Interviste

Tra eccessi e riflessioni, la trap di Ketama126 racconta la vita. La nostra intervista

Esce “Armageddon”: l’album del rapper romano post-pandemia e post-viaggi in Africa, dove lotta a modo suo contro l’ansia e le contraddizioni della società

Autore Silvia Danielli
  • Il3 Giugno 2022
Tra eccessi e riflessioni, la trap di Ketama126 racconta la vita. La nostra intervista

Ketama126 (foto di Alessandro Mancini)

Con teschi, angeli della morte, un mezzo capricorno/uomo che gioca a bocce (con la vita?) in copertina e un titolo come Armageddon è facile immaginare che Ketama126 proprio tranquillo non sia. Invece, il quinto album ufficiale di Piero Baldini (il suo vero nome), che esce oggi a 3 anni da Kety, nasce da un periodo di riflessioni sulla sua vita, post-pandemia e post doppio viaggio in Kenya. Il racconto degli eccessi di Ketama126 c’è sempre, come i problemi che lo attanagliano, ma di certo si allontana da tutti gli stereotipi, come il mostrarsi sempre ricchi e vincenti, e ci indica proprio una nuova via tematica per la trap.

I vecchi amici della Love Gang che si ritrovava (ritrova?) sulla scalinata di Trastevere, la più famosa musicalmente di Roma, ci sono sempre. Come Franco126, Drone126, Pretty Solero, Carl Brave, oltre all’altro rapper romano doc come Noyz Narcos. Poi ci sono anche nomi internazionali come il tedesco Raf Camora, gli spagnoli Kaydy Cain e Yung Beef. La produzione è curata principalmente da Ketama126 stesso e Night Skinny e Kamyar tra gli altri. Ketama126 si aggira nella sala club della sua casa discografica, la Sony Music, ed è perfettamente a suo agio indossando gli occhiali scuri.

Partiamo dal tuo viaggio in Africa: qual è stata la tua reazione quando sei arrivato là e che cosa ti è rimasto?

Tutti da lì volete partire…

Ah, no mi spiace, non volevo farti ripetere le stesse cose!

Tranquilla, immagino che sia la cosa più curiosa, me l’ha chiesto solo il giornalista prima di te. Mi sono subito innamorato appena arrivato anche perché mi sono sempre piaciuti i luoghi esotici. Durante il periodo del lockdown ho capito che sarei potuto andare in Kenya con un amico, quindi piuttosto che rimanere a casa a non fare niente ho deciso di partire. Ci sono tornato quest’anno e in futuro vorrei anche magari riuscire a comprarmi una casetta. Mi ha aperto gli occhi su mondi che non avevo mai visto.

E tornato in Italia cosa hai pensato?

Ho avuto il classico mal d’Africa: finalmente ho capito che cosa intendessero dire. Io credo poi che noi italiani sia particolarmente forte. Quando sono tornato ho capito quanto i nostri problemi sono spesso solo paranoie inutili. Là la preoccupazione è mangiare o trovare un posto tranquillo dove dormire. Quindi da una parte qualcosa di molto più semplice ma comunque, più importante. In quel momento specifico ho capito che i problemi legati al Covid che mi parevano insormontabili in realtà non lo erano.

Riesci a rimanere nel mood di non dare troppa importanza ai problemi più inutili?

Penso che capiti a tutti di sentire l’ansia e di non sapere perché. Deriva dalla società contemporanea. Là – per certi aspetti – se la vivono sicuramente meglio.

Quali sono le tracce di Armageddon più influenzate da questa esperienza?

Tutto il suono del disco ne risente. Per esempio, mentre prima se inserivo delle chitarre erano più distorte e metal, ora sono più caraibiche, mezze reggae e in levare. Ricordano un po’ Santana, se vuoi. Nei testi parlo sempre della mia vita, dei miei problemi e di quello che mi circonda.

Hai ascoltato anche desert rock anche se il Kenya non è famoso per quello?

Sono un fan in generale, ma lì ho ascoltato solo dancehall e afrobeat. Quando ero ragazzino a Roma andava moltissimo la dancehall e a me piaceva un sacco. Quindi quando la risento mi prende subito bene. Ho voluto portare quell’attitudine da ballo in questo disco anche perché volevo creare uno stacco dalla realtà della situazione pandemica.

Non ti annoia mai il reggae?

