Top Story

Ken Loach, la speranza che si affaccia tra gli orrori del mondo

Il maestro del realismo sociale britannico ha presentato al Locarno Film Festival il suo film di commiato, “The Old Oak”. L’abbiamo incontrato insieme allo sceneggiatore Paul Laverty

Autore Billboard IT
  • Il9 Agosto 2023
Ken Loach, la speranza che si affaccia tra gli orrori del mondo

Dopo essere stato in concorso a Cannes, The Old Oak, film di commiato del maestro del realismo sociale britannico Ken Loach, approda in Piazza Grande al Locarno Film Festival.

“The Old Oak” è il nome del pub di Durham, nel profondo nord-est dell’Inghilterra, ex comunità di minatori ora affamata e dimenticata dal resto del paese. L’Old Oak si attirerà la rabbia della gente del posto quando il suo gestore, il placido e benvoluto TJ (Dave Turner), accoglierà dei rifugiati siriani appena arrivati in città…

Una storia di smarrimento, svuotata dell’ironia loachiana, che però si affaccia sulla possibilità: la tenera amicizia tra TJ e la rifugiata Yara (Ebla Mari), preludio ad un’improbabile ma non impossibile comprensione reciproca tra le due comunità.

Ne abbiamo parlato con Ken Loach e col suo fidato sceneggiatore Paul Laverty in questa intervista.

intervista Ken Loach - The Old Oak - 1
Ken Loach e lo sceneggiatore Paul Laverty

L’intervista a Ken Loach e Paul Laverty

The Old Oak è un film profondamente drammatico, ma anche pervaso da un sottile e vivido senso di speranza.

Ken Loach
: È così. Volevamo esplorare il vero significato della speranza, che spesso è un concetto molto politico: se hai speranza, maturi la fiducia di poter creare il cambiamento, collettivamente. Se non hai speranza vedi il mondo dominato da leggi immutabili e i nemici sembrano inattaccabili e troppo forti.

Subentra la disperazione, momento in cui l’estremismo trova terreno fertile, arrivano i razzisti, gli immigrati diventano capri espiatori. Si cercano risposte facili e ci si affida a uomini politici spietati che sembrano avere la bacchetta magica. La speranza è necessaria per qualsiasi cambiamento, sociale e non. È politicamente essenziale.

Le musiche di George Fenton, vostro collaboratore di lunga data, seguono questa dicotomia.

KL
: Sì, i suoni di The Old Oak dovevano accompagnare la storia, fatta di persone in difficoltà, disorientate e smarrite dalla geografia o semplicemente da vite invischiate e involute. Persone che però, forse nel momento peggiore, trovavano quella speranza che ho citato, che si affaccia tra gli orrori del mondo e dà la forza di reagire e dare inizio al processo di cambiamento.

George ha trovato la perfetta miscela al pianoforte, apparentemente minimalista ma nel contempo molto intensa. Credo che senza il suo contributo non sarebbero emersi così efficacemente né la malinconia di The Old Oak né il suo acuto possibilista.

C’è una frase chiave, immortalata sul muro del pub “The Old Oak”: when you eat together, you stick together. Mangiare insieme unisce. Il cinema è ancora un rito che unisce?

Paul Laverty
: La bellezza di essere a un festival come Locarno consiste proprio nell’essere al cospetto di qualcosa che in quest’epoca è raro: il cinema come rito collettivo. Non vediamo l’ora di assistere alla proiezione in Piazza Grande, guardare uno schermo enorme e perderci. Andare oltre l’individualità e fondersi in una collettività che segue lo stesso flusso, gli sguardi persi nella stessa direzione. È un’energia che si crea, una sensazione rara in questo periodo, messa tremendamente a repentaglio da molti fattori.

Ed è una minaccia che incombe sia sull’esperienza cinematografica in generale che su molte realtà che la cercano di mantenere viva: piccoli festival, cinema indipendenti, luoghi di cineforum e dibattiti. Le conseguenze ricadono su generazioni di studenti che avranno sempre meno opportunità di percepire il cinema in questa modalità collettiva. Ma, ancora una volta, proteggere questo sistema o lasciarlo morire è una scelta politica.

C’è ancora spazio per un cinema sovversivo?

KL
: Il margine di espressione libera è sempre più sottile. Noi autori vediamo un pubblico, chi detiene il potere vede clientela. Noi vediamo un messaggio, loro vedono incassi.

Il cinema dovrebbe essere come una libreria ed una buona libreria è diversificata, con scaffali per ogni argomento. Il cinema va invece sempre più nella direzione contraria, diventa una libreria piena di romanzi scadenti e innocui. E le piattaforme di streaming acuiscono questo problema, perché offrono prodotti basati su formule, algoritmi, spesso nemmeno efficaci. Niente che possa scuotere lo spettatore o che possa creare una piccola rivoluzione.

Però non voglio proiettare pessimismo sul futuro. Vedo giovani registi che hanno il coraggio e la rabbia che avevo io all’inizio della carriera, se non di più. Sono solo tempi più complicati, in cui queste qualità non bastano: serve anche la fortuna e un’opportunità che sempre meno produttori, emittenti e piattaforme offrono. Si premia più una storia vendibile che una storia viscerale. Ma come dicevamo all’inizio, la speranza è tutto.

L’intelligenza artificiale è una piccola rivoluzione o una grande minaccia?

KL
: A prima vista è un oceano di opportunità, e in effetti le potenzialità sono infinite. Ma ho paura che in pochissimo tempo verrà controllata, privatizzata, trasformata in un meccanismo che possa fruttare profitto e parallelamente credo che si inaridirà a livello di potenziali applicazioni. Sta a voi resistere. La rivoluzione avviene se ci si frappone tra il mezzo giusto e il fine sbagliato.

Articolo di Luca Zanovello

Share: