Hip Hop

Mondo Marcio: «L’Italia ama le mode non le culture come l’hip hop»

Nel giorno dell’uscita del suo nuovo singolo Adderall accompagnato dal b-side Idolo, Mondo Marcio riflette su passato e presente. L’intervista

Autore Silvia Danielli
  • Il22 Maggio 2020
Mondo Marcio: «L’Italia ama le mode non le culture come l’hip hop»

Mondo Marcio, foto di Mr Wattson

Mondo Marcio, al secolo Gian Marco Marcello, classe ’86, non è mai stato un artista da ultimo trend del momento. Sempre affascinato dagli Stati Uniti dove torna appena possibile (quando era possibile…), anche oggi, venerdì 22 maggio, il rapper milanese ci ha servito sul piatto un pezzo dal sound molto internazionale come Adderall, prodotto dall’olandese Shroom che ha lavorato con Eminem e J. Cole. Come ha già raccontato – e ha anche anticipato nel teaser in anteprima esclusiva sul nostro sitoAdderall racconta della dipendenza da una storia d’amore tormentata.

E con Adderall, oggi in streaming e in download per The Orchard è uscito anche Idolo, come fosse il suo b-side dei vecchi tempi. Ne abbiamo parlato con Mondo Marcio che sta uscendo dalla quarantena pian piano, un po’ come tutti.


Nella prima parte della quarantena hai detto di essere stato molto produttivo: anche questo brano è stato scritto in quel periodo?

L’ho solo finito durante la quarantena. Avevo in mente l’argomento di cui volevo parlare, poi ho incontrato Shroom in un sushi a New York e ci siamo trovati molto bene perciò mi ha mandato la produzione e ci ho scritto sopra delle rime. Diciamo che la quarantena mi è servita per mettere ancora di più a fuoco il tema e per vederlo con distacco, in prospettiva. È il racconto di un rapporto d’amore molto tormentato. A un certo punto ti rendi conto che finisce perché era destino così.


Mi sembra che non ci siano molti esempi di sound simili in Italia in questo momento, che ne pensi?

La scena italiana mi piace, l’apprezzo. Però in effetti da sempre sono stato influenzato maggiormente dagli Stati Uniti: per questo brano soprattutto da 6Lack, artista che amo molto. Però ho voluto aggiungere delle barre rap belle toste.

Invece chi è un Idolo oggi?

Idolo oggi è tutti e nessuno. Chiunque può esserlo per 15 minuti come diceva Andy Warhol, anzi nemmeno 15 minuti anche 15 secondi, il tempo delle stories su Instagram! Però quando tutti possono essere una cosa quella stessa cosa perde di valore. Vedere che chiunque può diventare famoso senza alcun merito è davvero assurdo.


Non mi mancano i tempi passati ma non posso non avere un occhio critico verso la realtà che ci circonda. Forse è colpa di chi ci ha cresciuto – non parlo di mia mamma – che ci ha inculcato l’idea che potevamo essere tutto ciò che volevamo. Non è così.

Tra oggi e quando hai debuttato a 17 anni nel 2004 (e poi hai raggiunto il grande successo con Dentro alla scatola un paio d’anni dopo) quale è il cambiamento che più ti pesa nella scena musicale italiana?

Non so se ci sia qualcosa che mi pesa particolarmente. Certo io non sono un fan dei trend e trovo che l’Italia spesso sposi più le mode delle culture. Così tutto si uniforma: tutto qui.

Ti piace anche la trap di casa nostra?


Sì, ci sono molti artisti che apprezzo davvero come Capo Plaza, Sfera Ebbasta, Ghali. Però il problema è sempre quello: molti ragazzini che fanno trap raccontano cose che hanno solo visto in video. Magari la mamma gli ha piegato i vestiti fino al giorno prima e parlano di crimini, di trap-house, che è la casa dove si smazza la droga. Sono spesso molto ricchi, con due telefonini a testa e non sanno nemmeno di cosa stanno parlando. Però sono contento lo stesso che si sia diffuso come genere, un rinnovamento ci stava, non si poteva andare avanti con il rap anni ’90.

Oggi ti seguono anche ragazzini?

Sì, di questo sono molto contento. L’ho notato agli ultimi miei concerti: c’erano bambini delle elementari e ragazzi di 30-35 anni.

In Idoli rappi: “Da piccolo, fra, mi toglievo il saluto se arrivavo secondo”. È stato difficile crescere pensando di dover chiedere sempre il massimo a te stesso?


Me lo sono chiesto spesso. Pensandoci adesso credo che mi abbia aiutato impormi tanta disciplina. Quando ero ragazzino non avevo alternative. Mi sono venuti a mancare tanti punti di riferimento tutti insieme, la città dove vivevo e la compagnia di amici che avevo, in pratica la terra sotto i piedi. Dovevo aggrapparmi a qualcosa e ho scelto me stesso. La disciplina mi era necessaria. Certo, credo che sia importante anche imparare a godersi le vittorie che si raggiungono e questo l’ho capito tardi.

Pensi di aver fatto degli errori nella tua carriera che non rifaresti?

Siamo tutti qua per imparare e aggiustarci durante il percorso. Tutti sbagliano, anche Michael Jackson e Michael Jordan lo hanno fatto. Gli unici che perdono nella vita sono quelli che non imparano niente, quelli che credono di avere la verità in bocca e si danno ragione da soli. L’importante è migliorarsi, diventare più saggi possibile.

Ascolta qui Adderall di Mondo Marcio

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