Interviste

“Tredici Canzoni Urgenti”, Vinicio Capossela: «Il mio album più corale di sempre». L’incontro con voce, pianoforte e chitarra

Abbiamo incontrato il Maestro che da venerdì sarà in circolazione con il suo nuovo album, ricco musicalmente e liricamente. Per quest’occasione Vinicio ha collaborato come non mai con molti artisti e musicisti

Autore Tommaso Toma
  • Il18 Aprile 2023
“Tredici Canzoni Urgenti”, Vinicio Capossela: «Il mio album più corale di sempre». L’incontro con voce, pianoforte e chitarra

Vinicio Capossela (foto di Guido Harari)

Vinicio Capossela ci accoglie nel suo quartier generale, La Cùpa. La via in cui si trova è un tripudio di profumi asiatici e mediorientali. Si alternano le scure vetrine con file di orologi finto oro e argento con i parrucchieri dagli arredamenti scarni e non manca anche una bella pasticceria a conduzione familiare.

I luccichii, gli aromi e le scritte esotiche che ci lasciamo alle spalle sono come un preludio di quello che accade entrando negli spazi di Vinicio: un luogo magico e accogliente tra vinili, libri, foto, file di cappelli di varia foggia, chitarre appese al muro, un pianoforte e una bella abatjour. Al di là di questa stanza arriva un profumo di caffè dalla zona cucina che pare un elegante speakeasy.

«Che ne dici se vieni qui vicino al pianoforte e parliamo del disco?». Sono le parole magiche che Vinicio Capossela mi dice, l’invito è di quelli preziosi. Non indugiamo in complimenti e ringraziamenti. Ho portato un presente all’artista come si confà con chi chiama una canzone nuova Il Tempo dei Regali, tratta dal nuovo album Tredici Canzoni Urgenti, che esce venerdì 21 aprile su Parlophone per Warner Music Italy.

L’intervista a Vinicio Capossela

Questo album, Tredici Canzoni Urgenti, è uno dei tuoi migliori di sempre. Quest’urgenza si trasforma in musica sublime, un insieme poliforme che sembra spinto da un’ispirazione felice. A volte plani leggero tra le note e godibile, come facevi un tempo. Adesso accade tra un Cha Cha Chaf della Pozzanghera e citazioni cinquecentesche…

Vinicio Capossela sorride, annuisce e inizia a suonare Il Tempo dei Regali. Lo fa in tre quarti, come dice lui: «Il giusto tempo che consente sempre l’abbraccio, con ondulazione comunitaria». Comincia a cantare tutto il brano, che vira verso un finale festoso, suonato senza ansia, ma con urgenza. La frase finale è: “E tutto è stato un regalo”.

La vita davvero è un regalo. Nasciamo e poi diventiamo quello che siamo per incontri, lezioni, eventi avversi e fortunati…

Oggi, in un mondo dove tutto ha un prezzo, il concetto del dono è uno dei più rivoluzionari. Il dono è regalo e un presente, come hai chiamato il tuo cadeau e si diceva una volta. Ed è davvero l’atto del dono un modo per essere presenti, vivi, partecipi.

In generale ho sempre tentato di scivolare dal presente con i miei album. Invece questa volta sono attento alla condizione nella quale noi stiamo vivendo e io mi sento immerso. Credo che una delle caratteristiche di questo tempo è che non ci sia una vera collettività, non di fusione con gli altri ma di essere avviati a una condizione di individualità, di essere atomizzati.

Ecco, il dono rientra in questa condizione di aprirsi oltre il proprio recinto. Poi sai, quando sei a un certo punto del cammino della mia vita ti accorgi che è forse quasi finito il tempo dei regali. Non sai se ce saranno ancora.

Questo tempo di sospensione, di attesa dei regali, è stato ancor più accentuato da una pandemia e ora da una guerra. Il finale festoso del brano è un poco alla Pogues… e si finisce anche a pogare anche noi, se vuoi.

A proposito di pogo, hai inserito un brano nel disco, Divano Occidentale, uno dei miei preferiti, dove citi con quel sound un po’ post punk ma con quel riff orientaleggiante che mi fa ricordare i CCCP di Punk Islam.

