la media dei tassi di royalties nei principali accordi con i nuovi artisti è aumentata dal 19,7% nel 2012 a una media del 23,3% nel 2021. Per i cantautori, la quota di ricavi destinata ai diritti di publishing è aumentata significativamente dall’8% nel 2008 al 15% nel 2021 (fonte: CMA Market Final Report, paragrafo 3).

Sono stati presi in considerazione anche gli artisti con contratti a lungo termine, risalenti all’era pre-digitale. Negli ultimi anni Sony Music, Universal Music e Warner Music hanno lanciato programmi che le hanno viste ignorare i saldi non recuperati sugli artisti legacy. Nel 2022 Warner Music Group ha lanciato un programma di anticipi non recuperati. Ciò significa che non applicano più anticipi non recuperati ai futuri guadagni da royalties di artisti e autori che hanno firmato con la major prima del 2000 e che non hanno ricevuto un anticipo durante o dopo il 2000. Nel suo primo anno, il programma ha visto beneficiare di circa 4.500 artisti e relativi produttori a livello globale. È stato anche avviato il processo di contatto dei cantautori Warner Chappell Music che potrebbero trarre vantaggio da questo programma, oltre 1.600 a livello globale.

Alla richiesta di un sistema più chiaro di rendicontazione degli stream, si segnala che ad oggi c’è più trasparenza che mai rispetto al passato grazie agli investimenti delle case discografiche nei loro sistemi di gestione di un volume senza precedenti di dati che ricevono dai servizi di musica digitale. Come risultato di questo enorme investimento e attraverso innovazioni come i portali online, gli artisti e i loro team di gestione sono in grado di visualizzare le loro royalties e altri flussi di reddito spesso in tempo reale.

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