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I Blink-182 a Bologna sono stati un tuffo nei 20 anni (magari non nostri)

All’Unipol Arena l’unica data italiana del trio californiano. Travis Barker, Marc Hoppus e Tom DeLonge fermano il tempo con la loro eterna adolescenza per uno show minimalista e festoso

Autore Billboard IT
  • Il7 Ottobre 2023
I Blink-182 a Bologna sono stati un tuffo nei 20 anni (magari non nostri)

Blink-182 a Bologna, foto di Massimiliano Lorenzin

I Blink-182 in concerto a Bologna sono stati un tuffo nei 20 anni (degli altri). Io pensavo che all’Unipol Arena avrei trovato solo ultra quarantenni come me con la nostalgia del punk californiano, gente che sul finire degli anni ’90 infilava a fatica la cassetta di Enema of the State nello stereo della 127. Invece l’unica data italiana dei Blink-182 a Bologna è stata tutt’altro. Tutti col telefonino in mano appena calano le luci, pronti a pogare al primo accenno di batteria, disposti a spendere 45 euro per la maglietta ufficiale (anche se devo ammettere che quella personalizzata con la statua del Nettuno è una mossa di marketing notevole). Carichi per presentarsi alle 17 e assicurarsi i posti migliori in platea.


Io arrivo all’ultimo, in contemporanea con Zerocalcare, con la sottile differenza che a lui chiedono autografi e selfie, a me se sono in cerca di un eventuale figlio. Chi non è vecchio sono – sorprendente – i Blink-182, che ieri hanno pubblicato un nuovo video ispirato ai Ramones. Travis Barker picchia su quella batteria con l’isteria di un ragazzino e la consapevolezza di un Dio dell’Olimpo. Mark Hoppus saltella attraverso il palco come se fosse un 1994 qualunque, e Tom DeLonge… beh, Tom ha il proverbiale cappellino all’indietro e fa solo battute su quanta voglia avrebbe di fare sesso con una bella italiana.


Esteticamente sono incredibilmente credibili. Temevo avrei trovato sul palco le macchiette un po’ patetiche di quei tre ragazzini che ammiravo seminudi su Mtv, avevo il terrore che sarebbero suonati anacronistici, antichi, fuori tempo massimo. Invece un muro di suono mi travolge e attraversa fin dalla prima canzone. La batteria ha da sola il volume di un rave e suona precisa e ritmata come una mitragliatrice.

Il secondo pezzo è The Rock Show, così, per non rispamiare nulla alla platea brulicante di mani al cielo e telefonini. Sull’impalcatura sonora prodotta da Travis, si appoggiano le note del basso di Marc, insieme al suono inconfondibile della chitarra di Tom. I due si alternano a cantare e a sparare stronzate tra un pezzo e l’altro “Fuck the Beatles” dice uno, “Fuck nel senso che vorremmo tornare indietro nel tempo e fare sesso con Paul McCartney e John Lennon”, gli fa eco l’altro. Tra un pezzo e l’altro infamano altri paesi – “Siete molto più caldi voi della fottuta Spagna” – e raccontano aneddoti su come sono nate le canzoni.

Hoppus racconta anche del tumore

Prima di intonare Adam’s Song, Hoppus fa riferimento al linfoma al quarto stadio che gli è stato diagnosticato qualche anno fa: “Non sapevo se ce l’avrei fatta, questa canzone mi ha salvato la vita. E stasera voi me la salvate per la seconda volta”. Il momento forse più emotivo dell’intera serata, insieme a quello in cui la platea continua a cantare all’unisono I Miss You a pezzo ormai terminato.

Lo show (organizzato da Live Nation) è minimalista ma festoso: fuochi d’artificio, stelle filanti, fiamme che si accendono intorno a Travis Barker (forse una scelta un tantino macabra viste le gravi ustioni che ha riportato nell’incidente aereo del 2008), che ad un certo punto viene issato insieme alla sua batteria e suona sospeso sulle teste dei compagni per qualche pezzo.

Il finale

Il gran finale è un crescendo di singoli: What’s My Age Again?, First Date con tanto di intro dei Ramones, All The Small Things e Dammit. A guardare i Blink-182 sul palco dell’Unipol Arena si direbbe che il pop punk non è assolutamente morto, anzi, pare stia vivendo una seconda giovinezza proprio come Travis, Marc e Tom. E anche come me e Zerocalcare.

Articolo di Federica Mingarelli

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