Mocci, Futura e Fiasko Leitmotiv sono davvero la “Crème of Talents”
Tre progetti diversi ma accomunati da talento, passione e freschezza della proposta artistica. In attesa di vederli dal vivo a Linecheck, incontriamo i vincitori del contest di Billboard Italia e La Crème Records
A fine giugno Billboard Italia e La Crème Records lanciavano il contest “Billboard Calls Crème of Talents”. In palio, veri e propri contratti discografici con la label, oltre a opportunità di live durante la Milano Music Week e tanti contenuti sulle piattaforme online e offline di Billboard Italia (fra cui la digital cover story che state per leggere).
Cinque mesi e oltre cinquecento candidature dopo, ci siamo. La redazione di Billboard Italia e il team de La Crème Records hanno lavorato fianco a fianco per scremare (il gioco di parole è voluto) i progetti più notevoli e passare alle fasi finali. Prima l’annuncio dei dieci finalisti, ora quello dei tre vincitori assoluti di Billboard Calls Crème of Talents: si tratta di Mocci, Futura, Fiasko Leitmotiv.
Sono tre progetti diversi: rispettivamente un pop melodico con venature urban, un soul/R&B contemporaneo cantato in italiano, uno stile di ascendenza post-punk; c’è chi ha già all’attivo un percorso in studio e sui palchi e chi è alle primissime tracce pubblicate sulle piattaforme digitali. Ma sono tutti accomunati da talento, passione e freschezza della proposta artistica.
In attesa di vederli dal vivo a Linecheck giovedì 21 novembre (qui tutti i dettagli sul programma degli showcase), li abbiamo incontrati per conoscere più da vicino questi giovani artisti che a modo loro rappresentano davvero una “Crème of Talents”.
Mocci
Matteo Mocci, in arte semplicemente Mocci, nasce a Modena nel 2005. La passione per la musica è presente fin dall’infanzia, con la curiosità e la voglia di realizzare il suo sogno un giorno e diventare un cantante e songwriter. Da qualche anno ha iniziato a sentire l’esigenza di avere qualcosa da raccontare attraverso la sua voce. Per questo ha iniziato a scrivere i testi delle sue canzoni.
Il brano che ha presentato a Billboard Calls Crème of Talents si intitola Il Mare della Grecia. Per quanto riguarda la sua realizzazione, ha lavorato da autore, componendo testo, linea melodica del cantato ed eseguendolo vocalmente. La produzione, mix e master del brano sono invece stati curati da See Maw (Simone Sacchi). La registrazione è avvenuta presso lo studio Canova di Milano.
Il Mare della Grecia, il pezzo presentato a Billboard Calls Crème of Talents, ha un sound in cui elementi molto tradizionali della canzone italiana si legano a un approccio molto fresco, quasi urban, senza che una parte snaturi l’altra. Raccontaci il lavoro di produzione che è stato fatto.
Volevo che si mescolassero influenze contemporanee – che sono date da una parte dei miei ascolti – e un aspetto più classico, che magari si distacca un po’ dal sound più moderno. Alla produzione e al mix ho lavorato con See Maw. Ci siamo concentrati sulla natura del testo e abbiamo cercato di accompagnarla con un sound che ne riportasse la malinconia ma che avesse anche connotazioni positive. È una canzone riflessiva: è molto personale ma penso che le persone ci si possano rivedere.
Fra l’altro è il tuo primo brano pubblicato sulle piattaforme. Cosa dobbiamo aspettarci dalle future release?
Il pezzo non ha avuto una gestazione veloce. Ce l’avevo nel cassetto da tanto tempo, ci abbiamo lavorato per più di un anno. Non vedevo l’ora che uscisse: come esordio per me ha significato molto. Sono conscio di essere ancora giovane e inesperto, ma ero pronto all’idea che la mia musica venisse ascoltata.
Davide Petrella (celebre songwriter, ndr) dice che “è importante avere una visione”. Io mi sono concentrato molto su questo aspetto. Lo vediamo sempre: ci sono tanti autori e artisti bravissimi che non vengono riconosciuti perché non hanno un progetto abbastanza incisivo. Io vorrei dare una dimensione precisa al mio progetto, trovare una riconoscibilità. Ora voglio divertirmi, ma in modo “ordinato”.
In una nostra precedente intervista hai detto: “La mia passione per la musica nasce da bambino e cresce con me plasmando il mio carattere e i miei valori”. Quali sono i valori che la musica ti ha trasmesso?