Mi fa molto piacere che fai riferimento a questo brano, perché alla fine i CCCP hanno una sotterranea influenza, come altre cose degli anni ’90.

È vero, il riff orientale e la ritmica da drum machine rimandano a Punk Islam. Poi alla fine del brano ho pensato di virare verso un dub anni ’90 e ho chiesto al meglio delle voci italiane di quel decennio nel dub e reggae: Raiz, il meraviglioso sir Skardi dei Pitura Freska e Bunna degli Africa Unite. Messi insieme sono la cosa per me più emozionante del disco.

Ti sei divertito a fare una cosa così nuova?

Assolutamente, soprattutto questa coda finale, perché in quei 50 secondi distingui la fortissima personalità di questi tre grandissimi interpreti.

All You Can Eat It trasuda di suoni dalle paludi per antonomasia della musica afroamericana…

Vinicio inizia a suonare, i tasti del pianoforte sono toccati con forza.

Senti? All’inizio doveva sembrare più un brano di cool jazz à la Jerry Mulligan o Thelonious Monk. Invece grazie all’incontro con Don Antonio questo pezzo è diventato più nero, un rhythm and blues primitivo, swamp, paludoso, che guarda verso il sud degli Stati Uniti.

Vedi, nel mio modo di procedere c’è sempre spazio per la casualità, l’incontro e il caso. Non ho prenotato uno studio. Le canzoni sono nate anche da certe sbandate che determinano la rotta.

Antonio Gramentieri l’avevo conosciuto dopo averlo invitato a un concerto estivo. Non era programmato che ci lavorassi assieme. Invece siamo finiti in un particolarissimo studio a Forlì, completamente analogico, che si chiama “L’amore mio non muore”. Anche La parte del torto è stata registrata lì.

Ci sono musicisti e cantautori americani che hai scoperto o riscoperto ultimamente?

Sono sempre affezionato all’amico Micah P. Hinson. Sono sempre affascinato dal primissimo Dr. John quando era anche The Night Tripper (mitico e seminale il suo album del 1968, Gris Gris, ndr). E non si finisce di riscoprire Bob Dylan.

Vinicio Capossela - Tredici canzoni urgenti - intervista - foto di Guido Harari - 2
Vinicio Capossela (foto di Guido Harari)

Trovo notevole quella coda finale di Staffette in bicicletta dove c’è il featuring con Mara Redeghieri. Canzone dedicata alle donne e all’Italia della Resistenza e del dopoguerra.

A Scandiano c’è un anfiteatro con nomi di donne partigiane che sono così evocativi. Era un’epoca dove si sceglievano di chiamare le figlie con nomi tratti da suggestioni letterarie o da nomi di sante… Nomi che hanno una grande forza, come Zaira, Vanda, Gina, Rina, Rosina, Serafina.

Nel titolo c’è il richiamo alla staffetta, ovvero il passare il testimone che è anche un richiamo alla Resistenza al femminile, un’azione collettiva di “guerra alla guerra” che non andrebbe mai dimenticata.

Musicalmente ho cercato all’inizio di fare una melodia che evocasse la pedalata (inizia a suonare l’incipit, ndr). Se vuoi ci trovi qualcosa della scuola del minimalismo, stile Philip Glass. Poi il brano cambia (il suono del piano si fa solenne, ndr). Diventa quasi un’aria da Festival di Sanremo. Bocelli la potrebbe cantare! E poi anche in Cattive Educazioni la melodia potrebbe finire a Sanremo in concorso! Non si butta via niente, anzi.

Come sei arrivato a collaborare con Margherita Vicario proprio in questo brano che hai accennato al pianoforte adesso, Cattive Educazioni?

Grazie a una mia cara collaboratrice, Benedetta Cappon. È stato un incontro autentico perché oltre a essere un’artista è una sensibile attivista riguardo alle tematiche sociali e civili.

È importante che faccia parte di una generazione più recente. Io sono consapevole che spesso mi raffronto con quelli che erano giovani come me negli anni ’90… Non potevo affrontare la contemporaneità come ho fatto in questo disco senza prendere in considerazione un tema dominante, urgente, come la diversa consapevolezza dei generi, una discussione diversa dal femminismo degli anni ’70. La consapevolezza che riguarda non solo il femminile ma anche il maschile.

