Interviste

L’altrove sonoro dei C’mon Tigre, aspettando “Racines”

Prendere suoni tradizionali per farne qualcosa di completamente innovativo: i C’mon Tigre raccontano il nuovo album “Racines”, un altrove sonoro che sfugge a qualsiasi classificazione di genere

Autore Federico Durante
  • Il31 Gennaio 2019
L’altrove sonoro dei C’mon Tigre, aspettando “Racines”

C'mon Tigre (fonte: ufficio stampa)

Contaminazione. Poche volte questo termine è stato così adatto per riassumere in una parola la musica di un artista. Nel nostro caso l’artista è il duo italiano C’mon Tigre e la musica è quella del loro nuovo album di prossima uscita, Racines, fuori il 15 febbraio per BDC / !K7. Jazz, ambient, world music, trip hop, rock alternativo, una spolverata di soluzioni electro, mondo delle colonne sonore. Europa, Mediterraneo, Africa, Medioriente. Racines è tutto ciò e niente di questo, un altrove sonoro dove l’unica regola è la libertà di sperimentare. “Radici”, sì, ma un’attitudine tutta cosmopolita e saldamente ancorata al presente.

Seguendo la scia dell’album d’esordio eponimo del 2014, Racines intende stringere ancora di più il connubio fra musica e immagine. L’album uscirà sia in formato CD sia in una versione in doppio vinile più libro che ad ogni brano accosta un particolare universo visivo. Gli artisti coinvolti sono i fotografi Harri Peccinotti e il serbo Boogie, il pittore Mode 2, lo street artist Ericailcane, e ancora Shigekiyuriko Yamane, Stefano Ricci, Maurizio Anzeri, Sic Est, oltre al pittore Gianluigi Toccafondo e al fumettista croato Danijel Žeželj (con cui avevano già collaborato), senza contare i numerosi ospiti musicali.

C'mon Tigre - Racines - 3

Mi pare che a livello di produzione vi piaccia mischiare analogico e digitale. Che tipo di strumentazione avete usato per la registrazione di Racines?

La zona in cui siamo cresciuti ha vantato per decine di anni un’importante produzione di strumenti musicali. Si può dire che negli anni ’70/’80 era uno dei luoghi più importanti, che esportava strumenti in tutta Europa, marchiandoli con altri nomi. Facile per noi è stato reperire vecchi organi, pianoforti elettrici, microfoni, primissime drum machine, strumenti andati fuori produzione, e riuscire magari a farli sistemare da vecchi tecnici in pensione.

Nel tempo siamo forse diventati degli amanti di questo tipo di ricerca timbrica e sonora, selezionando gli strumenti con cui avevamo più affinità tra tutti quelli che ci passavano tra le mani. Senza il feticismo da collezionisti, lo strumento non va tenuto: va suonato. Per cui se ti accorgi che lo stai trascurando, tanto meglio che lo suoni qualcun altro. Rispondendo alla tua domanda, questa è la base analogica che ci siamo ritrovati in eredità, e che viene mescolata col digitale per il semplice motivo che ci troviamo a far musica nel terzo millennio. Sarebbe anacronistico non mettere le mani sul digitale, non siamo dei puristi. La nostra attenzione è sulla composizione, senza imporci più limiti di quanti il nostro cervello non faccia già da solo.

È anche un album con una dimensione collaborativa molto marcata. Ci raccontate il lavoro fatto con gli artisti che avete coinvolto?

Il lavoro più grande che abbiamo fatto noi è stato quello di tenere insieme i frammenti. Abbiamo sentito una grande componente visiva nelle tracce a cui stavamo lavorando e abbiamo assecondato l’intuizione. Molti degli artisti che hanno lavorato su Racines sono amici. Una condizione fondamentale per C’mon Tigre è quella di muoversi tra i primi due gradi di separazione. Ci siamo quindi limitati a coinvolgere gli artisti giusti per ognuno dei dieci brani, dando loro solo qualche appunto oltre alla musica e lasciando piena libertà di intervento. Questo succede anche per la musica.

Ci sono dei modelli musicali “sperimentali” di oggi che seguite con particolare attenzione?

Nessun modello sperimentale: scriviamo canzoni. Se risultano complicate al punto da essere definite sperimentali, è solo perché abbiamo un cervello incasinato.

Racines mette insieme suggestioni sonore molto eclettiche: ci sono il Mediterraneo, l’Africa, il Medioriente, uniti a un approccio ora electro ora legato al mondo delle colonne sonore. Qual è la sua “geografia” musicale?

C’è una scelta di cuore che ci lega al Mediterraneo da che siamo vivi e c’è una scelta di intelletto che ci spinge a voler unire i puntini di un disegno più ampio. Come unire le esperienze di una vita. La curiosità ci ha portato a stare molto fuori casa. Così accade che quando racconti una storia ci metti un po’ di tutto quello che ti ricordi di aver vissuto. Le influenze di questo secondo disco sono ancora più sottili e distanti fra loro.

Qual è il vostro rapporto con la forma-canzone?

Se una canzone funziona, la forma per noi conta poco. Una canzone è un racconto, se la sua forma migliore è la forma-canzone tipica, va bene. Non siamo molto orientati a quel tipo di scrittura semplicemente perché ci manca un’attitudine spontanea a farlo. In parte quel modo di lavorare ti limita a rimanere all’interno di una strada tracciata e a noi invece piace perderci nei sentieri laterali. Come quando vai a raccogliere le more e i piccoli frutti nel bosco.

Pensate che il vostro modo di fare musica sia anche figlio di un mondo free jazz?

Non troppo, non siamo così vicini al free jazz. Sta senz’altro tra i nostri ascolti, ma la tendenza che abbiamo avuto finora è di dare struttura a ciò che scriviamo. Per delle parti ritagliate e specifiche possiamo attingere dal free jazz come da altro. Succede spesso in alcuni frammenti dal vivo ad esempio, ma nulla di più.

La vostra musica evidentemente non si limita al solo mondo italiano. Avete obiettivi o progetti in ambito internazionale?

In Racines sono stati coinvolti molti artisti e musicisti internazionali. È inevitabile che il respiro sia più ampio, e questa è una benedizione. Di sicuro l’intenzione è di non rimanere confinati in uno spazio. Se scrivi in inglese l’ambito a cui ti rivolgi è ovviamente sbilanciato al di fuori dell’Italia, ma questo non significa che l’Italia venga considerata a un livello differente. Il progetto è di continuare su questa linea, di intensificare le collaborazioni e di lasciare che le cose accadano.

C'mon Tigre - Racines - 2

Prossime date dal vivo

  • 22 febbraio – Bologna, TPO
  • 28 febbraio – Milano, Santeria Social Club
  • 9 marzo – Roma, Monk
  • 10 marzo – Terlizzi (BA), MAT
  • 14 marzo – Torino, Hiroshima Mon Amour
  • 15 marzo – Padova, Hall
  • 22 marzo – Brescia, Latteria Molloy
  • 23 marzo – Firenze, Auditorium Flog
  • 29 marzo – Ravenna, Bronson

Racines – Tracklist

  1. Guide to Poison Tasting
  2. Gran Torino
  3. Underground Lovers
  4. 808
  5. Behold the Man
  6. Paloma
  7. Quantum of the Air
  8. Racines
  9. As Tu Été À Tahiti?
  10. Mono No Aware 物の哀れ
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