La musica è un medium estremamente forte per trasmettere messaggi. La mia generazione è stata fortemente indirizzata dalla musica, che per la sua libertà di espressione fa sì che tu, da ascoltatore, possa decidere i tuoi ascolti, decidere a cosa sei affine.
Ogni album, ogni progetto artistico, se studiato nel profondo, ha dei valori che vengono trasmessi: uguaglianza, libertà, lotta alle discriminazioni… Il mio pensiero, il modo in cui vivo, il modo in cui mi relaziono agli altri sono influenzati da ciò che ho ascoltato. E questa è sempre stata una scelta mia.
Tu dici che “scrivi per combattere la tua solitudine e quella degli altri”. Ci spieghi questo concetto?
Se mi si chiede qual è la mia più grande paura, rispondo “la solitudine”, che per me è anche l’incomunicabilità. Ciò che non riesce ad essere comunicato rischia di passare come qualcosa che non è stato vissuto. Il fatto che la mia musica possa aiutare qualcuno a sentirsi più compreso (come già altri artisti hanno fatto con me) dà un significato molto forte, quasi sacro, a quello che faccio.
Ti sei definito “un cultore del cantautorato femminile”, cosa che – purtroppo – non si sente spesso dire. Chi sono i tuoi riferimenti?
Per qualche motivo il cantautorato femminile mi arriva di più: na determinata cosa detta da una donna ha ancora più potenza che se detta da un uomo. I riferimenti sono tanti e di diverse epoche: Madame (una delle penne migliori che oggi abbiamo in Italia), Ornella Vanoni, Carmen Consoli, Levante, ma anche artiste più emergenti come Maria Antonietta, Ditonellapiaga, Ginevra…
Mi piace spaziare perché c’è una molteplicità di voci che è estremamente interessante e non tanti le danno il peso che merita. Cerco di spaziare anche verso il mercato internazionale: in Francia per esempio il cantautorato femminile è un po’ più riconosciuto.
Uno dei tuoi miti è Mahmood, e infatti si sente molto la sua influenza in un brano come Il Mare della Grecia. Cosa ti ispira particolarmente della sua musica?
Ho un rapporto di amore-odio: quando questa cosa mi viene fatta notare penso che è fantastico, ma anche che di Mahmood ce n’è già uno e allora tanto vale ascoltare lui. Comunque sento molto affine l’approccio che ha verso la musica, il percorso creativo, il modo in cui intende le canzoni. Anche pezzi più introspettivi, non solo le hit come potevano essere Tuta Gold e Soldi. Come trama vocale trovo pochi simili in Italia. Probabilmente se non ci fosse Mahmood la mia musica sarebbe diversa, ma potrei dirlo anche in riferimento a tanti altri artisti che mi hanno stimolato.
Futura
Nata a Bologna nel ‘98, Matilde Benuzzi, in arte Futura, entra a contatto con il mondo della musica a soli 9 anni dedicandosi allo studio della tecnica vocale e del pianoforte, per poi poter comporre la sua musica in autonomia. Nel corso degli anni collabora con alcuni produttori e musicisti della scena bolognese, con i quali inizia un percorso di ricerca e definizione del proprio sound: un insieme dei generi con cui è cresciuta – come il pop, il jazz e il soul – e l’influenza del cantautorato italiano.
Spinta dalla sua grande passione, dopo aver terminato il percorso di studi, decide di dedicarsi al suo progetto musicale e pubblica il suo primo EP, Carta Bianca. Il suo ultimo singolo, Arturo, è un dolce regalo per il fratello minore e anticipa il suo nuovo progetto.
Rispetto ad altri tuoi brani, nel brano che hai presentato a Billboard Calls Crème of Talents, Gesto d’Amore, si fa sentire maggiormente il lavoro di produzione. È un sound che manterrai per le tue future release?
Il mio percorso finora è stato sempre molto strumentale, motivo per cui si sente la differenza da quando ho deciso di sperimentare di più col mondo della produzione. Gesto d’Amore è il brano che sancisce l’inizio di questa nuova fase. Io comunque scrivo sempre partendo da una melodia, da accordi miei, poi porto il brano in studio e mi piace trovare un punto d’incontro col produttore.
In questo caso io e il producer Foi ci siamo trovati molto bene perché abbiamo la stessa visione delle cose. Sono arrivata in studio col brano già scritto e ci siamo chiesti cosa farne. A me piaceva l’idea di avere un groove afro, perché non mi interessava la ballad triste post-breakup. Così siamo partiti da quel tipo di groove e poi abbiamo aggiunto il pianoforte: mi piace mantenere l’elemento analogico nelle mie produzioni.
Comunque rimangono evidenti le tue influenze soul e R&B: è difficile fare questo genere scrivendo e cantando in italiano?
Assolutamente. Il motivo per cui ho iniziato scrivendo in inglese era prima di tutto il fatto che sono cresciuta ascoltando le grandi cantanti americane: ero molto legata molto al loro stile e alla loro vocalità. Ma anche perché trovavo estremamente complicato portare quel tipo di vocalizzi nella lingua italiana. Poi però ho capito che volevo fare quel genere in italiano: perché precludermi di farlo solo perché può essere complicato? Così è diventata una specie di sfida personale, che in realtà mi sta dando molte soddisfazioni.
Paradossalmente era più facile scrivere in inglese anche se non è la mia lingua madre, cosa che peraltro mi ha aiutato a impararlo meglio. Però con l’italiano ho scoperto quante sfumature abbia la nostra lingua, così ho pensato che fosse bello poterla rendere interessante quanto l’inglese facendo questo tipo di musica.
Anche in Italia da qualche anno si sta affermando un filone di quel tipo, da Ghemon e Venerus in giù. Secondo te si può arrivare a una vera e propria scena nazionale?
In Italia da anni vanno molto l’hip hop e la trap, ma credo che in questo momento ci sia un bisogno delle persone di tornare a qualcosa di un po’ più semplice, che arrivi in maniera più delicata. Quando ho iniziato a scrivere in italiano era proprio il periodo in cui stava esplodendo la trap. Allora era difficilissimo far apprezzare un genere come il mio alle persone. Spero che ora sia il nostro momento.
I tuoi grandi miti sono Whitney Houston, Aretha Franklin e Mariah Carey: in che modo queste grandi icone ti hanno influenzata sin da piccola?
Ho sempre ammirato molto la potenza vocale delle loro performance. Ero ossessionata dalla loro precisione. Spesso scaricavo le loro canzoni e le rallentavo per studiare ogni singolo vocalizzo. Per me era incredibile il modo in cui riuscivano a utilizzare la voce, e anch’io volevo avere quella padronanza, usandola come un vero e proprio strumento. È proprio quello che sto facendo ora. I cori che si sentono in tutti i miei brani sono sempre la mia voce. Mi piace stratificarla, al punto da farla sembrare parte della produzione stessa.
Tu hai intrapreso lo studio del pianoforte per accompagnarti nella composizione della tua musica. In che modo questo ha arricchito la tua capacità compositiva e la tua sensibilità musicale in generale?
Il piano sembra uno strumento semplice quando non lo conosci, ma quando lo studi ti rendi conto quante cose ci siano da imparare. Il motivo per cui non ho intrapreso una formazione musicale classica era il fatto che avevo bisogno di imparare le basi per riuscire a comporre in autonomia o semplicemente accompagnarmi. In realtà mi è sempre rimasta la voglia di imparare a suonarlo come si deve: nel tempo libero ci provo, ma è difficile se non sei partito da una formazione classica.
Comunque la svolta che mi ha dato è stata capire come mettere le mani sul piano per creare da zero una melodia su cui poter scrivere, aggiungendo poi tensioni e risoluzioni armoniche. Quindi mi ha fatto capire come trasmettere emozioni non solo attraverso le parole ma anche attraverso gli accordi che scegli.
Fiasko Leitmotiv
I Fiasko Leitmotiv sono una band post-punk formatasi a Milano. Il progetto è nato dall’unione dei due fratelli Filippo e Vittorio Duò (rispettivamente chitarrista e batterista), più Pietro Caloia (cantante) e Orson Moritz (tastierista), a cui si è aggiunto poi Simone Giachetta (basso). Il loro sound è caratterizzato da elementi elettronici, new wave e shoegaze scanditi da ritmi pulsanti e morbosi. chitarre malinconiche e linee di basso ipnotiche sono accompagnate da testi in inglese e in tedesco che esplorano temi esistenziali come il senso di alienazione nella società odierna e l’amore come sofferta partecipazione alla vita. Il brano che hanno presentato a Billboard Crème of Talents è Man on the Moon.
Voi siete nati come band nel 2020, in pieno lockdown. Vi siete ritrovati chiusi in casa insieme e – un po’ per noia, un po’ per divertimento – avete dato vita al progetto. Come sono state quelle settimane?
Filippo: Ci siamo ritrovati a casa di Orson, eravamo in sette chiusi lì per tre mesi. Abbiamo messo su una sorta di studio e abbiamo iniziato a suonare per giorni interi.
Vittorio: Prima del lockdown ognuno aveva il proprio progetto. Io studiavo musica per immagini alla Civica di Milano. Ero più sulla musica per film, musica applicata, musica per teatro. All’epoca mio fratello era più sulla musica elettronica, mentre Orson studiava elettroacustica e computer music in Austria. Provenivamo insomma da tutte queste realtà che magari possono avere molte cose in comune ma a ben guardare sono molto diverse. La prima traccia che abbiamo creato e pubblicato è stata Hanako, e da lì è nato il progetto. Le influenze dei primi brani si possono trovare nel filone che parte da Joy Division e The Cure, poi abbiamo deviato qua e là.
Avete esperienze e gusti molto diversi: in che modo avete trovato nel sound del post-punk un denominatore comune?
Filippo: Molto dipende da chi produce le tracce e dal momento in cu vengono prodotte: magari chi produce una traccia l’ha fatto in un momento in cui ascoltava molto quel tipo di genere e gli altri – anche se influenzati da musiche diverse – dovevano metterci del loro. Magari c’è uno che ascolta più rock ma poi si trova in una traccia più elettronica e quindi porta il suo stimolo in quel progetto. È stata una cosa naturale: non ci siamo messi a tavolino a dire “facciamo una traccia post-punk”.
Orson: È anche l’idea di fare qualcosa con i mezzi che si hanno a disposizione. Essendo attaccati al “medium” elettronico, suonando spesso in studio con i sintetizzatori, abbiamo fatto determinate tracce.
Vittorio: Questo porta anche ad avere un sacco di tracce che non abbiamo pubblicato. Noi tentiamo queste mescolanze, il 95% delle volte viene male ma il 5% esce quella cosa che non ti aspetti e che è più unica di altre tracce. Abbiamo un Dropbox pieno di brani non pubblicati. Fa parte del nostro processo creativo.
I vostri testi sono in inglese e in tedesco, un mix particolare per un gruppo italiano. Quali sono le influenze germaniche sulla vostra musica?
Vittorio: Cantiamo in tedesco anche perché Orson è madrelingua. Conosciamo bene parecchi gruppi Krautrock come i Neu! e i Can, ma anche i Kraftwerk.
Filippo: Nella parte iniziale del progetto c’era anche uno spunto che arrivava dalla techno tedesca. Io e Orson la ascoltavamo molto.
Vittorio: Un concetto di base è che usiamo la voce quasi come fosse uno strumento. Diamo alla voce un testo “ristretto”, così è più facile da incastrare con le parti musicali. Da questo punto di vista l’inglese e il tedesco sono più semplici da inserire nella musica che facciamo, la quale già di suo ha molte influenze straniere. Abbiamo provato a fare cose in italiano ma non abbiamo ancora trovato l’alchimia giusta.
Pietro: Io l’italiano l’ho sempre visto come “prosa”, come qualcosa da leggere, non ho mai trovato troppa ispirazione per la musica. Ed essendo abituati a uscire con testi in inglese e in tedesco, non è facile buttarci dentro una terza lingua.
Avete anche modelli italiani per quel tipo di sound?
Filippo: Sicuramente i Diaframma e i CCCP.
Vittorio: Quando ascoltiamo musica italiana però andiamo più sul cantautorato.
Il post-punk sta conoscendo un grande revival – pensiamo al successo straordinario di band come Idles e Fontaines D.C. Loro come vedono quella scena anglo-irlandese?
Pietro: Filippo e Simone ascoltano molto i Fontaines D.C., io non li sopporto! Nell’ultima settimana non so quante volte me li abbiano citati… Però gli Idles mi piacciono.
Filippo: Su questo c’è molto dibattito fra noi. Io sono andato a vedere i Fontaines D.C. a Monaco perché a Milano erano sold out. Ho cercato di invitare Pietro, ma niente da fare…
Pietro: Perché io sono più punk ignorante, meno raffinato, per cui meglio Idles e Viagra Boys. A parte gli scherzi, sicuramente fa piacere vedere che ci siano band che tornano a far parlare di questo tipo di scena. Ce n’è bisogno.
Simone: Comunque di sicuro questa scena è qualcosa che giova a un progetto come il nostro, che crea hype. Anche perché la nostra volontà è – a livello di sound – di spostarci maggiormente dalla Germania a UK e Irlanda.