Rock

“Pablo Honey” compie 30 anni: 5 curiosità sul primo disco (brutto?) dei Radiohead

L’evoluzione musicale compiuta dalla band di Oxford nel corso degli anni ha raggiunto vette tali da far impallidire il suo ricordo. Ma è davvero un pessimo album?

Autore Billboard IT
  • Il22 Febbraio 2023
“Pablo Honey” compie 30 anni: 5 curiosità sul primo disco (brutto?) dei Radiohead

Dalla copertina di "Pablo Honey" dei Radiohead

Pablo Honey – primo album dei Radiohead, pubblicato il 22 febbraio 1993 – è considerato quasi all’unanimità il loro disco peggiore. In realtà non è affatto un brutto disco, ma l’evoluzione musicale compiuta dalla band di Oxford nel corso degli anni ha raggiunto vette tali da far impallidire il suo ricordo, trasformandolo in un brutto anatroccolo, pur essendo, tutto sommato, un esordio più che dignitoso: un disco di puro e semplice alternative rock, magari non particolarmente originale, ma comunque pieno di canzoni catchy, capaci di allineare lo spleen lirico degli Smiths e il pessimismo dei Cure ai tempi sfregiati dalle chitarre distorte dei Nirvana, che all’epoca dettavano legge.

Certo, alla luce della sofisticatezza compositiva dei successivi capolavori come OK Computer, Kid A e Amnesiac sembra quasi impossibile risollevare le sorti di questo primo album in maniera oggettiva. Ciò non toglie che lo si possa celebrare lo stesso, perché se non fosse stato per quest’esordio, considerato da molti “zoppicante”, molto probabilmente non avremmo avuto una delle band rock “sperimentali” più importanti del panorama musicale mondiale.


Ecco allora cinque curiosità sull’album più brutto dei Radiohead, che davvero, lo ribadiamo, avercene di album brutti così!

1. Il significato del titolo “Pablo Honey”

Innanzitutto il titolo. Pablo Honey è certamente un titolo che così su due piedi lascia abbastanza perplessi perché senza contesto appare totalmente nonsense. A dire il vero rimane abbastanza nonsense anche conoscendo il contesto, ma almeno se ne comprende un po’ meglio l’origine.

Si tratta infatti di un tormentone di un duo comico – noto come Jerkys Boys – diventato famoso nella scena newyorkese d’inizio anni ’90 grazie a una serie di scherzi telefonici particolarmente pesanti: si andava dalle proposte extraconiugali indecenti ai peni incastrati in mezzo al pianoforte, giusto per dare due coordinate di massima. Alcuni di questi scherzi erano stati registrati e fatti circolare, prima su cassetta e poi su CD, arrivando a vendere la cifra considerevole di 8 milioni di copie soltanto negli Stati Uniti.


Furono i Chapterhouse, band shoegaze di Reading, a passare una di queste registrazioni a Thom Yorke, che ne rimase particolarmente impressionato. “Alcune cose sono davvero malate”, aveva dichiarato in una vecchia intervista rilasciata a Select nel 1993. Uno degli sketch che aveva apprezzato di più prevedeva che uno dei due comici fingesse di essere la madre del malcapitato e iniziasse la telefonata così: “Pablo, honey? Please come to Florida” (“Pablo, tesoro? Per favore vieni in Florida”).

Perché i Radiohead scelsero proprio questo incipit come titolo del loro album d’esordio? Forse perché “forniva la possibilità di alludere allo straniamento indotto dalla pervasività del codice radiotelevisivo”, prova a ipotizzare Stefano Solventi nel suo libro The Gloaming. I Radiohead e il crepuscolo del rock. Ma, visto e considerato che erano dei ventenni agli esordi e non ancora il gruppo maturo, intellettuale e cervellotico che sarebbero diventati in futuro, è probabile che l’abbiano scelto per una ragione molto più semplice: perché era uno scherzo divertente.

2. Creep e Crap

Creep è ancora oggi, a distanza di 30 anni, la canzone più famosa dei Radiohead, ma proprio per questa ragione è stata anche la più ingombrante. Talmente ingombrante che per parecchio tempo la band si era rifiutata di suonarla dal vivo, ribattezzandola “Crap” aka la merda – “e ancora non avevano sentito la cover di Vasco Rossi!”, direbbero i maligni.

Scherzi a parte, è anche il brano su cui ci sono talmente tante curiosità che abbiamo dovuto fare una cernita e sceglierne tre, altrimenti avrebbero occupato l’intero articolo.


La prima è che si tratta di un plagio. La canzone infatti ha la stessa sequenza di accordi del brano degli Hollies The Air That I Breathe, scritto da Albert Hammond e Mike Hazlewood, che dopo aver fatto causa sono finiti giustamente nei crediti della canzone. Giudicate voi stessi.

La seconda è che il brano era stato considerato troppo deprimente dalla BBC. Per questa ragione l’emittente radiofonica inglese inizialmente l’aveva bannato dalla programmazione, salvo poi tornare sui propri passi, dopo lo straordinario successo ottenuto dal brano sull’altra sponda dell’Atlantico.

La terza è che il suono così duro e distorto era nato per caso. La band in studio stava semplicemente “facendo un po’ di casino” per testare i livelli dei nastri di incisione, ma nessuno sapeva che nel frattempo stessero anche registrando. Per questo la chitarra che anticipa il ritornello suona così forte. Jonny Greenwood non avrebbe mai picchiato così duro se avesse saputo che stavano registrando. La stessa cosa vale per anche per gli altri componenti della band, come ha confermato il batterista Philip Selway: “Quando è stata incisa, non sapevamo nemmeno che la stessero registrando: ci stavamo scaldando per un altro brano. Il motivo per cui suona così potente è che non è assolutamente consapevole”.

3. Tutti possono suonare la chitarra

Il secondo singolo dell’album, Anyone Can Play Guitar, era un brano contro l’essere una rockstar, in cui titolo e ritornello dicono esplicitamente che suonare la chitarra non è poi niente di speciale e potrebbe farlo chiunque.


A supporto di questa tesi, mentre erano in studio di registrazione, la band radunò tutto lo staff, incluso il cuoco, dando a ciascuno di loro una chitarra e una traccia libera da suonare. Ognuno aveva carta bianca. L’idea alla base era quella di essere all’altezza del titolo: “chiunque può suonare la chitarra” e possiamo dimostrarlo. Le tracce di chitarra realizzate durante quella sessione vennero successivamente unite in una sorta di collage sonoro, che è quello che si sente all’inizio della canzone.

4. La morte del pop e del rock

Lo spettro della morte aleggia come una presenza incombente sulla band fin dagli esordi. Non a caso il primissimo singolo pubblicato si intitolava Pop Is Dead. Nel video del brano – sconosciuto ai più – veniva messo in scena il funerale del pop incarnato da Thom Yorke, trasportato dentro una bara trasparente con la faccia truccata di bianco.

Una morte che il cantante rischierà realmente poco tempo dopo, durante un’esibizione all’MTV Beach House, circondato da gente in costume a bordo piscina, in un’ambientazione da collage americano che poco si addiceva al suo mondo interiore.

Dopo aver suonato per l’ennesima volta Creep – diventata nel frattempo una hit internazionale – la band si lancia in un’interpretazione furiosa di Anyone Can Play Guitar. Yorke sbraita contro Jim Morrisson (“If I grow my hair maybe I could become Jim Morrison: fat, ugly, dead”) e poi si tuffa in piscina.


Peccato che quello sfogo di frustrazione rischiò seriamente di farlo affogare, perché a causa degli anfibi appesantiti dall’acqua non riusciva più a risalire. Dovette intervenire la sicurezza per tirarlo fuori ed evitare il peggio, mentre la band continuava a suonare imperterrita.

5. I Radiohead del futuro

Diversi critici hanno già notato come in alcuni brani di Pablo Honey – in particolare i due posti in apertura (You) e chiusura (Blow Out) del disco – siano presenti i prodromi delle composizioni future più sofisticate della band a venire, fatte di tempi dispari, interscambi modali, strutture anomale e acrobazie ritmiche di vario tipo. Ma c’è anche una sorta di continuità lirica tra i Radiohead di Pablo Honey e quelli del futuro, che va di pari passo con una presa di coscienza di sé.

C’è in particolare un verso iconico di Creep in cui Thom Yorke dice “What the hell i’m doing here? I don’t belong here” (“Cosa diavolo ci faccio qui? Io non appartengo a questo posto”). Verso che assume connotati particolarmente significativi se lo si ricollega all’episodio della piscina e allo status di rockstar, cui Yorke è sempre stato particolarmente avverso.

È un concetto che si svilupperà meglio in Kid A – il disco che segna lo spartiacque sonoro della carriera dei Radiohead – e che si evolverà sotto forma di rifiuto in How to Disappear Completely (“I’m not here; this isn’t happening”; “Io non sono qui, questo non sta succedendo”), finendo per trovare la sua risoluzione definitiva in Everything in Its Right Place, un brano i cui versi cadono sulla musica in maniera irregolare fino al momento in cui tutto viene rimesso insieme e riportato all’ordine nel ritornello, che in sostanza tenta di fare esattamente quello che dice – e verso cui Thom Yorke aveva puntato fin dall’inizio – ovvero mettere ogni cosa al suo posto.


Per tutte queste ragioni rendiamo ancora grazie al tanto bistrattato Pablo Honey, che volente o nolente è stato la crisalide dei Radiohead del futuro.

Articolo di Andrea Pazienza

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