Be’ dipende dalla situazione! Se stai a Milano dopo 10 minuti ti annoia ma se sei in spiaggia al sole no!

In Benedizione rifletti invece sulla tua situazione prima del successo di questi ultimi anni ma c’è qualcosa che ti manca di quel periodo? Qualcosa invece che sei contento di aver superato?

Ovviamente la più grande fortuna che una persona possa avere è di poter lavorare grazie alla sua passione, nel mio caso la musica. Mi manca la spensieratezza magari: il poter fare musica solo per me, come un gioco, senza aver paura di tradire le aspettative degli altri.

Il rapporto tra voi della 126, la Love Gang, è cambiato?

Va benissimo, sabato ci siamo ritrovati tutti sul palco del Mi Ami e abbiamo cantato Signor Prefetto, il nostro nuovo pezzo. Ci vediamo ancora, magari non con la stessa frequenza di un tempo, però ieri sera per esempio ero con Drone, Franco, Aspe.

Manca solo Carlo (Carl Brave)?

No, no io lo vedo, infatti è in Sparando alla luna insieme a Pretty Solero.

Tu Ketama racconti di eccessi che hai vissuto e continui a vivere. Per molti è solo una posa: ti infastidiscono?

Se avverto questa cosa chiaramente tendo a non ascoltare più. Io sono cresciuto con un’attitudine diversa. Se gli artisti che ascolto fingono almeno lo fanno bene e sono credibili. Il rap non è solo musica, deve raccontare la vita. Se dovevamo fare un genere solo perché suonasse bene allora dovevamo scegliere il pop, la classica, il jazz.

Ascolti i nuovi rapper di Milano da Seven 7oo a Paky?

Mi piacciono un sacco tutti. Mi spiace che su Roma non ci siano dei pischelli in grado di fare lo stesso clamore e gli stessi numeri.

E tu a Milano verresti a vivere?

Ci stavo venendo prima del Covid ma poi è cambiato tutto. Son finito in Africa e ho cambiato progetti!

Ketama126 - Armageddon - intervista (foto di Lola)
Ketama126 (foto di Lola)
In Stop racconti di esserti fermato un momento e di aver capito quanto è bello semplicemente guardare il sole al tramonto: è nata in Kenya?

No, a Ibiza. Il tema è proprio quello: di essere troppo presi dalle proprie preoccupazioni per non rendersi conto di quanto di bello ci circonda. Credo che sia il momento che la trap racconti anche quello, non più della necessità di arricchirsi e basta nella vita ma di godersi il momento.

La trap sta abbandonando i cliché iniziali?

Si sta evolvendo. All’inizio quello che è balzato alle cronache è stato il lato più superficiale, soldi e droga, invece ora rimangono i temi più interessanti.

Chi altro, oltre a te, lo sta facendo?

I ragazzi di Milano di cui parlavamo prima. Affrontano anche nuovi temi magari volgendosi più al rap classico che alla trap. Io cerco di settare dei nuovi livelli musicali questo è il mio obiettivo per ogni album.

Immortale suona piuttosto classico tra le tracce.

Sì mi sono ispirato al sound di Griselda Records, era da un po’ che volevo farlo.

Tuo padre suona ancora con te? E ti dà consigli sulla tua carriera?

Certo, suona il sax in Sotto alla luna sia tenore che baritono. E mi consiglia. Per esempio, di suonare un pezzo live, oppure no. E lo ascolto sempre, anche se sono indicazione bizzarre (come quella di usare il sax baritono!). Magari non riesco a mettere in pratica sempre però a volte sono delle rilevazioni.

È sempre stato così?

Mi ha insegnato a non avere paraocchi musicalmente, a mischiare sempre tutto e a essere curioso.

Dal vivo avrai la band quest’estate?

Non da subito, perché volevo un concerto veloce con il DJ. Ma credo che da quest’autunno ci sarà anche perché il disco l’ho concepito così: perché venisse anche suonato dal vivo.

Quindi l’Armageddon per Ketama126 cosa è?

Non ha nessun riferimento biblico all’ultimo giorno sulla terra. È più uno stato mentale: pensare che ogni giorno può essere l’ultimo, nel bene e nel male.

Questo non ti fa salire l’ansia di cui parlavamo all’inizio?

Un po’ sì. Da una parte fa venire l’ansia ma poi è un invito a godersi il momento senza pensare “oddio domani muoio”.

Ascolta Armageddon di Ketama126

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