Bisogna rieducarsi, per noi di una generazione diversa. Urge farlo, metterlo in atto. Il disco è anche scaturito dall’incontro con una persona più giovane di me, con la quale mi sono confrontato e che in un certo senso mi ha obbligato a scontrarmi con delle pareti che neanche conoscevo di aver di fronte a me.

Per questo motivo il tema dell’urgenza, parola che troviamo nel titolo del disco, è ancor più giustificato.

Certo, anche. Il concetto stesso di urgenza non va di consapevolezza con lo studio, la meditazione. Si va avanti e spesso il significato di una cosa che stiamo cercando non si trova subito, ma anche a posteriori.

Di sicuro non si va da nessuna parte da soli. Questo disco è un lavoro di grande coralità, a partire dagli incontri che ho fatto. L’indignazione, per esempio, deve essere secondo me comunitaria. Non credo di aver mai fatto un lavoro così corale. Ci sono anche musicisti di musica antica.

Come nella deliziosa Gloria all’Archibugio, che si appoggia sul giro armonico di un antico tema musicale cinquecentesco, la folìa.

Vinicio Capossela comincia a suonare il primo giro armonico.

Questo è un basso fisso, una sorta di pre-blues. Poi a in certo punto inserisco un tempo che è più della battaglia. Asso Stefana e Raffaele Tiseo sono con me e abbiamo voluto evocare e creare un ponte con il mondo lussureggiante dell’Ariosto, con i suoi cavalieri. Il drumming è di Zeno De Rossi e al contrabbasso c’è Andrea La Macchia.

Come molti sanno, il tempo dei poemi di Ludovico Ariosto è quello dei combattimenti della cavalleria pesante, con spade, frecce e armature. Poi d’improvviso compare, quasi come arma soprannaturale, l’archibugio o ferrobugio. Un “maledetto ordigno” che l’Ariosto comprende, introducendo un concetto nuovo: l’uccidere a distanza. Dal cannone al drone il passo concettualmente è breve. E inseriamo un tocco di ironia.

L’Ariosto arriva anche qui con un brano folk, Ariosto Governatore.

Vinicio imbraccia una delle sue numerose chitarre appese al muro e comincia a suonare il brano. Canta: “Se il senno è tutto sulla luna, vuol dire che sulla terra non è restata altro che follia”.

Ecco, in questo brano poi ho inserito una viola da gamba che dà quel tocco antico. E se vogliamo finire, c’è un pezzo western che è Dalla Parte del Torto che deve molto a Don Antonio.

Hai deciso la line up per il prossimo tour? Anche se intanto è già sold out il concerto di presentazione del 20 aprile al Conservatorio di Milano…

Non ancora del tutto. Per adesso è una formazione ibrida, compresa una violoncellista, Daniela Savoldi. Ormai ho assimilato anche questa sensazione di delocalizzazione nel registrare i contributi musicali. Per Tredici Canzoni Urgenti non ho mai lavorato in uno studio solo. Quando ho iniziato a fare dischi, Fantini (Renzo, storico manager scomparso lustri fa, ndr) mi prenotava lo studio un paio di settimane e via. Ma si è fatta l’ora di pranzo, che ne dici di andare a mangiare assieme?

Vinicio Capossela - Tredici canzoni urgenti - intervista - foto di Jean-Philippe Pernot
Vinicio Capossela (foto di Jean-Philippe Pernot)

Vinicio Capossela in tour

  • 23 aprile – Riccione, Piazzale Ceccarini 11
  • 25 aprile – Gattatico (RE), Festa della Liberazione a Casa Cervi
  • 25 aprile – Torino, Auditorium Giovanni Agnelli, Lingotto
  • 9 luglio – Fiesole (FI), Teatro romano
  • 13 luglio – Pesaro, Piazza del Popolo
  • 28 luglio – Bra (CN), Parco della Zizzola
  • 29 luglio – Bard (AO), Forte di Bard
  • 2 agosto – Cassano all’Ionio (CS), Armonie d’Arte
  • 3 agosto – Mesagne (BR), Piazza Orsini
Share: